Tagliare le unghie alla burocrazia

Il “non disturbare” detto da Giorgia Meloni dal palco della Coldiretti, alla sua prima uscita in pubblico dopo il trionfo ottenuto alle politiche del 25 settembre, ricorda una delle massime, riferita ai politici, del grande Luigi Einaudi, che mai come adesso è di estrema attualità: “Migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli”. In verità, a molestare, inceppare e scoraggiare non sono direttamente i politici ma le leggi da loro approvate. Sono norme giuridiche scritte male, di difficile lettura, anche perché non sono redatte in italiano ma in “burocratese”.

Il burocrate diventa il vero dominus della molestia nel migliore dei casi, dell’inceppamento o dello scoraggiamento in quelli peggiori. Quanti di noi sono incappati nel pubblico funzionario che, invece di facilitare il percorso dell’iter della pratica, frappone ostacoli di ogni tipo, molte volte ridicoli e fantasiosi? Sa di avere in quel momento un potere, che vuole esercitare. Anche perché l’esito della pratica burocratica dipende da lui. A volte sembra che le leggi e le norme di attuazione siano scritte non per i cittadini e le imprese alle quali sono rivolte, ma per accrescere il potere di interdizione del pubblico funzionario. Il burocrate è pagato da tutti noi e dovrebbe essere al nostro servizio, in teoria. In pratica, diventa l’ossessione per l’imprenditore. Piuttosto che facilitare il compito di chi ha un’attività, lo ostacola. Quante volte ci viene richiesta la documentazione relativa alla pratica da evadere, nonostante i documenti siano già in loro possesso e che quindi, per legge, non potrebbero ulteriormente richiedere? Il pubblico dipendente sta disattendendo una norma a danno dei cittadini, senza essere sanzionato. A ogni norma corrisponde un sistema di controllo e sanzioni amministrative. Se è il cittadino a disattendere le procedure, è soggetto a sanzioni. Se il ritardo è imputabile al burocrate, lo stesso non risponde del suo operato ed è sempre giustificato. Quale libertà d’impresa è possibile in un Paese dove per aprire una qualsiasi attività commerciale, artigianale o industriale i tempi sono biblici, gli adempimenti innumerevoli ed è impossibile stabilire un cronoprogramma? Molti rinunciano a intraprendere una nuova impresa, perché non si sa quando e se si potrà aprire una attività.

Silvio Berlusconi ha inserito nel programma di Governo il principio che l’imprenditore inizia l’attività e i controlli dovranno essere effettuati dopo l’apertura. È un principio sacrosanto, se avessimo un’Amministrazione pubblica che collabora con l’impresa. Se dopo l’apertura il burocrate pubblico dovesse riscontrare delle difformità, fa chiudere l’impresa. A mio avviso, è molto meglio che il burocrate debba esprimere un mero giudizio di legittimità e nessun parere di merito.

In sostanza, il pubblico funzionario deve riscontrare, in termini perentori (esempio 90 giorni), se l’imprenditore ha ottemperato ai requisiti previsti per svolgere l’attività economica. Decorso il termine essenziale, l’imprenditore inizia l’attività senza sottostare alle vessazioni del burocrate e non gli si potrà più contestare nulla che sia ovviamente lecito. Non lo potrà più “disturbare”. È una riforma semplice e a zero costi per lo Stato. Abolendo il giudizio di merito, e inserendo il criterio della legittimità, si tagliano le unghie alla burocrazia!

Aggiornato il 05 ottobre 2022 alle ore 10:39