Per un “41 ter”: politica ma non mafia

Può Alfredo Cospito stare in una casa (circondariale) comune con Matteo Messina Denaro? In altre parole, è ammissibile, sotto il profilo della legge penitenziaria, distinguere le misure di detenzione da “carcere duro” tra terrorismo mafioso ed eversione a scopi politici? Soprattutto nel caso che gli autori di quest’ultima fattispecie si siano limitati al danneggiamento di cose o beni sia pubblici che privati, senza incorrere in reati di sangue, né in conflitti armati con le forze nazionali di sicurezza? Questo per escludere qualsiasi paradosso del tipo “dichiararsi prigioniero politico”, alla Moretti-Curcio dei tempi delle Br, che pretendevano di vedersi applicata la Convenzione di Ginevra, pur essendo la loro organizzazione terroristica responsabile di centinaia di delitti e ferimenti gravi nei confronti di politici, uomini e donne dello Stato, del sindacato, della cultura e di semplici cittadini. Del resto, la legislazione sui pentiti di mafia o di terrorismo ha ridato la libertà e nuove identità a quei collaboratori che avessero dato un contributo decisivo a smantellare le proprie organizzazioni, malgrado i gravissimi delitti da loro commessi. In linea generale, è ammissibile pensare che un eversore a fini politici abbia background e scopi non assimilabili a quelli della grande criminalità organizzata, malgrado l’identica rilevanza nelle loro inammissibili condotte, rispetto al pregiudizio arrecato alla sicurezza dello Stato per condizionarne le istituzioni e piegarlo ad assecondare i propri fini eversivi? E, in caso di risposta affermativa, va pensato un regime “duro” ma differenziato?

L’anarchismo “fluido”, senza alcun vertice di “Direzione strategica” alla Br, né pratiche di ricorso a delitti di criminalità comune, come rapine, estorsioni e rapimenti per l’autofinanziamento dell’organizzazione, può essere assimilato alla fattispecie puramente “eversiva” e non semplicemente “velleitaria”, come poi lo è nei fatti, qualora si sia espresso in sporadiche apparizioni dimostrative nei tempi lunghi, per le quali non si può parlare di “organizzazione terroristico-eversiva” sistemica? Soprattutto quando si invoca alla rivolta contro lo Stato nelle pubblicazioni di area e nei discorsi incendiari dei suoi aderenti, senza poi passare all’azione? Evidentemente no. Oggi, si può serenamente dire che, nel caso specifico di Alfredo Cospito, la sua “collusione” con gli ambienti mafiosi di personaggi di primo piano reclusi al 41 bis sia un fatto esclusivamente “strumentale” (e strumentalizzato dalle organizzazioni mafiose stesse), per rimuovere un ostacolo giuridico, come l’attuale regime carcerario speciale. Domanda: tutto questo sarebbe stato possibile se, appunto, vi fosse stato una sorta di “articolo 41 ter” che avesse fatto la differenza sostanziale, spaziale e temporale, tra reati “politici” e quelli “mafiosi”, questi ultimi ben più abietti sul piano etico-morale, benché ugualmente impattanti (e quindi parimenti punibili) a livello di attentato contro la sicurezza dello Stato?

Infatti, qui non si sta parlando di diversa attribuzione ed entità della pena, ma della possibile distinzione nel trattamento carcerario del responsabile condannato per reati politici gravi. La domanda cui rispondere è, in sintesi la seguente: un condannato che si è pienamente connotato con un’attività politica anche estrema, assolutamente non condivisibile e addirittura punibile con il carcere duro, che però avviene alla luce del sole, quindi né clandestina, né armata, ma solo dimostrativa con minacce a esponenti politici e istituzionali, danni conseguenti a beni pubblici e privati (come nel caso del movimento anarchico internazionale), ha diritto o no a un “41 ter”? Nel senso di riconoscere nel suo caso un diverso regime carcerario a garanzia della sua libertà di informazione, opinione, dibattito, combattendo le sue idee con una dose significativa di “informazione corretta”? Per esempio, togliendo al condannato qualsiasi limite alla lettura di libri, e/o redazione di contributi scritti per la partecipazione personale e volontaria a seminari online di “contro-informazione” (di netta contrapposizione, cioè, alle sue scelte politico-ideologiche), tenuti da organizzazioni riconosciute, gruppi di studio universitari e specialistici che facciano da rigoroso contraltare culturale, intellettuale e politico all’ideologia eversiva di cui il condannato si è fatto portatore nella sua vita civile?

