
A quanto pare, Palazzo Martens (sede del Parlamento Ue) è senza “portiere”. Un porto di mare, in pratica, dove molte migliaia di lobbisti (13.500 sono quelli registrati), assieme a non pochi altri soggetti non abilitati, vanno e vengono come se fossero casa loro per orientare a proprio vantaggio le scelte parlamentari. Per scoprire questo traffico davvero incredibile c’è voluto l’Italian Job, così come viene definita la pratica corruttiva (probabilmente sistemica) condotta sotto la regia di Panzeri & Company, Lobbisti “di sinistra” questi ultimi, che il denaro lo pesano a quintali e non lo contano, visto che i loro sponsor qatarini ne hanno a volontà e quelli marocchini cercano di essere all’altezza dei primi, anche se sono molto più poveri di loro. Noi italiani (noti esportatori di mafie) pensavamo di avere un baluardo di moralità nei politici di sinistra e, invece, ce li siamo ritrovati all’interno del Cavallo di Troia della corruzione internazionale nel cuore dell’Europa. Ma, del resto, ai tempi della Dc, Enrico Berlinguer sollevò la “questione morale” addossando ai suoi avversari tutte le colpe del malcostume politico delle tangenti, senza che mai gli fosse chiesto a lui e al suo partito conto e ragione sulla “moralità” di chi, come il Pci, riceveva valige di soldi da Mosca per sostenere gli interessi sovietici contro le democrazie occidentali. Tempo fa, nel lontano 1993, la tanto bistrattata Italia si trovò con grande lungimiranza ad adottare una legislazione trasparente che separava la responsabilità politica da quella amministrativa, per arginare la corruzione dilagante (soprattutto in materia di appalti pubblici) nella Pubblica amministrazione.
Invece, stando all’evidenza dei fatti, nella non-regola di Bruxelles un buon numero di ex commissari Ue e non pochi parlamentari uscenti assumono incarichi a tempo record come lobbisti (diventando così controllati, da controllori quali erano fino a poco tempo prima!), al servizio più o meno legittimo di grandi interessi di gruppi economici e di Paesi terzi, manovrando il loro traffico di influenze dietro le quinte insospettabili di una miriade di Ong. Tra queste ultime, nell’inchiesta in corso svolge un ruolo di primo piano, come facciata perbenista per la copertura del traffico illecito di influenze, l’organizzazione “Fight Impunity”, con conti correnti sia in Marocco che in Qatar. La Ong annovera nel suo board personalità del livello di Federica Mogherini, Bernard Cazeuneve (ex primo ministro francese) e gli ex commissari Ue Emma Bonino e Dimitris Avramopoulus, che si sono immediatamente dimessi, dichiarando la loro totale estraneità ai fatti oggetto dell’inchiesta. A intervenire criticamente in merito è proprio il conservatore Financial Times del 17 dicembre (in “Suitcases of cash, luxury holidays and secret accounts: Qatar bribery scandal rocks Europe”) che ripercorre analiticamente le iniziative sospette di lobbying della Fight Impunity.
Ovviamente, a ritenersi vittime dell’Italian Job sono soprattutto le formazioni della sinistra europea, madonne pellegrine della purezza ideologica dei bei tempi andati. Perfino Le Monde non fa sconti, nel suo editoriale del 14 dicembre “Parlement européen: l’urgence de la transparence”, che descrive come un film da incubo il Qatargate venuto alla luce grazie alle indagini di almeno quattro servizi segreti europei, dato che il tutto è partito dai contatti che uno degli indagati intratteneva nientedimeno che con il direttore dell’intelligence del Marocco. Correttamente, le nostre barbe finte, al momento in cui sono venute a conoscenza di gravi notizie di reato (tipo i sacchi di banconote conservate a casa della vicepresidente del Parlamento Europeo, la greca socialista Eva Kaili), come da prassi hanno trasmesso gli atti in loro possesso alla magistratura competente di Bruxelles, in modo che potessero procedere all’arresto della stessa Kaili in flagranza di reato, fattispecie quest’ultima non coperta dall’immunità parlamentare. Giustamente, Le Monde considera che il momento attuale è il meno indicato per affrontare uno scandalo che mette in difficoltà le democrazie nei confronti delle autocrazie, e della Russia in particolare che ci sfida sia ideologicamente che in campo aperto con la guerra in Ucraina.
