
Se le intenzioni di voto degli italiani che emergono dai sondaggi elettorali troveranno conferma nelle urne, il centrodestra avrà la maggioranza assoluta in Parlamento, sia alla Camera dei deputati che al Senato della Repubblica. Si prospetta la concreta possibilità di un Governo di legislatura. Avremo finalmente un Esecutivo politico omogeneo, espressione della volontà popolare.
Dopo oltre un decennio di governi che si sono formati nel palazzo sotto la regia di presidenti della Repubblica che hanno fatto pendere la bilancia sempre verso la sinistra, con particolare riferimento al Partito Democratico. È auspicabile che il Governo che si formerà dopo l’elezione del 25 settembre impieghi la diciannovesima legislatura per operare su due linee di azione: la gestione della incombente crisi economica e sociale causata dal costo dell’energia e le riforme ordinarie e costituzionali, coinvolgendo nei limiti del possibile le opposizioni. La gestione della crisi dovrà essere condotta cum grano salis. A ogni riduzione del carico fiscale sui contribuenti – imprese e famiglie – dovrà corrispondere una diminuzione delle spese clientelari e improduttive, che negli anni si sono stratificate. Revisionare e ottimizzare una spesa pubblica di oltre 800 miliardi di euro è più che possibile anzi doveroso.
L’alleggerimento degli oneri fiscali non deve assolutamente comportare un incremento del debito pubblico, che esporrebbe il Paese al ricatto dei mercati finanziari. Occorre operare una progressiva eliminazione della moltitudine di bonus fiscali di ogni tipo e il disboscamento delle pletoriche agevolazioni fiscali che generano privilegi, per chi ne usufruisce in danno degli altri contribuenti. È indifferibile l’equiparazione del carico fiscale tra chi ha un reddito certo, derivante da lavoro dipendente, con quello di chi svolge attività di lavoro autonomo o d’impresa. Il paradosso del nostro sistema tributario è che il peso fiscale, a parità di reddito, è più alto per chi rischia rispetto a chi ha certezza di reddito e le tutele degli ammortizzatori sociali (cassa integrazione ordinaria e straordinaria).
L’altro tema che non può essere differito è la riforma della Costituzione e la governabilità del Paese. Tra le riforme costituzionali, la più importante è quella relativa alle modalità di elezione del Presidente della Repubblica, dei suoi poteri e la durata della carica. L’ovvia affermazione fatta in una intervista da Silvio Berlusconi che, in caso di riforma costituzionale che prevede l’elezione diretta del Capo dello Stato, “l’attuale inquilino del Colle si deve dimettere”, ha scatenato la rivolta delle sinistre. Il presidente Sergio Mattarella è stato rieletto da un Parlamento delegittimato e che da anni non rappresentava più il sentire degli elettori. Lo stesso Presidente aveva reiteratamente fatto intendere che una presidenza della Repubblica, che ha la durata di 7 anni, è di per sé una anomalia democratica. Quindi non era disponibile, a parole, a considerare un secondo mandato. I fatti hanno dimostrato, ancora una volta, che la coerenza in politica è una merce rara. La sinistra considera la Presidenza della Repubblica svincolata da qualsiasi processo democratico. La motivazione è evidente: hanno la necessità di avere un “arbitro” di parte, che ostacoli l’operato dei governi di centrodestra, legittimati da un voto popolare.
Bene ha fatto il quotidiano Libero, che ha titolato: “I conti senza l’oste, attenzione a Mattarella. Il centrodestra è euforico e già pensa a chi fare ministro. Ma il Quirinale è un ostacolo più alto del Pd e delle urne”. Viva l’elezione diretta del Presidente della Repubblica!
Aggiornato il 29 agosto 2022 alle ore 09:51