Giorgia Meloni non avrebbe potuto concludere il suo viaggio in Etiopia senza che nessuno mettesse in piedi l’ennesima polemica sterile. Neanche a dirlo, c’entra il presunto razzismo di matrice fascista della premier – che è un po’ un evergreen di certa stampa sinistroide che, non avendo argomenti, deve parlare di questioni di lana caprina – che addirittura non si è scusata per i crimini commessi dalle truppe italiane proprio in Etiopia, ai tempi del regime mussoliniano, quando il Paese africano era stato da noi colonizzato. Davanti alla domanda di un giornalista di Repubblica, la premier Meloni ha dichiarato di non ritenere di doversi scusare per il passato, per quanto poco edificante. Possiamo dire – anche a costo di suscitare un certo scandalo – che ha ragione e che noi, italiani degli anni Duemila, nonché il nostro Governo, non abbiamo alcun dovere di chiedere scusa agli etiopi? Il capo dello Stato l’ha fatto – si è osservato tra le pagine di Repubblica e non solo. Bene, se questo è quello che la coscienza gli ha suggerito, se è quello che Sergio Mattarella ha ritenuto giusto fare. Ciononostante, non tutto quello che la coscienza dell’individuo detta è sensato o deve essere ritenuto un obbligo per tutti: degno di rispetto si; vincolante per gli altri no.
Per quanto sia in voga, in tempi di Cancel culture, di ideologia woke e di “white guilt”, tentare di far sentire la civiltà occidentale e coloro che a essa appartengono colpevoli di tutti i mali e di tutte le disgrazie della storia, bisogna avere il coraggio di resistere alla marea montante del Politicamente corretto e lavorare per ristabilire la verità storica e fare chiarezza. Una delle cose che più di tutte viene rimproverata all’uomo bianco è proprio il colonialismo: col pretesto di “civilizzare i selvaggi” egli avrebbe distrutto (o quasi) intere popolazioni e culture, e quelle che sopravvissero lo fecero solo perché vennero sottomesse e costrette ad aderire agli standard culturali del colonizzatore. Ma siamo proprio sicuri che la “leggenda nera” sul colonialismo sia proprio così nera e che non abbia invece anche delle zone meno oscure? Il colonialismo ha rappresentato, per molte popolazioni non europee, la spinta verso la modernità e verso il superamento di assetti a dir poco primitivi. Gli esempi in tal senso abbondano. In India si bruciavano le vedove assieme ai cadaveri dei mariti, prima che gli inglesi mettessero fuori legge questa usanza. Le popolazioni amerinde praticavano sacrifici umani e cannibalismo, prima dell’arrivo degli spagnoli.
L’Africa era uno sconfinato arcipelago di tribù intente a massacrarsi a vicenda – e in parte è ancora così – prima di essere colonizzati dagli europei, italiani inclusi. Indubbiamente sono stati molti gli abusi e le violenze perpetrate dai colonizzatori, come il citato massacro di Addis Abeba posto in essere dagli italiani contro gli etiopi: nessuno nega simili orrori. Molte furono le colpe degli europei, che di sicuro, nei riguardi dei colonizzati, nutrivano sentimenti che spaziavano dal paternalismo fino al disprezzo per coloro che non avevano la loro cultura e il loro stesso colore della pelle.
Di queste colpe, però, come dei misfatti perpetrati dagli europei di allora, non siamo noi, che viviamo in un’altra epoca e con delle consapevolezze molto diverse da quelle del passato, a doverci scusare o a doverci sentire in qualche modo responsabili. La responsabilità è sempre e solo individuale: ognuno risponde solo delle sue azioni, non di quelle di altre persone. Di conseguenza, per quale motivo Meloni o qualunque altro italiano dovrebbe chiedere perdono agli etiopi per quello che gli italiani di quasi cento anni fa – e solo una parte di loro – fecero agli etiopi dello stesso periodo? Siamo forse noi ad aver fatto loro del male? E perché gli etiopi di oggi avrebbero diritto di ricevere quelle scuse, se non sono loro ad aver subito il torto?
La responsabilità collettiva non esiste, ed è strano che siano proprio gli ultra-progressisti paladini dell’antirazzismo a ritenere il contrario. Poiché l’idea della responsabilità collettiva è proprio quella che conduce al razzismo che essi dicono di voler combattere e debellare. E questo, se non altro, dimostra che l’antirazzismo non è che una forma di razzismo a sua volta, che per nascondere il suo volto deforme indossa la maschera della virtù, del progresso e della giustizia. Senza contare che – come si insegna nelle facoltà di filosofia, almeno in quelle sane – il cosiddetto “giudizio anacronistico” è in sé stesso fuorviante e per questo andrebbe sempre evitato: non fosse altro che, in base a esso, si perpetrano le peggiori ingiustizie. Gli europei di cento o duecento anni fa erano razzisti? Magari non nel senso che attribuiamo noi a questa parola – almeno fin quando la propaganda delle tirannidi non istituzionalizzò e non sistematizzò in maniera pseudo-scientifica la cosa.
Di sicuro nessun europeo di cento o duecento anni fa avrebbe mai pensato che un africano avesse la sua stessa dignità e i suoi stessi diritti. Questo, chiaramente, è un male: ma a saperlo siamo noi, che viviamo negli anni Duemila, e che abbiamo la conoscenza necessaria per affermare che tutti gli uomini sono uguali e che il colore della pelle non determina il valore della persona. Chi ci ha preceduto non possedeva queste conoscenze, dunque ha agito sulla base delle consapevolezze del tempo che, per quanto a noi possano sembrare assurde, allora erano perfettamente normali. Bene ha fatto, quindi, la premier Meloni a non assecondare questo giochetto perverso e a non scusarsi, non avendo alcun dovere di farlo. Degli errori del colonialismo italiano in Etiopia non siamo noi a dover rispondere: le colpe dei padri non ricadono sui figli, mai. Nessun italiano di oggi – o quasi – guarderebbe un etiope come un selvaggio da civilizzare o si sentirebbe migliore di lui: quindi quale sarebbe la nostra colpa? Di cosa dovremmo scusarci, noi o Meloni?
Aggiornato il 19 aprile 2023 alle ore 10:00