L’irriducibilità della burocrazia giudiziaria

Per quanto l’Italia si sforzi di ammodernare il suo macchinoso e vetusto sistema burocratico, il polipo della burocrazia allunga i suoi tentacoli anche là dove la stessa nuova normativa prevede che intervenga un’innovazione digitale nella gestione della Giustizia. Invero, il fatto che l’Unione europea abbia imposto un cambiamento radicale dell’attività giudiziaria italiana, allo scopo di velocizzarne i tempi e renderla consona a quei principi fondanti di un stato di diritto, che si evincono anche dalla nostra stessa Carta costituzionale, come ad esempio il “giusto processo” non ha ancora dato gli effetti sperati, nonostante che questo cambiamento, ab imis fundamentis, costituisca la condicio sine qua non per ottenere gli agognati fondi del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza). Un esempio eclatante di quanto sopra citato è rappresentato dall’attuale gestione del periodo di transizione nell’ambito dell’applicazione della Riforma Cartabia (nel prosieguo, anche “la Riforma”) inerente al nuovo processo penale.

Con l’inserimento dell’articolo 111 bis nel Codice di procedura penale, grazie alla succitata riforma, è stato delimitato uno spartiacque di evoluzione digitale, che in modo repentino e alquanto opportuno, ha finalmente permesso di transitare dal sistema giudiziario di matrice “tolemaica” a quello d’impostazione “copernicana”, sancendo letteralmente: “Salvo quanto previsto dall’articolo 175-bis, in ogni stato e grado del procedimento, il deposito di atti, documenti, richieste, memorie ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione degli atti e dei documenti”.

Inoltre, con la modifica dell’articolo 152 Codice di procedura penale, è stata introdotta la modalità telematica quale criterio principale per le notifiche al pubblico ministero e solamente in via sussidiaria la modalità analogica, mediante copia cartacea dell’atto nella segreteria. La riforma, per evitare che emergessero delle dannose criticità nello storico passaggio dal sistema analogico a quello digitale, ha previsto un periodo transitorio, improntato su un regime differenziato inerente all’entrata in vigore della normativa del nuovo processo penale telematico da un lato e una disciplina transitoria dall’altro. Allo scopo di dettare una disciplina organica riguardo alla materia, secondo quanto si evince dalla normativa di riferimento per l’organizzazione governativa (articolo 17, comma 3, della legge 400/1988), è prevista l’emanazione di un regolamento da parte del Ministero della Giustizia che preveda i vari aspetti citati e che intervenga sulle norme del Regolamento del 21 febbraio del 2011 n. 44 attualmente in vigore e le disposizioni in tema di disciplina transitoria e delle eccezioni alle regole generali, attraverso altre prescrizioni da attuarsi con un provvedimento dirigenziale.

A tale riguardo, con l’introduzione del principio concernente l’obbligatorietà del deposito telematico di ogni atto e quindi anche dell’atto di impugnazione a carico del difensore, è venuta meno l’utilità dei depositi cartacei sia presso gli uffici inerenti agli atti di impugnazione fuori sede sia la loro stessa spedizione sia il deposito di diverse copie degli stessi e proprio per questo sono stati abrogati i seguenti articoli del codice di procedura penale, l’articolo 582, comma 2 (impugnazione fuori sede), l’articolo 583 (spedizione dell’impugnazione) e l’articolo 164 delle Disposizioni di attuazione del Codice di procedura penale (copie dell’atto di impugnazione). Dopo aver enucleato gli aspetti salienti della riforma, urge denunciare in particolare le criticità riguardanti l’effettiva applicazione delle modalità digitali di riferimento, dovute all’ambiguità e alla contraddizione della disciplina transitoria per la regolamentazione dei depositi durante l’anno 2023, in cui si è manifestata tutta la resistenza invasiva del nostro apparato burocratico giudiziario, irriducibilmente ancorato all’anacronistico sistema analogico. A conferma di quanto finora esposto è intervenuta Irma Conti, vicepresidente dell’Ordine degli avvocati di Roma, nonché coordinatrice della commissione di diritto penale del medesimo Consiglio, la quale ha affermato che “siamo tornati indietro, ossia alla spedizione dei plichi presso i colleghi del foro del Giudice ad quem per chiedergli di adempiere al depositare dell’atto di impugnazione o del ricorso in Cassazione e le relative copie cartacee in quanto, nella disciplina transitoria nonostante la previsione di depositare l’atto telematicamente è stato altresì previsto che, fino “sino al quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei regolamenti di cui ai commi 1 e 3, ovvero sino al diverso termine previsto dal regolamento di cui al comma 3 per gli uffici giudiziari e le tipologie di atti in esso indicati, continuano ad applicarsi le disposizioni dell’articolo 164 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al Decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271” (articolo 87 comma 6 del Decreto legislativo n. 150/2022).

