La sinistra ha paura della democrazia

La riforma costituzionale che prevede l’elezione diretta del capo dello Stato è parte integrante e sostanziale del mandato che è stato conferito dagli elettori al governo di centrodestra. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni rivendica il diritto e il dovere di riformare la legge fondamentale con l’obiettivo di rendere più stabile la governance del nostro Paese. Il passaggio da una repubblica parlamentare a quella presidenziale è la via che deve essere percorsa per rendere l’Italia una democrazia matura.  La stabilità di un esecutivo che ha vinto le elezioni politiche è la pre-condizione per l’attuazione del programma politico sottoposto al vaglio del corpo elettorale. Coerentemente con il programma elettorale, la presidente del Consiglio ha iniziato le consultazioni con gli esponenti dei partiti politici di opposizione per avviare l’iter della riforma, così come previsto dall’articolo 138 della Costituzione.

Prima ancora di incontrare la premier, i leader dei partiti d’opposizione hanno opposto sostanzialmente il veto alla modifica della Costituzione adducendo come motivazione il rischio di derive autoritarie. Nel mondo libero di consolidata democrazia, il presidenzialismo è la forma di governo che ha garantito nel tempo l’alternanza tra i conservatori e i socialdemocratici. A nessuno è venuto in mente l’idea di riformare i poteri del presidente direttamente eletto per un non meglio precisato rischio di autoritarismo. Al contrario, le repubbliche parlamentari, in testa l’Italia e Israele, hanno sempre sofferto di un parlamentarismo esasperato che ne ha inficiato l’efficacia e la durata degli esecutivi. L’Italia repubblicana ha avuto, a oggi, 31 presidenti del consiglio dei ministri e 68 governi. La media della durata degli esecutivi dal 1948 a oggi è di circa 14 mesi.

La difesa dell’attuale regime parlamentare è motivata dal rischio di concentrare il potere in “un solo uomo al comando”. Per i cantori del regime parlamentare la volontà del popolo sovrano dev’essere intermediata da una sorta di “monarca di fatto” che senza una diretta legittimazione elettorale può ostacolare il procedere di un esecutivo non gradito. L’assunto che con la forma attuale, la Presidenza della Repubblica in Italia è un potere terzo è un’ipocrisia alla quale non crede nessuno. La storia insegna. È stato un presidente della Repubblica super partes Oscar Luigi Scalfaro? L’allora inquilino del Colle più alto ebbe a creare le condizioni, facendo leva sul segretario politico della Lega Nord Umberto Bossi, per far cadere il primo governo Berlusconi. È stato un presidente super partes Giorgio Napolitano?

Lo stesso tramò con la cancelliera tedesca Angela Merkel e Nicolas Sarkozy per far cadere il terzo governo Berlusconi e per insediare l’esecutivo “tecnico” del professor Mario Monti offrendogli preventivamente il laticlavio a vita in Senato. È al di sopra delle parti il presidente Sergio Mattarella? Suo malgrado ha dovuto conferire l’incarico di formare il governo alla presidente Giorgia Meloni, dopo la chiara vittoria alle elezioni politiche. Tuttavia, sine titulo, si è occupato di politica estera mettendo in imbarazzo il governo nei confronti di una Francia che opera in aperto contrasto contro l’Italia sul tema dell’immigrazione clandestina e irregolare.

Parrebbe che la presidente Meloni, per cercare di compiacere un’opposizione pregiudizialmente contraria a qualsiasi riforma, sia propensa a proporre l’elezione diretta del premier piuttosto che il presidente della Repubblica. Il dialogo con l’opposizione è sempre positivo se si hanno degli interlocutori affidabili. È vero che i due tentativi (di Silvio Berlusconi e Matteo Renzi) di riforma costituzionale non hanno superato lo scoglio del referendum popolare. Ma i due tentativi di riforma non prevedevano l’elezione diretta del presidente della Repubblica. Sono convinto che qualsiasi proposta di riforma dell’esecutivo troverà in questa opposizione un ostacolo pregiudiziale. Per la sinistra, rinunciare alle casematte del potere dove hanno saputo insediare i loro amici è inaccettabile.

Per loro la democrazia è valida solo se vincolo le elezioni. Se gli elettori premiano il centrodestra la democrazia diventa malata ed è a rischio. Quando nel 1977 il Likud vinse le elezioni per la prima volta in Israele con il suo leader di Menachem Begin, i laburisti che ininterrottamente avevano governato dalla fondazione del 1948, additavano il primo ministro di centrodestra come un estremista di destra. Alcuni politici laburisti in Israele, dopo la vittoria di Begin, affermavano: “Se il popolo vota il centrodestra occorre cambiare il popolo”. La sinistra che si oppone alle riforme teme la democrazia.

Aggiornato il 10 maggio 2023 alle ore 10:09