
La Destra è un virus ad alto rischio? E quale ne sarebbe l’antigene che consentirebbe al vaccino antifascista di agire rapidamente, immunizzando così l’intera comunità dei “suscettibili”? Il rimedio politico-farmacologico rimane ancora un mistero, malgrado lo sconsiderato assedio alla logica e al buon senso da parte del Partito Democratico e dei suoi alleati vicini e lontani, come i contiani. Lo ricerca disperatamente quell’antidoto un apprendista-stregone del calibro di Ezio Mauro, editorialista del quotidiano La Repubblica, sommo sacerdote degli alchimisti della “Cosa” di sinistra: quest’ultima in cerca di identità dal 1991 in poi. Ne fanno fede i suoi reiterati tentativi di individuare la pozione magica alla Asterix, che assicuri la vittoria elettorale del centrosinistra e al contempo vaccini la Nazione contro i rischi del contagio fascista. E lo fa, Mauro, attraverso il solo strumento a sua disposizione: una penna d’oca dalla punta di diamante, sadica e punitiva, utilizzata per crocifiggere ripetutamente, attraverso una prosa barocca, colta e persecutoria, la persona stessa di Giorgia Meloni, alla quale chiede insistentemente ogni tipo di abiura. Mentre “Il Vate” condona alla sinistra qualunque abuso di posizione dominante, pur avvertendola come occorra (finalmente!) fare i conti con la propria storia. Impresa vana: ci aveva già inutilmente provato dodici anni fa Nanni Moretti, che sollecitava i suoi vertici a dire, finalmente, “qualcosa di sinistra!”.
Due, in buona sostanza, sono gli attacchi in profondità che, in altrettanti editoriali di prima pagina, Ezio Mauro indirizza contro la leader di FdI e i suoi alleati di centrodestra, dal titolo – rispettivamente – “La vera sfida di Letta e Meloni” e “Presidezialismo, la metamorfosi del sistema”. Nel primo, si rimprovera in premessa al Pd di non aver ancora maturato né una nozione compiuta di sé in questo nuovo secolo delle emergenze e dello stato d’eccezione permanente, né una coscienza chiara di che cosa sia oggi la destra italiana. Una sinistra, quindi, che rimane incerta sulla sua vocazione, o ragione sociale e sulla sua anima. Il che non rappresenta davvero una novità, dato che da anni Gianni Cuperlo insiste a dire che la sinistra ha da tempo perduto il suo “soggetto” e non è più degna di rivendicare a sé “la questione morale”! Forse, la grande stampa nazionale di sinistra (qualunque ne sia il significato!) dovrebbe prendere atto che, proprio grazie al suddetto stato d’eccezione, da dieci anni a questa parte il Pd (partito dello Stato, delle Istituzioni e della Ztl, come sostiene Ernesto Galli della Loggia) ha sempre governato senza mai aver vinto un’elezione, grazie a manovre di palazzo e ad accordi extraparlamentari, con l’avallo della presidenza della Repubblica e la benedizione di Bruxelles. Per di più, poi, non si capisce perché questa stessa “Cosa” di sinistra non risolta dovrebbe vedere l’eventuale vittoria delle destre come un ritorno del fascismo tout-court.
Rimane vero, in generale, che né la destra, né la sinistra hanno fatto fino in fondo i conti con la propria storia. Da un lato gli ex comunisti, con il fallimento e le tragedie dello stalinismo; dall’altro la destra con l’eredità del fascismo e della guerra civile. E, ovviamente, per il nostro Alchimista, sono i conti mancati della destra a essere ben più importanti di quelli della sinistra. Anche se non si capisce bene la ragione, visto che Mauro cancella demagogicamente il lungo percorso che ha portato il Movimento Sociale italiano a cambiare natura, transitando per Alleanza Nazionale, confluendo poi nel Polo delle Libertà berlusconiano e, infine, costruendo la sua nuova identità come destra conservatrice moderna ed europea. Invece, i tre leader della coalizione vengono connotati come dei Mangiafuoco, che hanno un solo e unico fine comune: farla finita con la democrazia liberale. Ben strana drammatizzazione, quest’ultima, visto che da più di trenta anni, dopo la caduta del Muro di Berlino, si è costantemente sostenuta e auspicata da tutte le parti politiche e da eserciti di costituzionalisti un’analoga “trasformazione di sistema”, per adeguare l’Italia alle sfide del nuovo mondo globalizzato. Necessità divenuta urgente dopo la scomparsa del Nemico storico dell’Urss, e tenuto conto che la stessa Costituzione del 1948 rappresenta in sé un monumentale compromesso storico ante litteram tra comunismo e democrazia liberale.
