L’Europa all’asilo: come fare naufragio

Ma “Ginevra” (nel senso della Convenzione) non è Lancillotto che tutti salva dalla paura e dal pericolo! Al contrario: a chi paga qualche migliaia di euro pro-capite per i viaggi della speranza su barconi fatiscenti, le organizzazioni criminali che controllano il traffico di esseri umani danno una sola istruzione: farsi naufrago. Come? Bloccando il timone della barca, ovvero sabotando o gettando in acqua il motore del gommone sul quale gli immigrati viaggiano aggrappati e ammassati ai bordi, per andare così alla deriva in acque internazionali, in modo che il diritto del mare obblighi chiunque si trovi in un raggio utile d’azione a soccorrere il loro natante non più in grado di navigare!

Dopo di che, il gioco è fatto: si lancia un segnale di Sos con un cellulare satellitare fornito dagli scafisti e, guarda caso, qualcuna della navi della flotta delle Ong si trova sempre nei paraggi per provvedere a recuperare a bordo i “naufraghi”, orientando poi invariabilmente la prua verso le coste italiane, dato che per un mistero della natura i porti più vicini di Tunisia e Algeria (entrambi Paesi firmatari della Convenzione!) non sono ritenuti “sicuri” a discrezione dei loro comandanti, e non in base a un documento giuridicamente vincolante della Ue! Dopo di che, guarda sempre il caso, non si danno mai istruzioni ai naufraghi di chiedere “verbalmente” asilo politico al comandante della nave, per cui in base ai Trattati europei di Dublino I e II il Paese di bandiera verrebbe a coincidere con quello di prima accoglienza e obbligato, pertanto, a prendere in carico e a esaminare la relativa richiesta d’asilo.

Eppure, basta fare riferimento ai documenti formali congiunti di Imo (International Maritime Organization) e Unhcr, come “Rescue at Sea” che al capitolo “Doveri del Comandante”, alinea sei, evidenzia l’obbligo fatto al capitano della nave di soccorso di comunicare al Rescue coordination centre: “Dettagli sulle persone salvate, che includano: numero totale; nominativo, genere ed età; stato di salute apparente e condizioni mediche (inclusa ogni specifica esigenza medica)”. Ora, a partire dall’obbligo del Comandante di identificazione dei naufraghi, sarebbe sufficiente coordinarsi, da parte italiana, maltese, cipriota e greca, per far arrivare la seguente controinformazione ai migranti salvati dalle navi Ong, battenti bandiera di un Paese della Ue aderente al Trattato di Dublino: le persone salvate, una volta issate a bordo della nave in acque internazionali, possono formulare anche solo “verbalmente” domanda d’asilo al Comandante, per essere poi automaticamente trasferiti, al momento dello sbarco in altro Paese che offre un porto sicuro, verso lo Stato europeo di bandiera.

Tanto più che, comunque, tutti i migranti economici sono stati istruiti alla partenza dai trafficanti ad azionare immediatamente, una volta scesi a terra, la Convenzione di Ginevra, che fa obbligo agli Stati di accoglienza di esaminare e processare comunque le domande d’asilo, anche se palesemente infondate. Questo uso strumentale e aberrante di una norma del diritto internazionale, concepita per situazioni di vera emergenza e non per un piano articolato e programmato di flussi non autorizzati di immigrati irregolari, provoca uno stato d’assedio permanente ai confini marittimi “comuni” della Ue. Si dà così luogo a un fenomeno migratorio che costituisce un vero e proprio abuso di una norma “alta”, a carattere politico-umanitario, come la Convenzione sui rifugiati. Di fatto, trattandosi quasi esclusivamente di migranti economici, questa vera e propria “prevaricazione”, da parte di chi ce la fa ad arrivare sulle nostre coste, è all’origine di una clamorosa ingiustizia umanitaria nei confronti di altri milioni di persone che si possono considerare “vicini di casa” di coloro che arrivano sui barconi in Italia e in Europa e hanno, quindi, gli stessi potenziali diritti di accoglienza, ma non possono esercitarli pur volendolo, in quanto privi di mezzi per pagare la tratta ai trafficanti. Ne deriva, oggi, che la Convenzione stessa è degradata a strumento per favorire un fenomeno illegale di massa, come quello dei migranti economici, che non ha nulla a che vedere con l’emergenza umanitaria derivante da guerre e genocidi!

