
In che cosa si assomigliano Rishi Sunak, il nuovo padrone di casa a Downing Street, e Giorgia Meloni? Secondo i media mainstream, i due leader si gemellano per il colore “scuro”: il primo per questioni etniche; la seconda per ragioni politiche. Solo che il premier inglese è un enfant gâté dell’alta società britannica e noto tycoon della City di Londra, ancora più ricco di Carlo III, per provenienza familiare e successivo matrimonio. Al contrario, la presidente del Consiglio nasce senza padre, in un quartiere popolare di Roma e si è fatta tutta la scalata al potere da sola, forte unicamente dei propri meriti.
Suniak è capo del Governo perché il suo Partito conservatore di maggioranza, quello dei Tories (dopo la disfatta di due suoi precedenti leader del calibro di Boris Johnson e di Liz Truss), è ricorso quasi all’unanimità a lui, anche grazie alla sua pregressa esperienza di ministro del Tesoro del Governo di Sua Maestà. Meloni, invece, se si fa la tara della media del 2-3 per cento di coloro che storicamente, dalla sua fondazione, hanno votato ideologicamente per Fratelli d’Italia, ha ricevuto per davvero un “mandato personale” (sic!) a governare dal restante 24 per cento dei suoi elettori.
Votata esplicitamente, quindi, per fare cose concrete che nulla hanno a che vedere con la stucchevole e puerile “questione dei diritti”, né con la difesa della comunità Lgbtq che, essendo divenuta una lobby mondiale per la conquista del potere, si sa difendere benissimo da sola! In compenso, in comune i due hanno una valanga di problemi, in cui versano le loro rispettive nazioni in grande difficoltà, ma con gli opportuni distinguo!
La sofferenza è, cioè, la stessa ma le cause sono del tutto dissimili. Sul Regno Unito pesa come un macigno la Brexit ideologica, presa sugli scudi degli umori popolari del rifiuto dell’Europa dei burocrati, per dare risalto alla Patria e all’identità nazionale. Punto comune di convergenza quest’ultimo, che ha dato la scossa giusta, a Londra come a Roma, per provocare la rottura di due complementari tetti di cristallo.
Ovvero, la prima donna presidente del Consiglio per l’Italia e, al di là della Manica, il primo premier figlio di una generazione di ricchi immigrati di origine indiana e lui stesso un noto finanziere londinese. Invece, tra gli elementi di disaccoppiamento se ne riscontrano almeno due: il primo rappresentato dalla crisi valutaria della sterlina e dall’alto livello di inflazione di cui, per ora, l’Italia non soffre, grazie allo scudo comune dell’euro. Il secondo è l’approvvigionamento energetico, dato che l’Inghilterra ha vasti giacimenti di idrocarburi nel Mare del Nord e, se proprio non cade il vento (come purtroppo è accaduto l’estate scorsa) un’energia eolica “very green” abbondante e a buon mercato.
Grazie alle loro risorse naturali, pertanto, gli inglesi avranno di che riscaldarsi e far funzionare le loro industrie il prossimo inverno. Ben al contrario di noi, che abbiamo invece seri problemi di approvvigionamento e scorte, per poter bypassare la nostra dipendenza dal gas russo. Invece, sulla politica estera, per quanto riguarda il supporto incondizionato all’Ucraina, compresa la fornitura di armi ultramoderne e la formazione di decine di migliaia di unità dei soldati di Kiev da parte inglese, l’Italia si trova divisa e a parecchie leghe di distanza dai suoi lontani cugini d’Oltremanica.
Sunak dovrà far dimenticare le promesse scellerate della Truss che non solo minacciavano di destabilizzare le finanze pubbliche inglesi, ma che al solo loro annuncio hanno fatto precipitare la sterlina nei confronti del dollaro sui mercati valutari internazionali. Infatti, mentre con il Governo Draghi il deficit primario dell’Italia al netto degli interessi sul debito ha registrato un surplus persino superiore a quello tedesco, in Inghilterra è accaduto esattamente il contrario (si veda Financial Times del 25 ottobre con il suo “Attempts to compare economies of Uk and Italy are overblown”, che poi vorrebbe dire di non esagerare nel mettere sullo stesso piano le due economie-Paese. Suggeritore Mario Draghi?).
