Un protettorato italiano che metta d’accordo anche francesi e turchi (video)

La Libia è sempre al centro degli interessi mediterranei di Turchia e Francia. L’Italia, che sarebbe la più qualificata a gestire la vertenza libica, sembra proprio non abbia voce in capitolo. La Turchia è appoggiata come gestore della crisi libica da tutti i Paesi non occidentali (anche da Russia e Cina). La marginalizzazione (se non addirittura l’irrilevanza) dell’Europa è più che evidente: e pare che la Francia possa agire liberamente in Libia senza nemmeno dare ascolto alle riserve dei vari Paesi Ue.

Recep Tayyip Erdoğan di fatto ha sostenuto il governo di Fayez al-Sarraj, mentre la Francia il generale Khalīfa Ḥaftar: e l’Italia per non scontentare la Francia ha sorriso anche lei ad Haftar. Di fatto Turchia e Libia stanno definendo i propri nuovi confini marittimi senza ascoltare la frontaliera Italia. E Cipro, Egitto, Grecia e Israele sembra abbiano più voce in capitolo dello Stivale. Dunque, anche in questo giro di valzer l’Italia sarà tenuta fuori sia dalla partita energetica che da altre decisioni politiche sui rapporti con la Libia?

Forti sono anche gli interessi di Egitto ed Emirati Arabi Uniti nel sostenere Haftar: e sappiamo come gli Stati arabi considerino pochissimo l’Ue e trattino esclusivamente con l’Eliseo. L’Italia oggi dovrebbe trovare la forza e gli appoggi per dire la sua sulla Libia, proponendo il “Protettorato italiano” in una piccola parte dello Stato africano, spiegando alla pavida Europa come rappresenterebbe l’unico modo per offrire una soluzione ai flussi migratori, trasformando quel lembo di terra in un perimetro industriale ed agroalimentare: di questo parliamo nella seconda intervista all’ingegner Giovanni Piccolillo.

Ma affrontiamo questo argomento (e provocazione) consci che da almeno una quindicina d’anni viene raccontata ai beoti occidentalizzati la leggenda dell’instabilità politica e finanziaria in Tunisia, Libia e Nord Africa. Condita dell’ingrediente americano che, grazie alle manovre umanitarie e finanziarie francesi e statunitensi il Nord Africa sarebbe stato salvato dalle influenze russe e cinesi. È anche giunta l’ora di raccontarvi come sono andate le cose. Perché possiate prestare buon ascolto è meglio che sgombriate la memoria dal ricordo delle “primavere arabe”, soprattutto che smettiate di dare retta alla cosiddetta “stampa istituzionale”. L’esempio della Libia è quello più vicino a noi italiani, e forse meglio di altri permette di comprendere come l’Occidente influisca nella vita del Nord Africa.

Corrono i primi anni del terzo millennio. Mu’ammar Gheddafi sa che ben presto dovrà affidare ad un “lodo democratico” (forse elezioni) il cambio di classe dirigente in Libia. Sa che gran parte del popolo vorrebbe che succedesse Saif, figlio del rais. Ma fonti d’intelligence araba suggeriscono a Gheddafi di prevedere il peggio: ovvero un colpo di Stato, una rivoluzione, casomai finanziata dagli stessi 007 finanziari che buttarono giù Bettino Craxi nel 1992. Gheddafi riflette e ricorda, gli sembra sia avvenuta appena ieri la riunione del 1967, nel Grand Hotel italiano di Abano Terme: lì dove gli emissari del generale italiano Gianadelio Maletti e quelli del suo omologo francese Alexandre de Marenches davano al giovane ufficiale libico risorse finanziarie ed armi sufficienti a buttare giù il debole re Idris; operazione che Italia e Francia fecero con l’assenso del russo Aleksej Nikolaevič Kosygin e sotto il benevolo silenzio di Henry Kissinger. Quel giorno Giulio Andreotti confidava ridacchiando al suo fido Franco Evangelisti, “finalmente ho una bella moglie americana ed una buona amante araba...”.

Il risultato non si faceva attendere: per circa quarant’anni Italia e Francia giocavano il ruolo dei ladri di Pisa, che litigano di giorno davanti alle guardie per poi di notte rubare pacificamente tutti insieme. Così, per rendere credibile il ruolo, Gheddafi doveva pubblicamente parlare male d’Italia e Francia: ma senza Eni ed Elf Aquitaine non muoveva nemmeno un passo negli insidiosi ma ricchi mercati petroliferi occidentali.

