Pd, D’Alema e Bindi cantano il “De Profundis”

Massimo D’Alema e Rosy Bindi attaccano duramente il Partito democratico. Scelgono toni, modalità e luoghi diversi. Rappresentano due visioni opposte dell’Ulivo che fu. D’Alema rivendica, con orgoglio, il retaggio socialcomunista. Bindi, in un percorso di centrosinistra, ritiene necessario l’apporto della componente cattolico-democratica. Ma, su un aspetto, si trovano d’accordo: pur stimando entrambi Enrico Letta gli imputano la responsabilità di una sconfitta che non esitano a definire “storica”. D’Alema, per analizzare la disfatta parte, addirittura, dai complimenti a Giorgia Meloni. “Ha fatto – dice l’ex premier – quello che non siamo riusciti a fare noi. È una donna che ha personalità e grinta. Cosa mi piace di lei? Che ha fatto quello che non abbiamo fatto noi: ha tenuto in piedi un partito, un partito vero, organizzato, che fa una politica di quadri, che ha fatto politica. Non è un Papa straniero, è stato il segretario della gioventù del suo partito, che diventa capo del partito e quindi capo del governo. Per averlo fatto io è stato considerato quasi un colpo di Stato”.

L’ex segretario dei Ds, ospite di In Onda, su La7, usa il suo proverbiale sarcasmo. “Ci siamo raccontati per 25 anni che era finito il Novecento e poi le elezioni le ha vinte il partito più novecentesco che c’è. Evidentemente abbiamo sbagliato narrazione”. Interrogato sul solito sul pericolo “fascista” in Italia, D’Alema risponde sicuro: “Non credo che la vittoria del centrodestra ci porterà al fascismo. Una cosa è il giudizio sul fascismo, un conto sono i residui e i riferimenti simbolici che non sono tramontati, ma non credo che questa destra sia un pericolo fascista”.

Poi D’Alema prosegue nella sua pubblica autocritica rispetto alla fondazione stessa del Pd. “C’è un errore che ho fatto – chiosa – quello di accettare le pressioni per trasformare la coalizione di centrosinistra con il trattino, basata su due grandi partiti, in centrosinistra senza trattino. Non dovevo farlo”.

Rosy Bindi usa un’espressione toscana per parlare dello stato di salute del Pd. “Il partito oggi è come il cane messo a guardia di un campo di aglio”. Intervistata da Repubblica, l’ex presidente dem sottolinea ironicamente: “Perché il cane non mangia l’aglio, ma nemmeno lo fa mangiare agli altri. E questo fa anche il Pd con la sinistra: il Pd, con quel suo 18 per cento, è come un cane a guardia della sinistra. Non riesce a fare la sinistra. Ma non la fa nemmeno fare agli altri”.

“Che fare adesso?”, s’interroga Rosy Bindi. “Vediamo come si struttura questo percorso aperto delineato da Enrico Letta, perché il diavolo sta nei dettagli. Se sarà vero e sincero, allora parteciperemo, e dovremo anche ragionare su come si possa partecipare in maniera organizzata. Se al contrario prevarrà ancora una volta questa idea di frantumare chi ha opinioni critiche o contrarie, allora si potrà anche pensare a un percorso parallelo al congresso”. Non un altro partito, precisa, ma “un percorso che punga da fuori, che stimoli. Il punto, in ogni caso è che non basterà un mazzo di fiori per fare pace”.

Per l’ex ministra della Salute, “il Pd è stato contaminato dal neoliberismo. Quando è nato, è nato come Terza via, quasi blairiana. Il discorso di Veltroni al lingotto era pieno di buone cose, ma quando disse: Anche gli imprenditori sono lavoratori, Walter Veltroni dimenticò che non è vero il contrario. I lavoratori non sono imprenditori”. E poi, Matteo Renzi e il renzismo: “Col suo partito della nazione che puntava a governare a prescindere dall’identità è stato poi il vero punto di rottura. Il Pd ha mai fatto i conti con questo? Questo congresso deve servire a fare finalmente i conti col renzismo. Con i fatti, non solo con le parole. Siamo sicuri, ad esempio, che la destra non presenterà una legge per togliere il Jobs Act: ma il Pd è in grado di proporre una legge simile?”.

Aggiornato il 31 ottobre 2022 alle ore 15:56