La “grande sostituzione”: cronaca di un presunto mito che invece è realtà/1

È tutto inutile. Se il professor Gian Carlo Blangiardo, la sua Istat e altri del settore cercano di porre il tema della denatalità, che è semplicemente un dramma, è inutile. Se meritoriamente si mobilita anche la Plasmon col suo progetto di sensibilizzazione, Adamo 2050, rimane inutile. Tutto sarà inutile fin quando, in questo ridicolo Paese di questo inesistente Continente pronto al suicidio formale, non si potrà affrontare serenamente il tema dell’estinzione demografica degli italiani (e degli europei autoctoni) senza che qualche affetto da deficit cognitivo parli di suprematismo, nazismo e complottismo.

Si può certamente polemizzare con il Governo. Se alle parole non seguono mai i fatti, si può tranquillamente denunciare l’inerzia della destra sul fronte culturale – il più importante in una materia come quella demografica, in cui l’economia c’entra fino a un certo punto, in quanto è una questione legata alla speranza e alla visione del proprio futuro da parte dei singoli – ma non è possibile che un ministro qualsiasi non riesca ad esprimere un’ovvietà, che dovrebbe essere condivisa, senza che si sollevino polemiche mediatiche oltre i limiti dell’assurdo.

Qualsiasi tentativo di impostare un discorso sul punto rimane inutile, fin quando uno dei maggiori partiti della Penisola italica sarà in mano a chi, si può immaginare, abbia un diretto interesse lobbistico all’estinzione effettiva degli italiani oppure, si può alternativamente supporre, sia affetto dal succitato deficit. Il fatto è che, però, per qualsiasi comunità politica esistente sul globo la demografia è il problema per eccellenza e le dichiarazioni del ministro sopra evocato non sono affatto irreali e strampalate.

Andando con ordine, bisogna ricordare che il problema demografico è parte integrante della crisi economica che conosciamo negli ultimi decenni. Come brillantemente spiegato da Ettore Gotti Tedeschi in un convegno organizzato dal Centro Studi Machiavelli l’8 febbraio 2017 presso la Camera dei deputati, la crisi attuale non inizia nei primi anni Duemila, ma affonda le sue radici esattamente nella stagnazione demografica che comincia negli anni Settanta del secolo scorso, in quanto tutte le politiche di deindustrializzazione, delocalizzazione, finanziarizzazione e terziarizzazione delle economie europee (e italiana specialmente), portate avanti da quegli anni in poi, si basano sull’assunto che le persone produttive diminuiscono, la produzione industriale cala e si devono continuare però a lasciare alti i consumi, per mantenere in qualche modo la ricchezza acquisita. Sicché si tratterà di aumentare artificialmente il potere di acquisto dei cittadini, permettendo che, pur in assenza di una produzione adeguata e in presenza di un abbassamento della ricchezza reale, essi riescano a consumare il più possibile.

Questa “soluzione” ha rimandato a lungo il riconoscimento del vero problema e della sua effettiva soluzione, vale a dire che una società per non morire a livello economico e garantire certi livelli di spesa (anche pubblica in ammortizzatori sociali, sicurezza, sanità, istruzione) ha bisogno di sostituire i cittadini non produttivi/invecchiati con nuovi cittadini produttivi. Il problema non è poi solo economico, in quanto una società nella storia è vitale solo nella misura in cui abbia la capacità di proiettarsi nel futuro per competere e confrontarsi con le altre (anche con la forza se necessario, foss’anche soltanto quella diplomatica secondo la logica della deterrenza) e, per farlo, abbisogna di espandersi o almeno di non perdere cittadini.

È questo il motivo per cui Oswald Spengler e Hans Sedlmayr evidenziavano che la concentrazione della densità abitativa nelle sole metropoli, con susseguente perdita di vitalità e controllo dei territori periferici, è indice sicuro di declino storico delle civiltà che ne siano interessate. Porre, dunque, il problema della denatalità, vale a dire dell’assenza del numero minimo di figli per coppia (2,1, la cosiddetta soglia di sostituzione), ed approntare soluzioni di sorta, per almeno garantire che un Paese non perda abitanti, è forse uno dei principali obiettivi minimi di qualsiasi politica di qualunque Paese, a prescindere dall’appartenenza partitica e della declinazione ideologica, nella misura in cui un Governo intenda garantire il benessere della comunità e non invece interessi altri.

Ora, il punto è che la soluzione alla perdita di abitanti o risiede nel suicidio degli stessi e nella sostituzione con forze esterne, oppure si sostanzia in una lenta e certosina attività di incentivo e persuasione alla vita di coppia (in un paese che vede un terzo degli abitanti vivere da sola) e alla filiazione da parte degli abitanti medesimi. Ipotesi, questa, che però presupporrebbe una complessa concertazione tra forze diverse, che dovrebbero trovarsi unanimi su di una tale convergenza.  Ad ogni modo, tertium non datur.

È inoltre evidente che la prima presunta “soluzione” non sia tale, in quanto non basta sostituire una popolazione con un’altra, per garantire una integrazione e soprattutto la perpetuazione di un Paese dotato di una certa cultura, di certi modelli di comportamento, di una certa lingua, di certi principi e di certi modelli politici e giuridici, che hanno impiegato secoli per essere da quel popolo assimilati e trasmessi per osmosi (non per acquisizione postuma e forzata) a ogni nuova generazione autoctona.

Ciò, sia perché bisogna prima capire chi si stia “importando”, vale a dire se una cultura importata sia o non sia compatibile con quella ospitante, sia perché se sostituisci dei gruppi di giovani e vitali a quelli autoctoni, necessari ma inesistenti, l’integrazione non può avvenire, poiché gli estranei manterranno la propria cultura e non assumeranno i valori della convivenza adottati dalle generazioni più vecchie che vanno a sparire. Sia, perché, l’importazione di allogeni, per quanto non incompatibili con la cultura ospitante, non comporta alcun automatismo nel mantenimento di quest’ultima.

Aggiornato il 21 aprile 2023 alle ore 13:58