L’annuncio catastrofico della Truss di un radicale alleggerimento fiscale per famiglie e imprese ha ricordato da vicino agli esperti finanziari quanto accadde nell’Italia del 1980, quando la politica assistenzialista di uno Stato-Provvidenza che copriva tutti i costi dei servizi pubblici (“dalla culla alla lapide”, come allora si soleva dire) fece esplodere il debito pubblico italiano, in assenza di adeguate contropartite sull’incremento corrispondente delle entrate fiscali, a compensazione delle maggiori spese.
E, come Giorgia Meloni sa benissimo, è proprio questo gigantesco macigno del debito pubblico (altro che dare spazio a scostamenti di bilancio e reddito di cittadinanza à gogo!), ad aver causato la stagnazione economica in questi ultimi venti anni, con Roma costantemente fanalino di coda rispetto alla media della crescita del Pil europeo.
Un debito-monstre, quello italiano, reso ancor più gravoso dall’esasperante rinvio delle riforme strutturali e di sistema, la cui responsabilità chiama in causa soprattutto i governi decennali della sinistra-centro che hanno accettato, pur di assicurarsi il potere, di essere Figli di un Dio minore, rispetto agli euroburocrati di Bruxelles! E tutto mentre negli ultimi due decenni il Regno Unito e la Germania sono state premiate con una crescita superiore al 30 per cento! E sarà proprio questa montagna del debito a rendere particolarmente difficile per il nuovo Governo italiano provare a ridurre nel medio periodo il nostro rapporto Debito-Pil. E ben diverso è l’atteggiamento degli investitori internazionali nei confronti dei due Paesi: per l’Inghilterra, i timori derivano da un atteggiamento molto generoso del Governo di Londra rispetto agli obblighi fiscali dei suoi cittadini, malgrado si registrino deficit commerciali e di bilancio attualmente piuttosto elevati. In Italia, invece accade esattamente il contrario e, se non fosse per l’altissimo livello di indebitamento ereditato nel ventennio Ottanta-Novanta, il nostro Paese sarebbe messo meglio di chiunque altro, avendo fatto registrare un virtuoso avanzo primario per la maggior parte degli ultimi venti anni.
In sintesi: mentre l’Italia ha problemi strutturali abbinati a una bassa crescita e un elevato debito pubblico, le maggiori preoccupazioni per quanto riguarda il Regno Unito derivano proprio dalla sua fin troppo generosa politica fiscale e dagli interventi programmati dal governo per centinaia di miliardi di sterline, a sostegno dell’economia nazionale. Tra l’altro, benché apparentemente le famiglie italiane continuino a vivere al di sopra delle loro possibilità, nondimeno risultano i più forti risparmiatori nell’ambito dei Paesi europei più sviluppati, figurando ben al di sopra del risparmio medio dei corrispondenti nuclei familiari di Germania e Inghilterra.
Anche perché, occorre dire, la maggior parte del debito pubblico italiano è in mano a noi stessi, dato che la quota degli investitori internazionali continua a rimanere al di sotto del 30 per cento. Tra l’altro, se si eccettuano le spese statali straordinarie per far fronte alla pandemia e agli ultracosti energetici, l’Italia negli ultimi decenni si è dimostrata particolarmente virtuosa, mantenendo fino al momento della guerra in Ucraina un costante surplus nell’avanzo primario, soprattutto nella bilancia commerciale dei pagamenti.
Esattamente il contrario di quanto sta avvenendo in Inghilterra, che registra un deficit corrente molto elevato, allontanando così gli investitori internazionali dall’acquisto dei suoi titoli del debito pubblico. Pertanto, il Regno Unito deve affrontare la sfiducia dei mercati e fare fronte al mix letale tra alta inflazione e perdita di valore della sterlina nei confronti del dollaro. Quindi, in termini calcistici, Georgia Meloni potrebbe dire al suo neo omologo inglese: “Caro Rishi, due a zero per noi!”. Un tesoro da non dilapidare!
Aggiornato il 28 ottobre 2022 alle ore 10:48