Ma dopo il 2000 gli equilibri erano assai diversi, perché tramontati referenti e coperture: basti solo pensare che non c’era più l’Unione Sovietica, Vladimir Putin era impegnato a risolvere i tanti problemi interni cagionati dalla gestione di Boris Eltsin e non poteva ancora esporsi in Nord Africa. Con una Russia forte, l’Occidente non si sarebbe mai azzardato ad aggredire militarmente l’Iraq di Saddam Hussein e nemmeno la Libia di Mu’ammar Gheddafi, e nemmeno ci sarebbero state le primavere arabe finanziate da George Soros e benedette dal Pentagono dei Clinton. Invece l’Occidente ha approfittato del momento, incendiando il mondo arabo dal Medioriente al Nord Africa.

Siamo nel 2008 e, complice la grande crisi economica, Gheddafi si sincera personalmente che in Francia potrebbe consumare la sua vecchiaia, l’esilio dorato: perché da più di duecento anni la “grande democrazia europea” non nega mai ospitalità a chi per motivi politici abbandona (o fugge) la propria patria. Gheddafi aveva da almeno due decenni dismesso i propri investimenti in Italia, dopo che gli intrighi bancari di Enrico Cuccia lo avevano messo fuori dal pacchetto azionario Fiat. Qualche cosa era rimasta tra Roma e Perugia, ma solo perché un suo figliolo giocava a calcio.

Di fatto Gheddafi aveva affidato la gestione dei suoi incalcolabili patrimoni (denaro, oro, pietre preziose, commodity, privative, azioni, obbligazioni...) ai più importanti consulenti finanziari di Francia: banchieri legati a filo doppio con la politica, uomini conosciuti in tutto il pianeta come esponenti delle multinazionali e finanziarie francesi. Il patrimonio di Gheddafi faceva gola a troppi anche in Italia, dove possedeva ancora discrete partecipazioni, dal turismo al calcio, dall’industria alle banche. I gruppi che gestivano i patrimoni del rais disponevano di studi legali in grado di far sparire ogni traccia di quei beni, soprattutto in caso d’estinzione di Gheddafi e famiglia.

A governare l’Italia c’era Silvio Berlusconi, mentre all’Eliseo “regnava” Nicolas Sarkozy. Sull’onda delle primavere arabe, i gruppi di pressione finanziaria iniziavano a suggerire ai governanti che “i mercati premierebbero un intervento militare umanitario in Libia”. Il presidente italiano e quello francese non sapevano letteralmente che fare. Intanto i gruppi economici che avevano appoggiato l’ascesa di Sarkozy chiedevano guerra alla Libia di Gheddafi. Sarkozy approva l’attacco alla Libia, ben conscio delle trame dei banchieri francesi. Iniziavano i bombardamenti, e Gheddafi aveva capito d’essere stato gabbato. Quindi cercava con i suoi fedelissimi di costruirsi una roccaforte nella Sirte. Però dal confinante Mali erano entrate in Libia le feroci milizie mercenarie, ben armate e formate da ex militari della Legion Etrangere: contractor specializzati che le multinazionali (soprattutto francesi, olandesi e belghe) usano per mettere in sicurezza i territori estrattivi del Centro Africa. Così Gheddafi veniva velocemente localizzato, neutralizzato e barbaramente ucciso.

Nessun esilio dorato e, soprattutto, l’enorme tesoro del rais veniva volatilizzato: solo in Italia le autorità sequestravano (su spinta Onu) un alberghetto, una villetta e qualche inezia di poco conto. Ma i fondi sovrani depositati in Francia sparivano nel nulla, nella totale ovattata omertà delle grandi famiglie della finanza. Ma c’è uno scomodo testimone che potrebbe parlare, non accettando la sua estromissione dalla politica: Nicolas Sarkozy potrebbe non più gradire che ricada solo su di lui la responsabilità della guerra alla Libia, mentre i potenti della finanza si sono spartiti i fondi del rais. Così si scatena l’arma mediatico-giudiziaria su Sarkozy: accuse, condanna dell’opinione pubblica, reclusione. Tutto per scongiurare riveli chi sono i banchieri che hanno approfittato delle primavere arabe? Sarkozy giura di rialzarsi, e perché in Francia ogni uomo che s’è scottato col potere è una sorta di “Conte di Montecristo”. Ma la “revanche” è figlia di un tempo romantico della politica, al momento tecnologia e finanza pare abbiano vinto e coperto ogni traccia del misfatto: e per meglio apparire oggi finanziano le Ong, quelle che traggono utili dalle operazioni umanitarie. Poi mettono anche in giro la leggenda che le multinazionali (autrici del neo-colonialismo) avrebbero salvato l’Africa da russi e cinesi, e l’Occidente ci crede pure.

La chiave di volta, che metterebbe fine ad ogni dissidio, potrebbe rivelarsi il “protettorato italiano”: vedremo se l’Italia avrà la statura politica di trasformarsi da cameriere in paciere.

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Aggiornato il 01 giugno 2023 alle ore 15:50