Mentre a sinistra si fa finta di nulla mantenendo demagogicamente in piedi la finzione del rifugiato, a destra finalmente c’è qualcuno che inizia a porsi il problema. Lo fa a chiare lettere, buon ultimo, Le Figaro del 12 novembre, con il suo “Ocean Viking: le droit d’asile dénaturé” di Mathieu Bock-Côté, suggerendo che la nave delle Ong attraccata a Tolone è solo un minuscolo ingranaggio di un ben più ampio meccanismo sistematico di violazione dei confini comuni, che si presenta con caratteri di assoluta continuità nel tempo. Vale la pena di citare letteralmente l’attacco iniziale dell’articolo, secondo cui questa strategia rappresenta: “una condotta pianificata di violazione delle frontiere europee, di cui sono coautori i trafficanti criminali e le Ong, laddove la funzione di queste ultime è di giocare la carta del ricatto umanitario, al momento in cui le società occidentali non acconsentano immediatamente all’apertura delle loro frontiere”, accogliendo così senza riserve chi si è fatto naufrago per propria scelta. “Ong e reti criminali si iscrivono all’interno di uno stesso dispositivo, che li vede indissolubilmente legati”.

Anche se è profondamente errato (in assenza di condanne da parte della giustizia nazionale e internazionale) parlare di “collusione e complicità” tra l’aiuto umanitario e gli sfruttatori criminali dei migranti economici. Ma, una volta lasciate attraccare le navi delle Ong, va risolta e affrontata la questione spinosissima di rimandare indietro coloro che non hanno diritto all’asilo, rinviandoli al loro Paese d’origine. “Il problema, a questo punto, è di importanza fondamentale: noi siamo testimoni di una manipolazione su larga scala del diritto d’asilo, al punto di fare di quest’ultimo una vera e propria filiera della migrazione illegale”.

All’origine, infatti, il diritto d’asilo ha svolto un ruolo fondamentale per accogliere persone perseguitate e dissidenti (e si parla di numeri sempre molto contenuti) che cercavano protezione presso un altro Stato sovrano, pronti tuttavia a rientrare nei propri Paesi di origine, una volta venute meno le ragioni che li avevano indotti a cercare rifugio all’estero. Invece, oggi accade che la Convenzione di Ginevra “serva a permettere la migrazione di intere popolazioni e comunità da un Paese all’altro, o da una civilizzazione all’altra, o addirittura tra due continenti. Questa è la trama di fondo dei nostri tempi: il Sud risale verso il Nord, alla ricerca della prosperità di cui si è fantasticato, piuttosto che di sicurezza, senza rendersi conto che questa pressione demografica rischia di far implodere le società occidentali, destrutturandole e fratturandone la coesione sociale dall’interno”.

Ma sono proprio queste ultime a non sapere come fare per arrestare un fenomeno epocale, che proprio la loro debolezza ideologica ha consentito che si realizzasse. Questo perché le società occidentali “sono prigioniere di una struttura giuridica e di un discorso ideologico sui “valori”, del tutto fuori tempo e fuori luogo rispetto all’epoca in cui viviamo”. Un mondo immaginario senza frontiere, infatti, mira a neutralizzare le differenze identitarie e di cittadinanza, per spianare la strada a un umanitarismo inedito inteso a sostituire il principio della diversità dei popoli con quello della totale intercambiabilità delle popolazioni.

Le conseguenze aberranti sono chiare: l’affermazione di un simile principio comporta l’illegittimità e l’impossibilità stessa di far ricorso alle frontiere, cosicché un ordine nuovo, post-politico, possa emergere dalle rovine delle sovranità nazionali. E queste finalità, a quanto pare, sono praticate dalle Ong immigrazioniste, che si ritengono l’avanguardia illuminata del diritto umanitario e trovano le loro corrispondenze forti all’interno di reti associative nazionali per la difesa dei diritti dei migranti, che moltiplicano le azioni spettacolari al fine di costringere le società occidentali a naturalizzare i clandestini. E queste ultime sono spesso costrette a cedere nel rispetto dei loro impegni internazionali, accogliendo tutti coloro che vogliono entrare senza essere stati invitati. Ora, nota Le Figaro, sono proprio questi vincoli internazionali a rappresentare il frutto non di una volontà popolare, bensì della decisione di una nomenclatura elitaria mondializzata di funzionari d’apparato progressisti, che si accordano tra di loro attraverso una miriade di associazioni che fanno riferimento a una governance globale, di tipo europeo e onusiano.

Pertanto, dovrebbe essere consentito sollevare seri dubbi sulla presunta legittimità di questo “diritto internazionale” che si configura come un colpo di stato ideologico, concepito sulle spalle dei popoli e pregiudizialmente contro di loro. Morale: un popolo che desideri preservare le sue frontiere è per definizione “colpevole” e, addirittura, “nauseabondo” se intende restare padrone a casa sua. Ne deriva che i ceti popolari delle società occidentali sono sempre più stanchi di subire questa forma di immigrazione massiva del tutto indesiderata, che crea al loro interno una nuova specie di miseria, condannandoli alle angherie della deprivazione esistenziale. Il Governo italiano, pertanto, farebbe bene a prenderne nota.

Aggiornato il 14 novembre 2022 alle ore 09:24