Il partito dei “lobbisti europei” è contro Giorgia Meloni

Tra Ursula von der Leyen (presidente della Commissione europea) e Christine Lagarde (presidente della Banca centrale europea) c’è da tempo una rodata confidenza, e questo non significa vadano d’accordo su tutto, anche se ob torto collo finiscono per addivenire a scelte condivise. Sia la von der Leyen che la Lagarde conoscono davvero poco Giorgia Meloni. Ciò che sanno della leader di Fratelli d’Italia lo hanno appreso dai giornali (quasi sempre impietosi verso l’Italia) e da quando riportato dai potenti lobbisti che fanno la spola tra Bruxelles, Strasburgo e Francoforte, non lesinando puntatine a Londra, Parigi, Amsterdam, Washington e New York. In queste ultime si recano per dar conto agli “investitori istituzionali” (a noi spacciati come “mercati”) della loro influenza sulle scelte di politica europea. Non è certo un mistero che i lobbisti avrebbero gradito per l’Italia una forte affermazione del Partito Democratico di Enrico Letta: è noto che lo stesso segretario del Pd avrebbe rapporti con strutture internazionali d’investimento, del resto dal 2015 è nella Commissione trilaterale oltre a presiedere l’Istituto Jacques Delors (dove si entra solo per evidente gradimento di certi poteri bancari europei).

È facile supporre che ogni dubbio, su un eventuale Governo Meloni, possa provenire solo dai lobbisti che scommettevano sulla vittoria del centro-sinistra. Del resto, non è certo un mistero che l’unico personaggio internazionale di spicco che abbia gradito la vittoria del centrodestra sia Steve Bannon, mentre tutti gli altri lobbisti (di stanza soprattutto a Bruxelles) sono appiattiti da almeno trent’anni sulle posizioni di George Soros, ovvero preconcettualmente avversi a ogni eventuale Governo italiano di centrodestra. Poi va detto che a Soros poco garba l’alleato Lega. Infatti, il principale nemico di Matteo Salvini ministro dell’Interno è stata, in Europa, la lobby di “Open Society”: quest’ultima è la struttura di George Soros che ha patrocinato tutti i progetti di “accoglienza migranti” presentati dalle Ong. Non dimentichiamo che l’opzione di trascinare Salvini presso la Corte europea per crimini contro l’umanità, era stata avanzata sulla stampa internazionale proprio dalle organizzazioni finanziate da “Open Society”. Oltre 18 miliardi di dollari che George Soros ha elargito alle Ong, anche per dotarsi di navi in grado di raccogliere i migranti dalle coste libiche (la famosa asta di “bananiere” svoltasi ad Amsterdam), assicurando agli scafisti un viatico e l’immunità, a patto che i migranti raggiungano sani e salvi le navi della Organizzazioni non governative.

Nelle ovattate stanze degli uffici lobbistici di Bruxelles pare giri un elenco di 226 eurodeputati (il totale Ue è di 751) definiti “affidabili per il potere”: con loro figurano anche i nomi di assistenti e collaboratori a vario titolo, nonché di funzionari amici delle lobby (ai loro pargoli vacanze e master in note università private che hanno ospitato le conferenze in materia economica di Enrico Letta e amici). Sarebbero circa una ventina gli eurodeputati italiani graditi ai “poteri bancari europei”, e tutti di stretta osservanza Pd ed iscritti al gruppo europeo “Democratici e socialisti” e, soprattutto, accreditati presso influenti cancellerie e ritenuti “intoccabili” per la cosiddetta “stampa istituzionale” italiana (Corriere, Repubblica, Stampa e loro succursali e gazzette locali). In molti si chiederanno quale possa essere il loro modus operandi. Semplice: far accettare ai singoli Stati le politiche basate su rincari, tasse, normative utili a chiudere aziende ed altro ancora; i lobbisti del Pd ammantano ogni iniziativa come pratica che salvaguarda i diritti umani, il progresso tecnologico, l’anti-discriminazione, la salute e la buona informazione. Questa strategia di comunicazione e prassi politica è stata elaborata dagli esperti di formazione lobbistica (economisti, psicologi e comunicatori) che lavorano sia per l’Open Society di Soros che per la fondazione filantropica di Bill e Melinda Gates. Entrambe le fondazioni Usa aiutano il Pd. E nel contempo hanno bollato i partiti italiani di centrodestra come “populisti da attenzionare”. È facile individuare il profilo di coloro che allertano Ursula von der Leyen sulla pericolosità d’un Governo Meloni: si tratta di esponenti internazionali del Pd cresciuti culturalmente nel solco tracciato da Alessia Mosca (già eurodeputata Pd e membro del Cda di Crédit Agricole, oggi insegna a Parigi a “Sciences Po”) e Cecilia Kyenge nel periodo tra il 2014 e il 2019.

