La vittoria mutilata dell’Italia

Il 4 novembre del 1918 terminava la Prima guerra mondiale, grazie all’ardua prova che l’Italia ha superato grazie a una grande e eccezionale vittoria. Vittoria certamente agevolata dalla disgregazione crescente dell’esercito austro-ungarico; ma questa rappresentava pur sempre il risultato di tutta la tremenda lotta proseguita, con mirabile tenacia, per tre anni e mezzo, nonché dell’opera dissolvente anche se tardiva svolta dal Congresso di Roma fra i popoli della duplice monarchia.

L’esercito italiano, esponente delle forze vive della nazione dopo cinquant’anni di vita unitaria e libera, si era mostrato uno strumento di guerra possente, e la leggenda che gli italiani erano incapaci di battersi era sfumata. Stavano a testimoniarlo i suoi 600mila morti con i 21mila ufficiali di complemento, fior fiore della nuova classe dirigente, che li avevano guidati al sacrificio. E sul mare la flotta italiana, per quanto ben poco superiore a quella austriaca e sostenuta al minimo dalle flotte alleate, in condizione strategica inferiore aveva quasi sempre avuto la supremazia. La flotta avversaria, vigliaccamente, non aveva mai osato scendere a regolare battaglia e né poteva vantare imprese come quelle dei nostri mas (motoscafi armati siluranti), ma aveva preferito limitarsi a qualche raro colpo di mano sulle coste indifese, all’insidia sottomarina e, peggio ancora, all’opera di sabotaggi perpetrati da elementi criminali, come avvenne sciaguratamente nella nostra Puglia per le corazzate  “Benedetto Brin” – a Brindisi nel 1915 – e “Leonardo da Vinci” a Taranto, l’anno dopo.

L’Italia aveva sopportato virilmente l’immeritato disastro di Caporetto e perseverato nella lotta fino allo sfacelo della grande potenza avversaria che provocava, come contraccolpo, il cedimento della Germania. Ora, l’Italia usciva, più di tutte le potenze europee vincitrici del grande conflitto, come quella che aveva soddisfatto le sue aspirazioni nazionali e di sicurezza. Al posto di una grande potenza militare retrograda, si trovava ad avere confinanti o vicini un certo numero di medi o piccoli Stati chiamati alla vita libera e gravati di pesanti e difficili problemi interni. Stati dei quali essa avrebbe certamente potuto in un certo modo porsi alla testa, facendo un’opera illuminata di pace e concordia, frenando il serpeggiare di nazionalismi egoisti e avvelenatori. E trovando, al tempo stesso, un invidiabile campo d’espansione economica e spirituale.

In questo modo, anche la crisi interna post-bellica sarebbe stata meno grave e più breve. La nuova Italia avrebbe potuto svolgere le sue naturali tendenze democratiche per portare a soluzione i suoi annosi problemi, senza dittatura e avventure, senza le molte inattese dolorosissime esperienze. Ma, purtroppo, dis aliter visum: gli dei avevano una visione diversa. Infatti, la magnifica occasione non fu saputa afferrare, lasciando prevalere disgraziatamente, altre tendenze che, di fatto, mutilavano la vittoria.

Il 4 novembre 1921 la salma del Milite Ignoto veniva tumulata a Roma, nel sacello dell’Altare della Patria. Al generale Armando Diaz, nominato da Vittorio Emanuele III Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Italiano che con fede incrollabile e tenace valore portò l’Italia in meno di un anno dalla disfatta di Caporetto alla vittoria, già all’indomani della fine della guerra gli venivano dedicati busti, monumenti, e/o intitolati viali, vie e piazze (Bari vanta ancora il suo bellissimo belvedere sul mare che porta il suo nome, come lo Stadio “Arena” della Vittoria, a lui intitolato, voluto e inaugurato nel 1934 dall’allora ministro dei Lavori pubblici, Araldo di Crollalanza). Ma purtroppo bisogna segnalare che oggi le Istituzioni pubbliche del Paese (in specie Comuni, Regioni, Scuole, Università), in più casi, si limitano a soffermarsi sul valore di questo nostro grande condottiero, anziché impegnarsi a mantenerne alta la memoria e ad esaltarne l’importanza, l’esempio volto ai giovani nel ricordo di un’Italia che, tra mille difficoltà, riuscì a vincere una guerra che fu di cruciale importanza nella storia mondiale. E che permise al Paese di coltivare seppur per breve tempo ambizioni di grande potenza.