Questo perché solo il confronto con idee contrapposte può efficacemente spezzare le catene dei circuiti chiusi e auto-alimentanti, che contraddistinguono la vita politica di soggetti che praticano la loro attività in ambienti chiusi extraparlamentari radicali, senza mai confrontarsi con il pensiero politico e sociale alternativi del resto del mondo! Né alcun limite andrebbe applicato agli incontri con i parenti, a esclusione di congiunti che abbiano interessi, connessioni o attinenza con i suoi gruppi eversivi di appartenenza. Ben più pericoloso si è rivelato nel tempo, sia all’epoca del primo terrorismo rosso e nero italiano, sia poi nelle fasi successive di quello internazionale e mondiale di matrice islamica (si veda in proposito il quaderno La radicalizzazione del terrorismo islamico dell’Istituto superiore di studi penitenziari), la “conversione dal carcere” di terroristi delle due specie. Nel primo caso, i militanti delle formazioni terroristiche “secolari” (Olp compresa!) si sono trovati negli anni 70 a convivere sotto lo stesso tetto carcerario con delinquenti comuni, che sono poi stati politicizzati e affiliati alle loro organizzazioni rispettive, che li hanno così “redenti” attribuendo tutte le colpe delle loro disgrazie e dei crimini commessi alla società ingiusta e infame dello sfruttamento capitalista-imperialista.

Idem, per quanto avvenuto soprattutto alla fine degli anni Novanta e agli inizi del XXI secolo per i terroristi islamici (vedi gli autori della strage del Bataclan a Parigi), ai quali è stato garantito il perdono di Dio, grazie alla rivelazione della questione identitaria dell’Islam politico (l’Umma mondiale), che non distingue tra etnie e nazionalità e perdona tutti i crimini commessi in precedenza dal miscredente convertito contro l’Occidente blasfemo e corrotto. Conferendo ai neoconvertiti per di più la licenza di uccidere o convertire a loro volta gli infedeli, secondo i sacri principi del Corano, rivisti e corretti nella interpretazione salafita fondamentalista delle condotte del buon musulmano. Ora, ancora oggi per il carcere ordinario rimangono invariati i rischi storici già registrati in passato, dato che è praticamente impossibile distinguere a priori eversori da delinquenti comuni, qualora i primi siano stati condannati e ristretti per reati ordinari, e non sia precedentemente nota la relativa militanza in organizzazioni terroristiche autoctone o internazionali. Ma, anche in questi casi, rimangono praticamente pari a zero le probabilità che un “picciotto” mafioso, condannato per reati comuni e non ancora per il reato associativo, scelga di abbandonare il suo sodalizio e aderire alla lotta armata “secolare” del terrorismo politico. Quindi, non sono tanto i soggetti acclarati come Alfredo Cospito a rappresentare una seria minaccia per la sicurezza dello Stato, quanto i potenziali eversori che si stanno preparando a livello internazionale e nazionale, come farebbe il moto dell’onda: insopprimibile, ineliminabile e perenne, dato che i sentimenti estremi di odio e vendetta sono propri dell’intima, perversa natura dell’animo umano.

Perché l’eversione ha mille facce e l’odio politico-sociale oggi entra in terribile risonanza con i gruppi chiusi dei social, e con le contaminazioni strumentali dell’Intelligenza artificiale che crea molte migliaia di automi (bots, sempre più simili a persone reali!), pilotati da centrali estere di hacker e da sistemi politici nemici dell’Occidente, che inquinano con la loro disinformazione pilotata la vita intellettuale e i rapporti sociali di molti milioni di cittadini comuni. Da qui viene e verrà sempre di più la minaccia seria ed eversiva contro i poteri dello Stato democratico. Un’ultima annotazione: i partiti dell’arco costituzionale che si sono ritrovati politicamente e storicamente dallo stesso lato della barricata quando fu il momento di scegliere la lotta comune (umana, politica, legislativa in Parlamento) contro il brigatismo e ogni forma di terrorismo rosso-nero, non dovrebbero “mai” accusarsi di collusione con la strategia mafiosa di strumentalizzare proteste politiche pur legittime per l’abolizione del “41bis”, e dell’ergastolo ostativo per reati associativi gravissimi di mafia e terrorismo. Perché non si tratta più, in questo caso di propaganda politica pur estrema ma, semplicemente, di suicidio politico collettivo, che avrà come emblema e sua conclusione il dilagare dell’astensionismo elettorale e il degrado irreversibile della convivenza civile.

Aggiornato il 09 febbraio 2023 alle ore 10:26