
Sul Decreto Ucraina si sono registrati i mal di pancia dei parlamentari di Articolo uno. Questo atteggiamento nel Partito democratico ha riacceso i dubbi sul “ricongiungimento familiare”. Oltre che per la prospettiva di un ritorno di nomi ingombranti, come quello di Massimo D’Alema, nell’area riformista dem c’è più di una remora anche riguardo la linea politica. I dubbi hanno preso forma durante la seduta della Camera sul nuovo invio di armi a Kiev, quando due esponenti di Articolo uno non hanno partecipato al voto: il coordinatore nazionale, Arturo Scotto, e Nico Stumpo. Hanno invece votato sì Roberto Speranza, Federico Fornaro e Cecilia Guerra. Il testo è stato definitivamente approvato con 215 voti a favore. Hanno votato contro i parlamentari del M5s e dell’Alleanza dei Verdi e Sinistra italiana. Il posizionamento rispetto la guerra in Ucraina richiama il fronte delle alleanze, che è motivo di attrito fra le varie anime del Pd. Oltre a quello, Elly Schlein ne ha aperti altri: “Sì alla legalizzazione della cannabis”, ha risposto su Instagram alle domande della pagina satirica Socialisti gaudenti. E sì a una “tassa di successione progressiva”.
Proposte che per ora non hanno acceso il dibattito, ma che sono destinate a riemergere fra i temi del congresso. Il voto sull’Ucraina ha avuto come rumore di fondo l’atteggiamento dei candidati alla guida del Pd – Elly Schlein, Stefano Bonaccini, Gianni Cuperlo e Paola De Micheli – nei confronti di Articolo uno. Non è un mistero che Schlein sia quella che ha aperto con più slancio. Stefano Bonaccini si è invece mostrato il più freddo, anche se in giornata si è rivolto “agli amici di Articolo uno” con un virtuale “bentornati”. La mossa di Scotto e Stumpo ha quindi dato un certo fastidio alle truppe del governatore dell’Emilia–Romagna, anche per la pubblicità dei modi: per annunciare che non avrebbe votato, il coordinatore di Articolo uno ha pubblicato un intervento sul Fatto Quotidiano: “La politica – ha scritto – ha scelto di riposarsi affidandosi alla scorciatoia più deresponsabilizzante: quella militare”.
E poi, in Aula ha aggiunto: “Manca totalmente la voce della diplomazia e una strategia dell’Europa per arrivare a un negoziato”. In quegli stessi momenti di dibattito alla Camera, il deputato Piero De Luca, coordinatore di Bonaccini per il programma sul Mezzogiorno, sottolineava invece l’importanza di un Pd “compatto”, spiegando che “è indispensabile continuare a sostenere la popolazione e le istituzioni ucraine con tutti i mezzi di assistenza necessari, anche militari”. Nelle truppe del gruppo Pd–Italia democratica e progressista, quelle degli Articolo uno non sono state le uniche voci discordanti. Tutti voti favorevoli tranne quello di Paolo Ciani, segretario di Demos, che ha votato contro al decreto Ucraina. E anche Laura Boldrini non ha partecipato. “Boldrini è una supporter di Schlein”, ha fatto notare con un po’ di malizia qualche parlamentare vicino a Bonaccini. “Schlein ha votato sì al decreto, con tutta la sua squadra compatta”, è stata la risposta della controparte.
Che nel Pd ci siano sensibilità diverse non è un mistero. Non a caso, per trovare una posizione comune a tutte le aree, i dem hanno presentato un ordine del giorno che, come ha ricordato De Luca, spinge sull’azione diplomatica internazionale, per il “raggiungimento di un cessate il fuoco immediato e l’avvio di una nuova fase, con un tavolo per la pace”. A rendere il voto sull’Ucraina più ardente è stata la geografia dell’esito, che ha fatto intravedere l’altro scenario di divisione – dentro il Pd e fra Pd e Articolo uno – quello delle alleanze, degli equilibri con le altre forze di opposizione.
Aggiornato il 25 gennaio 2023 alle ore 11:46