Ancora una volta il presidente transalpino, Emmanuel Macron, dimostra una tracotanza che raramente trova eguali nei consessi internazionali. Dopo lo “strappo” francese con il summit di Parigi sulla crisi ucraina, che ha visto la partecipazione anche del cancelliere tedesco, Olaf Scholz e del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, la premier italiana, Giorgia Meloni, ha sottolineato che simili iniziative – oltretutto a ridosso del Consiglio europeo cui ha presenziato anche il leader ucraino – indeboliscono l’unità europea sulla questione e la sua capacità di incidere in maniera significativa. Il capo dell’Eliseo ha risposto piccato che Francia e Germania hanno avuto, anche in passato, un ruolo particolare nel definire la situazione dell’Ucraina, lasciando intendere che, in virtù di questo, gli interlocutori privilegiati di Kiev in Europa devono essere Parigi e Berlino.
Quello che dice Macron è vero in un certo senso: Francia e Germania hanno avuto davvero un ruolo particolare in Ucraina, ma solo nel favorire il conflitto. Questa guerra è, in parte, anche colpa di Parigi e Berlino, sia pure indirettamente. L’asse franco-tedesco è quello che, nel 2014, dopo l’invasione della Crimea, ha fatto in modo che l’Europa restasse a guardare, limitandosi a qualche blanda sanzione e a qualche vuota condanna formale dell’aggressione russa. E che l’Ucraina dovesse cedere, già all’epoca, alle pretese di Mosca, sottoscrivendo gli accordi di Minsk. Se allora fossimo stati altrettanto risoluti con la Russia, se avessimo sostenuto l’Ucraina sin dal primo momento, sin da quando la sua sovranità e la sua integrità territoriale hanno iniziato a essere minacciate, se avessimo evitato di fare i conti della serva e ci fossimo opposti alla Russia quando era il momento di farlo, se ci fossimo resi conto prima della pericolosità del rinascente imperialismo russo, forse a quest’ora non ci troveremmo in questa situazione.
L’asse franco-tedesco ha incoraggiato la Russia ad andare avanti nei suoi disegni espansionistici, dimostrando che l’Europa è una mammoletta pronta ad arrendersi e a concedere qualsiasi cosa pur di non andare allo scontro, mostrando al Cremlino che, nella peggiore delle ipotesi, avrebbe potuto ottenere comunque un qualche contentino dalle sue scorribande militari. Ancora oggi, l’asse franco-tedesco è quello che si oppone alla consegna di armi sempre più potenti e sofisticate alla resistenza ucraina, con le quali quest’ultima potrebbe facilmente respingere i russi e trasformare l’iniziativa putiniana in un totale e rovinoso fallimento.
Macron continua a telefonare a Vladimir Putin, sicuro di riuscire a convincerlo a sedersi al tavolo delle trattative, pur senza precisare a che prezzo, senza specificare quanto bisognerebbe essere disposti a concedere all’autocrazia moscovita. Scholz si è opposto fino alla fine alla consegna dei tank Leopard 2 a Kiev – che non sarebbe mai avvenuta senza il pressing della Polonia e degli Stati Uniti – e ora contesta la richiesta di Zelensky circa l’invio di F16 per difendere i cieli ucraini. Entrambe le capitali europee vivono nell’illusione che la via diplomatica possa funzionare e che possa essere la soluzione al conflitto: gli eventi del 2014 sembra non abbiano insegnato niente ai francesi e ai tedeschi, che ancora si crogiolano nei loro successi mai ottenuti.
Altro che Belpaese isolato: Zelensky, nel breve incontro avuto con Meloni a Bruxelles, avrebbe confidato alla nostra premier di essersi rammaricato per l’esclusione dell’Italia e di altri Stati – come Svezia e Polonia – dal summit di Parigi, riconoscendo il grande impegno da parte loro nel sostenere lo sforzo bellico di Kiev. L’Italia, nell’esprimere le sue perplessità circa l’iniziativa franco-tedesca, si è fatta portavoce delle rimostranze anche di altri Paesi, a partire dalla Polonia, come quelli Baltici e nord-europei.
Zelensky ha quindi toccato il punto: l’Italia, come la Polonia, la Svezia o la Gran Bretagna, meritano molto più di Francia e Germania nell’interloquire con il leader ucraino e nell’occuparsi della guerra, perché sono i Paesi che stanno facendo tutto il possibile perché Kiev possa aspirare alla vittoria, a una vera libertà, a un futuro in Europa e nella Nato. E perché non debba accontentarsi di continuare a esistere mutilata nel suo territorio e limitata nella sua sovranità, grazie all’ennesimo accordo ridicolo e capace solo di rimandare l’inevitabile. Perché questo è tutto ciò che il duo Macron-Scholz può procurare all’Ucraina: un Minsk 3 che sarà una mezza vittoria per i russi e una totale disfatta per l’Ucraina, per l’Europa e per l’Occidente.
Aggiornato il 14 febbraio 2023 alle ore 11:41