Il Partito Liberale Italiano, dunque, partecipa a questa grande occasione del 4 novembre, non solo per ribadire l’unità nazionale ma per rivolgere oggi alle Forze Armate del Paese i più grati voti di solidarietà, fratellanza e di spirito di corpo, ricordando il generale Armando Diaz e i tanti, i troppi che, tra dispersi militari e civili, soffrendo la fame, il freddo, la fatica, l’angoscia e la paura nelle trincee sul fronte italo-austro ungarico, non fecero ritorno a casa. E diedero, volenti o nolenti, la loro giovane vita per la Patria Italia, gettando le basi per costruire una società migliore fondata sul rispetto, la giustizia e la pace.

Moltissimi di loro avevano appena diciotto anni. Tra questi un mio zio materno, che non senza tristezza per il suo fatale destino, e con il rimpianto di non averlo conosciuto in questo giorno, anche con sentimento d’orgoglio voglio nominare e ricordare: Vincenzino. Alla famiglia tornò solo il suo consunto portafogli, con all’interno una sua fotografia semi-lacera e sbiadita che lo ritraeva, solenne, in divisa, con l’accenno di un timido sorriso di malinconia.

Il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, verso il quale il Partito Liberale Italiano nutre grande rispetto e forte stima, è atteso a Bari per celebrare questo giorno, in una cornice d’alto e suggestivo spiegamento di uomini, donne e delle modernissime risorse delle gloriose Forze Armate italiane di Mare, di Terra e di Aria. Nel corso della cerimonia il nostro presidente deporrà la corona di alloro presso il Sacrario militare dei Caduti di Oltremare, già inaugurato nel dicembre del 1967, il secondo più grande d’Italia dopo quello di Redipuglia, all’interno del quale sono custoditi i resti mortali di oltre 75mila caduti, riportati in Patria dopo la dismissione dei cimiteri di guerra, collocati fuori del territorio italiano. Vi si trovano le salme dei caduti in Grecia, Albania, Algeria, Marocco, Tunisia, Libia, Somalia, Etiopia, Eritrea, Germania e Mar Mediterraneo, durante la Prima e la Seconda guerra mondiale e di quelli deceduti in campi di concentramento. La stragrande maggioranza è rappresentata da ignoti – 40.372 – mentre i noti identificati sono 29.051 ed i noti non identificati sono 5.675.

Al piano terra è ubicato anche il Museo storico che custodisce numerosi reperti, documenti, cimeli, uniformi, armi e fotografie della Prima e Seconda guerra mondiale. Tutto intorno al Sacrario si estende un ampio parco, con monumenti commemorativi e vari pezzi di artiglieria, nonché una grande campana che tutti i giorni, al tramonto, batte nove rintocchi per ricordare ai vivi tutti i caduti. A tale intensa cerimonia, come la stampa ha anticipato, sarà interdetto l’accesso al pubblico, ma vi parteciperanno soltanto duecento alunni delle scuole elementari.  Va bene così. Purché si festeggi.

A tal proposito, il Pli coglie l’occasione per lanciare due messaggi. Il primo, per invitare i dirigenti e i docenti delle scuole di ogni ordine e grado, pubbliche e private, a organizzare con più frequenza visite di riflessione e meditazione specie negli ambienti simbolo della memoria collettiva, quali sono i Sacrari militari di Redipuglia e dei Caduti di Oltremare, cosicché i ragazzi siano aiutati a comprendere pienamente il senso e il valore della parola “sacrificio”.

Il secondo, è un appello che il Partito liberale rivolge a tutte le forze democratiche e sensibili del Paese, particolarmente dotate di una forte tradizione culturale, scevra da pregiudizi sterili e ideologici. Nel 1922, il 4 novembre venne dichiarato “Festa dell’Unità nazionale e delle Forze Armate”: oggi non lo è più. Ma sarebbe bene che tornasse a esserlo. Questo è il nostro appello, perché la memoria e il sacrificio di uomini e donne italiane – e delle loro famiglie – non possano e non debbano andare perduti.

(*) Direzione Nazionale del Partito Liberale italiano

Aggiornato il 04 novembre 2022 alle ore 10:44