Multinazionali, industrie, organizzazioni internazionali, gruppi di interesse e Ong hanno un proprio ufficio a Bruxelles. Dove il lavoro di lobbista è stato per qualche decennio affidato a chi già collaborava nelle segreterie democratico-socialiste: per la parte italiana toccava ai giovani rampanti del Pd. A questi ultimi è stato affidato l’incarico d’influenzare le decisioni delle istituzioni Ue, favorendo industrie che vestono panni buonisti d’organizzazioni filantropiche, ambientaliste ed animaliste.

Circa cinquemila incontri sono stati registrati dagli osservatori anticorruzione del Transparency International: sotto la loro lente d’ingrandimento sono finite cene e convivi tra lobbisti e funzionari della Commissione Ue. Tra Bruxelles, Strasburgo e Francoforte si agitano circa ottomila “portatori d’interessi”, cercano di favorire aziende grandi e grandissime, alcuni di loro rappresentano interessi di colossi finanziari, chimici, energetici, d’intelligence e sicurezza. Va detto che i lobbisti sono tutti iscritti nell’apposito registro istituito dall’Ue: potremmo svelare i loro nomi, consci che questo ci farebbe ulteriormente censire tra i “nemici del potere”.

In cima all’elenco, e per ovvio peso d’affari, figura il rappresentante di Microsoft, seguito da quello di Exxon Mobil, poi Shell, Deutsche Bank Ag, Dow Europe GmbH, Google, Greenpeace, Wwf, General Electric Company (Ge), Airbus group. I meno influenti spendono in lobbismo europeo cifre inferiori a quattro milioni di euro annui, e possiamo solo immaginare il fondo spese dei più influenti. Secondo Daniel Freund di Transparency International, “le imprese che hanno dichiarato almeno 900mila euro di spese in lobby sono quelle che hanno ottenuto più di dieci colloqui ad alto livello con la Commissione Europea”. L’Italia conta su scarsi seicento lobbisti europei, per la maggior parte di area Pd e lavorano per aziende iscritte a Confindustria. I lobbisti di Enel ed Eni non sono considerati italiani, bensì esponenti del salotto d’affari olandese, belga e tedesco. Di fatto, i lobbisti italiani contano poco o nulla nel settore energetico, quello dove gli industriali dello Stivale vorrebbero entrare e contare: ma l’era di Enrico Mattei è tramontata da molti decenni.

Al lobbismo industriale sono collegati i “portatori d’interessi legali”, meno di trenta tra i più grandi studi legali mondiali e tutti con un ufficio a Bruxelles: avvocati d’affari stipendiati da Clifford Chance, White&Case, Sidley Austin e anche quelli di assicurazioni e banche che scongiurano i risarcimenti nelle cause per disastri ferroviari e stradali (per esempio i casi del rogo di Viareggio o del Ponte Morandi). Tra i lobbisti legali e una certa magistratura italiana insiste un importante legame, consolidatosi dopo il convegno del 1992 sullo Yacht Britannia: ma evitiamo nomi e circostanze, potremmo ritrovarci citati in giudizio e condannati a risarcire certi potenti in proporzione ai loro patrimoni. Dieci di questi studi legali sono anche registrati a Washington Dc nell’elenco dei lobbisti legali: tra loro c’è anche lo studio che segue i problemi legali di Hunter Biden. Transparency International avrebbe dimostrato che più del 60 per cento dei lobbisti avrebbero fatto pressione sulla Commissione Ue per siglare l’accordo commerciale tra Ue ed Usa: accordo poco noto alla politica dei singoli stati, non dichiarato in maniera adeguata e, soprattutto, che vincola l’Ue a rigidi contratti con le multinazionali.

I lobbisti influenzano pesantemente le norme europee, di conseguenza anche le leggi degli Stati membri, che subiscono evidenti dissanguamenti economici in favore di multinazionali e strutture di speculazione finanziaria. Da tutto questo verminaio provengono gli influssi negativi verso i governi italiani. E credo che siano fatti noti a Giorgi Meloni.

Aggiornato il 07 ottobre 2022 alle ore 14:26