Se prima l’Europa stentava a trovare una sua autonoma collocazione geopolitica, oggi se possibile va ancora peggio, visto che siamo obbligati a mettere ordine prima di tutto a casa nostra. Una cosa è certa: “Il Qatargate fa emergere alla luce del giorno la leggerezza delle regole del Parlamento Europeo a proposito di etica, lotta alla corruzione, gestione dei conflitti di interesse e di lobbying”. Tanto per capirci, gli ex parlamentari europei conservano a vita il loro badge blu di ingresso a Palazzo Martens, senza però che sia fatto loro obbligo di iscriversi al registro dei lobbisti, che dà diritto al rilascio di un badge di colore grigio. Rincara la dose poi Le Monde chiedendosi stupito (ma, anche lì: dov’erano i suoi corrispondenti in questi ultimi tre decenni?) come sia possibile che degli eurodeputati possano autonomamente esercitare la loro responsabilità politica, conciliandola con le funzioni di avvocato o di consulente di parte. Idem, nel caso di ex deputati o ex commissari che al termine del rispettivo mandato accettano impieghi proprio nei settori nei quali hanno svolto le loro precedenti missioni istituzionali.
Perché, poi, nota il quotidiano parigino, non è minimamente concepibile che non vi sia una regola che faccia obbligo agli eletti europei di dichiarare i propri incontri con rappresentati di Stati stranieri. L’indifferenza sui temi etici del Parlamento europeo è dimostrata dal fatto che, mancando un meccanismo indipendente di controllo, si dà ampio spazio alla porosità del sistema che non solo non ostacola il traffico di influenze, ma garantisce di fatto l’impunità relativa agli agenti che se ne rendano responsabili. Ma anche il Qatar (che di recente, a seguito dello scandalo, ha mostrato tutta la sua arroganza minacciando, anche lui come Vladimir Putin, la chiusura dei rubinetti del gas all’Europa) non ci fa bella figura, malgrado le abbia tentate proprio tutte con il suo mondiale avveniristico, pur di far dimenticare i suoi peccati mortali nei confronti delle migliaia di lavoratori immigrati, immolatisi in condizioni disumane di lavoro per costruire i suoi stadi dell’Avvenir.
Difficilmente Bruxelles potrà evitare, a seguito del Qatargate, di mettere finalmente mano a un Regolamento che detti il codice etico e di lobbying, in modo da fare obbligo agli eletti di rendicontare le proprie attività di incontri con rappresentanti o lobbisti di Paesi terzi. Politicamente, sempre Le Monde (“Le Parlement européen secoué par une enquête pour corruption au profit présumé du Qatar”) indaga sui ben strani comportamenti del gruppo parlamentare di Alleanza progressista (S&D), in cui confluiscono socialisti e democratici che, nella sessione di lavoro del 24 novembre scorso, avente per oggetto una risoluzione di condanna per il mancato rispetto dei diritti umani in Qatar, hanno votato contro un emendamento di denuncia delle morti sospette di migliaia di lavoratori immigrati, addetti alla realizzazione degli impianti sportivi dei Mondiali di calcio. Identico comportamento è stato tenuto dalla maggioranza dei parlamentari di S&D in occasione di almeno altri sei emendamenti che intendevano alzare il tono nei confronti delle malefatte del regime di Doha.
Da qui, ha preso le mosse una serie fondata di sospetti da parte degli ambienti parlamentari che vi fosse stata una energica attività di lobbying da parte dei rappresentati qatarioti, anche se nessuno dei dubbiosi era arrivato a pensare addirittura a un’azione corruttiva di questo livello. Anche se, per la verità, avrebbe dovuto orientare al peggio il discorso fuori di senso della vicepresidente Kaili che, in un suo intervento all’Assemblea, era arrivata a dire che “i Mondiali di calcio in Qatar sono la prova concreta di come la diplomazia sportiva possa riuscire a trasformare un Paese come il Qatar in precursore in materia del diritto del lavoro”. Sembra davvero di stare su Marte, seduti però su una montagna di soldi! Per non farsi mancare nulla, in precedenza la Kaili aveva (ovviamente) votato a favore del rilascio ai cittadini qatarini che ne facessero richiesta di “visa-free travel” per visitare l’Europa, come se il Qatar facesse parte delle democrazie liberali! E che cosa dice in merito Doha? Si chiama fuori, come tutti i mandanti anonimi. Insomma, “Italian Job, as usual”.
Aggiornato il 20 dicembre 2022 alle ore 12:52