Per di più, la “sciagurata” norma elettorale vigente porta come primo firmatario un illustre parlamentare del Pd: in cinque anni la sinistra, con la complicità del Movimento Cinque Stelle, non ha fatto nulla per cambiarla durante gli ultimi due governi. Se davvero si teme che la “fonderia” dell’urna forgi una riedizione del fascismo d’antan a seguito di un ipotetico “cappotto” elettorale dopo il 25 settembre, regalando alle destre la maggioranza qualificata dei due terzi per rifare la Costituzione senza referendum confermativo, si dovrebbe anche ragionare sul fatto che nel 2018 si sarebbe potuto avverare lo stesso ipotetico scenario a parti invertite, nel caso di un’alleanza centrosinistra-M5S! Consiglio non richiesto al centrodestra: onde evitare spiacevoli equivoci, sarebbe auspicabile chiarire che, in ogni caso, le nuove norme costituzionali approvate a maggioranza qualificata saranno sempre e comunque sottoposte a referendum approvativo, così come previsto dall’articolo 138 della Costituzione, semplicemente riformandone ad hoc l’ultimo comma con la stessa legge di riforma costituzionale. In ogni caso, il temuto “Presidenzialismo” entrerebbe in vigore soltanto nella legislatura successiva a quella della sua ratifica formale. A meno che, nel frattempo, il centrodestra non voti artificialmente la sfiducia al “proprio” Governo in carica, costringendo così il Presidente della Repubblica a sciogliere anticipatamente il Parlamento stesso, per l’impossibilità evidente di individuare una maggioranza parlamentare alternativa.
Ma, visto che si parla di una Costituzione del popolo approvata dal popolo stesso, allora qualsivoglia riforma costituzionale deve, per coerenza, essere sottoposta a referendum confermativo. In generale, è sempre preferibile evitare prove di forza sulla Carta fondamentale che è di tutti ed è destinata a rimanere invariata per più generazioni di cittadini. Pertanto, la scelta ottimale di un conservatorismo illuminato ultra-maggioritario dovrebbe essere quella di indire le elezioni per una Nuova Assemblea Costituente, affidandole il compito di una riscrittura globale della Costituzione del 1948 che superi definitivamente il già citato, monumentale, Compromesso storico tra le molteplici e contrapposte forze politiche che si ritrovarono a combattere, unite nel Cnl – Comitato di liberazione nazionale – contro il nazifascismo.
Nel secondo editoriale sulla “Metamorfosi della Repubblica”, Mauro vede kafkianamente degenerare l’Italia in un regime alla Viktor Orbán, stigmatizzando l’esaltazione dell’“Identità” del popolo e della Nazione italiani da parte di coloro che mirano a farne un’ideologia guerriera, per mitizzarla ed erigerla a Totem della loro vittoria politica. La nuova fascinazione totalitaria parla alle emozioni (alla “pancia” del Paese, in pratica), ponendo in secondo piano gli argomenti più razionali, come la difesa degli interessi legittimi e l’idealità dei valori di riferimento. Nel mirino, stavolta, è chiaramente collocata la deriva cesarista del principale cavallo di battaglia di Giorgia Meloni, ovvero, il “Presidenzialismo”, che però (per ammissione benigna dello stesso Mauro) “non rappresenta di per se stesso un vulnus alla democrazia”.
E ci mancherebbe altro! Infatti, illustri padri costituenti ne dibatterono animatamente in merito all’epoca dell’elaborazione della Carta di tutti e per tutti. Purché, ovviamente, sostiene Mauro, anche il Presidenzialismo vada a far parte dei poteri costituzionali “disarmati”, che trovano i loro contrappesi (reciprocamente neutralizzanti, diremo così!) all’interno del balance-of-power della democrazia liberale, mantenendo intatti lo Stato di diritto, la libertà d’informazione, il controllo di legalità e di legittimità sugli atti del potere. Verrebbe a questo punto spontanea la seguente domanda provocatoria: quando sarebbero avvenuti l’abiura e il rifiuto di tutte queste prerogative democratiche da parte di Giorgia Meloni? Non starà, per caso, al futuro organismo (Bicamerale, o Assemblea Costituente, quest’ultima da preferire in assoluto!) stabilire i nuovi equilibri costituzionali all’interno, per l’appunto, di un perfetto “sistema democratico”? Ma, a quanto pare, Mauro tende a forzare i tempi costruendo l’equazione arbitraria “Meloni = Orbán /Hitler”, il che presuppone una netta deriva autocratica di FdI e dei suoi alleati, cosa piuttosto improbabile.
In quest’ottica, si chiedono risposte immediate a domande del tipo “stai dentro, tu Meloni, a un sistema democratico o miri a una metamorfosi del sistema in senso autocratico?”, come se fosse scontato fin da ora che la leader di FdI si atteggerà a capo indiscusso delle destre, al pari di Vladimir Putin, rifiutando e demonizzando qualsivoglia “limite” politico-istituzionale. Per Mauro la vittoria della destra, fondata sui suddetti presupposti mitologici e sull’esaltazione eroica della vittoria elettorale, porta automaticamente alla “mutazione” autocratica dell’attuale sistema democratico. Come si vede, si tratta di assunti in perfetta sintonia con il motto andreottiano per cui “a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”, dimenticando però, costantemente, il contrappeso craxiano a questa manifestazione di cinismo democristiano, per cui alla fine “tutte le vecchie Volpi finiscono in pellicceria”. Soprattutto, oggi, quelle di sinistra, visti il relativo invecchiamento e l’aria che tira.
Aggiornato il 23 agosto 2022 alle ore 16:44