Pd, Veltroni, D’Alema e Bersani: “Il partito non va archiviato”

Walter Veltroni, Massimo D’Alema e Pierluigi Bersani rappresentano la sinistra che fu. Ma anche i tre ex leader dem vogliono portare il loro contributo di idee, suggestioni, proposte al dibattito che lacera i militanti e dirigenti del Pd dopo la rovinosa sconfitta del 25 settembre orchestrata da Enrico Letta. Tre personaggi diversi accomunati da una valutazione univoca: “Nonostante i gravi errori, l’esperienza del Pd non va archiviata”. Il primo segretario del Partito democratico ritiene necessaria una “riprogettazione dell’identità della sinistra”. Walter Veltroni commenta il risultato delle elezioni in un’intervista alla Stampa. “Non sarà risolutiva – sottolinea – l’ennesima testa di segretario che rotola, ma la capacità di ritrovare quella doppia dimensione, concretezza sociale e idealità, che ha costituito il meglio della storia della sinistra. Le persone si convocano sempre attorno a un sogno, non a una paura”. Secondo Veltroni, “assistiamo al paradosso per cui chi ha dimezzato i voti esulta e un partito che ha quasi il 20 per cento discute se sciogliersi Il Pd più che una sconfitta elettorale ha subito una sconfitta politica, rischia molto se non coltiva la sua identità e se non cambia profondamente”. E parlando di cambiamento aggiunge: “In 14 anni il Pd ha perso circa sette milioni di voti: la prima cosa da fare non è allearsi con Conte o Calenda, ma riallearsi con quei sette milioni di elettori”. Veltroni è convinto che il Pd debba fare una giusta opposizione: “L’opposizione – evidenzia – non è una gogna. Dall’opposizione si possono cambiare i Paesi, si può aspirare a governare. Governare non è un fine, è un mezzo. Questa può essere una fase di rigenerazione, si faccia opposizione con le proprie idee, in Parlamento e quartiere per quartiere, e su questa base si verifichino le future alleanze possibili”.

Massimo D’Alema, in un’intervista al Fatto Quotidiano, sottolinea un errore della segreteria uscente. “I dirigenti del Pd – rimarca – hanno pensato che la fine di Draghi provocasse un’ondata popolare nel Paese, travolgesse Conte e portasse il Pd, la forza più leale a Draghi, a essere il primo partito. Io non so che rapporti abbiano i dirigenti del Pd con la società italiana. Mi domando persino dove prendano il caffè la mattina, perché il risultato ha detto esattamente l’opposto”. D’Alema ricorda che “la destra ha preso 12 milioni di voti, gli stessi del 2018, con una forte concentrazione in Fratelli d’Italia. È un risultato sconvolgente, perché la maggioranza parlamentare poggia su un consenso espresso dal 28 per cento dell’elettorato, in termini assoluti.  Neanche uno su tre. Oggi la destra avrà il controllo delle istituzioni con 12 milioni di voti: sono elezioni che mostrano una profonda crisi del sistema democratico”. E parlando dei rapporti con i pentastellati aggiunge: “Vorrei ricordare che i 5 stelle già all’inizio della legislatura avevano scelto il Pd come partner naturale, ma ci fu il diniego dell’allora leader del Pd (Matteo Renzi, ndr). Conte ha rifondato e ricollocato i 5 stelle e il Pd ha bisogno di lui perché non intercetta più il voto popolare”. Secondo D’Alema, “ora bisogna ricomporre il campo largo e fare un lavoro profondo per riguadagnare la passione di chi non vota più. Sapendo che c’è una coalizione democratica e di centrosinistra potenzialmente maggioranza”. Infine, aggiunge: “Il Pd non può pensare di riassumere in sé la sinistra ed è diventato scarsamente attrattivo. Tuttavia, c’è bisogno del Pd. Penso che dovrebbe fare un bilancio serio e onesto degli ultimi anni e fare anche quelle correzioni statutarie che consentano di ricostituire un partito nel senso proprio del termine. Un partito vero”.

Secondo Pier Luigi Bersani, “il problema nostro è costruire un progetto alternativo che non si è presentato a queste elezioni. Bisognava dal giorno dopo del governo Conte II lavorare in altro modo, stringere i bulloni di un campo progressista. Basta primarie. Il dilemma non è sciogliere o non sciogliere, è allargare, è l’esigenza di un profilo, di un collegamento con il tema del lavoro, di una forma partito adeguata. Io lo chiamo un partito nuovo”. In un’intervista al Corriere della Sera, Bersani parla del futuro dei dem. “In questi anni – afferma – la forbice di disuguaglianza si è allargata drammaticamente, la fetta di italiani fuori gioco è cresciuta. Avremo mesi molto difficili, con forti tensioni sociali. E le élite, altro fattore di debolezza, hanno perso sensibilità sul fatto che questo Paese vada tenuto assieme”. L’ex segretario del Pd è certo che “anche Meloni si renda conto che il modo di difendere gli interessi italiani è costruire una solidarietà europea, perché qualche Paese ha i soldi e noi abbiamo i debiti. Su questa prima sfida si vede subito che tipo di governo e di opposizione avremo. Serviranno soldi, tanti. E poiché noi diciamo no ai condoni e al debito, non resta che prenderli dove sono”. E Bersani ha la sua ricetta: “Io penso che bisogna tirar su 20 o 30 miliardi dagli extraprofitti di quanti, tra Covid, armi ed energia, di soldi ne hanno fatti molti E se non bastano, da una progressività delle patrimoniali che ci sono già. O ancora, da un contributo di solidarietà dei redditi più alti. Altrimenti non restano che i condoni e il debito”.

Aggiornato il 05 ottobre 2022 alle ore 17:39