Tale disposizione comporta la necessità di depositare le copie cartacee (con buona pace del telematico e della transizione) e con le ripercussioni e gli ulteriori adempimenti operativi quotidiani, salvo far pagare agli assistiti ulteriori oneri agli assistiti. Si badi bene, per il ricorso in cassazione di ben 300 euro! Ciò, in quanto, avendo abrogato, con effetto immediato, le norme in tema di impugnazioni fuori sede – e quindi il relativo ufficio presso tutti i tribunali e le Corti di appello – ma avendo al tempo stesso sancito l’ultrattività dell’articolo 164 delle Disposizioni di attuazione  in ordine alle copie da depositare unitamente all’impugnazione, si crea un’evidente criticità per la difesa, costretta a doversi fisicamente recare presso la cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento a depositare l’impugnazione. Tale, inverosimile, realtà è stata confermata da una recentissima circolare del Ministero della Giustizia in tema di deposito delle impugnazioni trasmesse con modalità telematiche.

Era stato chiesto al ministero di specificare se, anche per i depositi telematici, sarebbe stato necessario presentare “fisicamente” le copie cartacee previste dall’articolo 164 delle Disposizioni di attuazione del Codice di procedura penale oppure se l’ultrattività della norma riguardasse esclusivamente i depositi in forma analogica. In particolare, il ministero ha replicato che l’articolo 164 delle Disposizioni di attuazione del Codice di procedura penale resta applicabile, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 87, comma 6, Decreto legislativo n. 150/2022, anche quando l’atto d’impugnazione sia stato trasmesso tramite posta elettronica certificata e che in caso di mancato deposito delle copie prescritte dalla legge, l’ufficio applicherà la disposizione di cui all’articolo 272 del Decreto del presidente della Repubblica n. 115 del 2002 per recuperare i costi sostenuti per effettuare le copie e evitare danni erariali.

Si tratta di un’interpretazione che non si ritiene in linea con:

1) lo spirito e la ratio della riforma;

2) la già avvenuta abrogazione dell’articolo 164 delle Disposizioni di attuazione del Codice di procedura penale, la cui ultrattività è stata determinata unicamente nella disciplina transitoria;

3) il concetto stesso di rischio di danno erariale che, Ictu oculi, non è contemplato dalla riforma che esclude che successivamente all’entrata in vigore del già menzionato decreto ministeriale, debbano essere prodotte le copie dell’atto di impugnazione.

Un’interpretazione che, di fatto, rende completamente superflua la norma transitoria sulla possibilità di depositare telematicamente le impugnazioni, in quanto sarà comunque necessario produrre le copie richieste dall’(abrogato) articolo 164 delle Disposizioni di attuazione del Codice di procedura penale. In conclusione, ci troviamo di fronte ad una disciplina che dovrebbe consentire una transizione verso il digitale e che, invece, concretamente, comporta un inaccettabile ritorno all’analogico”. Al postutto, anche nell’attuazione di questa epocale riforma digitale del processo penale sembra emergere la costante del malcostume italiano, legislativo e culturale, ovvero “fatta la legge, trovato l’inganno”.

Aggiornato il 11 aprile 2023 alle ore 20:57