Caos Pd, tra dimissioni smentite e fughe in avanti

Il Nazareno smentisce le dimissioni di Enrico Letta. In una nota del Pd, in cui si fa riferimento a un articolo pubblicato sulla Stampa, si afferma che la notizia del “passo indietro” è del tutto infondata. In queste ore il segretario è completamente assorbito dall’impegno a presentare sabato, in Assemblea nazionale, una soluzione che superi le attuali complessità regolamentari e statutarie e consenta lo svolgimento con successo del Congresso”. La precisazione dem è sintomatica del momento di crisi profonda che sta attraversando il partito. Un vero e proprio caos. Tra dimissioni smentite e fughe in avanti.

Nella confusione generale s’inserisce Matteo Lepore. Il sindaco di Bologna interviene nel dibattito precongressuale sostenendo che la fase costituente del Partito democratico “va fatta bene, deve durare anche un anno dopo le Primarie che si faranno a febbraio”. Lo dice in un’intervista alla Stampa convinto che “il cancro che sta divorando il Pd è che il confronto sulle idee si è fermato, è solo spartizione di poltrone e non costruzione di un profilo condiviso”. Il Pd “non può oscillare dai decreti Minniti al no al Jobs act, non può esserci questa schizofrenia, serve un profilo popolare e unitario. Bisogna riportare gli astenuti a votare: c’è una grande domanda di alternativa e non sento un vento forte verso la destra, quanto una spinta affinché la sinistra torni a fare il proprio mestiere”.

Si può avere “un partito piccolo elitario, con un profilo ristretto, che consolida il consenso con le alleanze e che rappresenta solo i ceti produttivi; oppure tornare a essere un grande partito popolare in grado di unire il Paese, Nord e Sud, così come tutti i ceti sociali. Io penso che il Pd debba puntare alla seconda opzione. Ma questo andrebbe esplicitato e per questo serve una fase costituente vera”. Nel Pd “ci devono essere culture diverse, ma l’esigenza è quella dell’unità. E questo congresso non può essere di rottura, dove ci si confronta tra un Pd di destra o di sinistra: va archiviata questa modalità maschilista e gladiatoria”. Nella scelta del segretario Lepore è “perplesso sul fatto che le primarie siano lo strumento adatto a questa discussione. Servono a decidere un sindaco, il presidente di regione, ma per dare solidità a questo partito va fatta qualcosa di diverso. In assemblea decideremo di eleggere prima il segretario e di fare poi dopo la discussione sul profilo del partito. Perché in un mese una fase costituente non è credibile”.

Ma ecco un altro sindaco dem che scalpita. È Dario Nardella, primo cittadino di Firenze. Un tempo ultrarenziano, ora convertito alla religione dell’unità a tutti i costi. “Non so cosa Letta deciderà di fare sabato all’assemblea. Io parteciperò ma per me conta un aspetto, non litigare sul tempo che sia troppo o poco, ma impegnarsi perché questo tempo sia speso bene. Ripartiamo dai 5,2 milioni di voti, non sono poco, dobbiamo ampliare il nostro bacino di elettori. Non farei il congresso sulla nostra vicinanza al Terzo Polo o al M5s. Non dobbiamo seguire i consigli di chi pretende di fare il congresso del Pd dall’esterno”.

Nardella lo ha detto in collegamento con Omnibus, su La7, a proposito del futuro del Pd. “Non possiamo dare a qualunque segretario arrivi una delega in bianco sulla definizione dell’identità del Pd. L’identità ce la dobbiamo dare tutti insieme su dei valori comuni e poi ci si confronta anche duramente sulla scelta della leadership. Si affronti la questione del governo con una opposizione forte, si organizzino incontri col mondo giovanile, del lavoro per riflettere sull’identità del Pd”. Per Nardella “non possiamo affrontare un congresso così cruciale per l’identità del Pd dividendoci sui soggetti con cui ci dobbiamo alleare. Le alleanze vengono dopo, prima viene il profilo della nostra identità”.

Carlo De Benedetti, colui il quale si vantava di avere in tasca la tessera numero uno del Pd, lancia bordate contro il Nazareno. Le democrazie moderne “sono minate da due mali che le divorano da dentro: le crescenti disuguaglianze e la distruzione del Pianeta. Un partito progressista che non mette in cima al suo programma questi due punti non serve a niente, e infatti fa la fine del Pd; che ha conquistato la borghesia e ha perso il popolo”. Lo dice De Benedetti in un’intervista al Corriere della Sera. “Il Pd è un partito di baroni imbullonati da dieci anni al governo – spiega – senza aver mai vinto un’elezione. L’attuale segreteria “è stata un disastro – aggiunge – perché in campagna elettorale Letta non ha saputo indicare una sola ragione per cui si dovesse votare il Pd, ma solo ragioni per non votare gli altri. Per la sua arroganza e supponenza il Pd ha corso da solo e ha determinato la vittoria della destra, che alla luce dei risultati non era affatto scontata”.

All’ingegnere, inoltre, quelli che negli ultimi mesi si sono candidati alla segreteria del Partito democratico “non mi sembrano in grado di scongiurare la morte progressiva del Pd”. Venendo alla candidatura di Letizia Moratti in Lombardia, “ho idee politiche da sempre opposte alle sue. Le riconosco professionalità, capacità, onestà, passione, ambizione: tutte qualità”. Un candidato del Pd in Lombardia “non vincerà mai”. Mentre “contro Attilio Fontana la Moratti può farcela. Se il Pd la appoggiasse, secondo me ce la farebbe”. Lo scopo tattico “di un partito all’opposizione è mettere in difficoltà il governo. E la Lombardia è una partita decisiva”. Se Matteo Salvini “perde la Lombardia, cade. E se cade Salvini, cade il governo”. De Benedetti infine definisce l’attuale esecutivo “disastroso”, e “obbrobrioso”. Finora “ha fatto solo stupidaggini” e “sui migranti il governo ha fatto una figura da cioccolatai: ha proclamato ‘non scenderanno mai’, e li ha fatti scendere tutti. Con la Francia ha creato un caso, ci è voluto Sergio Mattarella per ristabilire un rapporto almeno formale, e Ignazio La Russa anziché ringraziarlo l’ha attaccato”.

Aggiornato il 17 novembre 2022 alle ore 15:58