Per favorire la “riqualificazione delle strutture carcerarie per allineare sempre di più i luoghi dell’esecuzione penale intramuraria alla funzione costituzionale di responsabilizzazione del detenuto in una reale visione di reinserimento sociale e recupero personale” l’ultima Commissione per l’architettura penitenziaria risalirebbe a quella promossa dal ministro Alfonso Bonafede.
Non sappiamo se la relazione redatta anni fa sarà consegnata al ministro Carlo Nordio o al viceministro Sisto. Confidiamo che al Ministero non si vogliano ricalcare soluzioni tecniche precotte, in parte ancora ispirate agli Stati generali della Giustizia, promossi nel 2015 dal ministro Andrea Orlando – da considerare buone per qualunque altra e diversa visione penale. Valide soluzioni metodologicamente sostenibili redatte da esperti riguardanti il recupero e il restauro dell’esistente o, in alternativa, nuove costruzioni di carceri sono ancora oggi tutte da inventare e da proporre in un Piano strategico nazionale.
Purtroppo, nonostante il cambiamento di diversi ministri, c’è da domandarsi quali siano i criteri che hanno visto regolarmente riconfermati nel tempo sempre gli stessi componenti nelle diverse commissioni e tavoli tecnici che, peraltro, sulla complessa tematica di che trattasi, nulla hanno prodotto di realmente significativo. In tal senso è appena il caso di domandarsi perché non si sia ricorsi, come di buona norma lo Stato dovrebbe fare, a selezioni obiettive riferite a bandi, concorsi, titoli specifici, pubblicazioni, saggi, progetti, attività umanitarie e di sostegno al diritto e alla pratica dell’esecuzione penale? In effetti non sarebbe male sapere se coloro che hanno ripetutamente partecipato a questi tavoli abbiano maggiore esperienza di altri o se invece abbiano acquisito una sorta di diritto permanente per aver partecipato a precedenti commissioni voluti dal Ministero. Salvo piccole varianti, le componenti tecniche che nel tempo partecipano ai diversi Comitati di studio sembrano essere sempre le stesse. C’è da supporre che solo per facilità amministrativa il Ministero della Giustizia in passato abbia voluto quasi sempre riproporre identiche rappresentanze.
Avendo ormai accertata nei fatti l’inutile speranza di fare passi avanti circa significativi miglioramenti nell’attuale condizione carceraria sarebbe logico, anche in questo caso, cambiare registro. Ingenuo è chi spera di guarire il malato avvalendosi sempre dello stesso medico se, dopo anni di presunta cura, il paziente è moribondo. Purtroppo nella compagine tecnica delle consulenze sembra ci sia ancora qualche sostenitore del già contestatissimo progetto destinato a suo tempo per il nuovo carcere di Nola: la più mostruosa ideazione di cui ancora forte è il ricordo di un modello carcerario oltre che costosissimo anche contrario a tutti i criteri più avanzati dell’esecuzione penale, sul quale il Ministero della Giustizia oggi farebbe bene a prendere opportune e definitive distanze ufficiali. Molti sono i difetti che in Italia legano la burocrazia e la politica al mondo professionale esterno dove, col tempo, si stabilizzano conoscenze, relazioni, consuetudini. Troppo spesso però si preferisce adagiarsi sulla più comoda ripetizione di consolidate procedure di appartenenza.
Il Governo del presidente Giorgia Meloni, come atto programmatico e simbolico, ha voluto ridefinire con la nuova locuzione il Ministero dell’Istruzione e del Merito. Giusto: speriamo che il Merito entri a pieno titolo anche negli altri Dicasteri.
(*) Vicepresidente Cesp – Centro Europeo Studi Penitenziari
Aggiornato il 09 novembre 2022 alle ore 09:16