
Nel mio ultimo articolo, proprio sullo strappo del Movimento cinque stelle, avevo scritto che uno dei grandi problemi dell’Italia è di non saper apprezzare e valorizzare quanto possiede di buono. Oggi devo correggermi: questo non è un semplice problema, ma una vera e propria malattia dalla quale, come Paese, ci rifiutiamo di guarire, complice anche una classe politica che è la manifestazione parossistica di questo male. La vita di un governo presieduto da un’eccellenza italiana è stato appeso fino all’ultimo minuto al placet di una banda di cialtroni, di una manica di demagoghi da bar, di incompetenti patentati, di arruffapopolo di professione che devono il loro successo unicamente all’abilità nel prendere in giro la gente, nel far credere di essere loro la cura ai numerosi mali di questo Paese, quando ne sono il sintomo più evidente. Sia chiaro, il riferimento non è solo ai pentastellati, ma anche a una Lega che è solo l’altra faccia del grillismo e a una Forza Italia che, ormai sulla via del tramonto e priva di una rotta, si è ridotta a essere il “ruotino” di scorta degli altri due azionisti della coalizione.
Checché se ne dica, infatti, i responsabili di questa crisi che l’Italia pagherà a carissimo prezzo non sono solo i grillini: loro hanno caricato la pistola, ma a premere il grilletto sono stati proprio gli azzurri e i leghisti. Ora si cerca – senza alcuna vergogna – di addossare la responsabilità proprio al premier Mario Draghi, che li avrebbe messi nelle condizioni di dover “staccare la spina”: lui che ha bacchettato severamente Lega e Forza Italia, che invece lo hanno sempre sostenuto; lui che ha incontrato Enrico Letta prima del voto; lui che non ha dato a quelle forze alcuna ragione per continuare a sostenere la sua azione (nemmeno qualche ministeruccio in più); lui che si è completamente sbilanciato verso sinistra nel delineare quello che avrebbe dovuto e potuto essere il patto per la ripartenza dell’Esecutivo fino a fine legislatura; lui che non ha preso sul serio i nove punti posti dal Movimento cinque stelle.
La Lega può forse negare di aver tenuto un atteggiamento del tutto simile a quello del Movimento cinque stelle, sia pure su temi diversi (ma neanche tanto, come sul tema del sostegno all’Ucraina) nell’ultimo periodo? La Lega che accusa il Partito Democratico di aver contribuito a rendere difficile la convivenza all’interno del governo con le proposte sulla cittadinanza e sulla cannabis – entrambe iniziative parlamentari sulle quali il Governo non è in alcun modo stato coinvolto – può negare di aver cercato di piantare bandierine ideologiche all’interno dell’Esecutivo, su questioni come le concessioni balneari, le liberalizzazioni, la politica estera, la riforma delle pensioni e simili? Quanto a Forza Italia, come già detto, è ormai solo la stampella di Lega e Fratelli d’Italia, per cui è ormai una formazione del tutto priva di autonomia decisionale, ridottasi a essere la “Cenerentola” infiocchettata e presentabile delle due “sorellastre” populiste.
Come ha detto Maria Stella Gelmini – che ha annunciato l’addio agli azzurri – un partito autenticamente liberale, europeista, atlantista e popolare non si sarebbe mai lasciato trascinare dalla folle corsa del populismo salviniano e meloniano. Anche se, in realtà, nessun partito inserito nell’alveo del popolarismo europeo potrebbe mai anche solo pensare di governare coi sovranisti: con chiunque, meno che con loro, come dimostra l’esperienza di altri Paesi europei, Germania in primis. Nel frattempo, il partito che era nato per fare la “rivoluzione liberale” e che ora fa da spalla a quelli che vorrebbero la “reazione illiberale”, continua a perdere pezzi: anche Renato Brunetta, il senatore Andrea Cangini e Mara Carfagna danno il benservito, mentre altri “big” azzurri sarebbero in procinto di seguirli.
Quale significato attribuire alla risoluzione dal centrodestra di governo per escludere il Movimento cinque stelle, se non quello di affossare il governo senza assumersene la responsabilità e cercando di cogliere il momento apparentemente propizio nei sondaggi? Draghi era stato molto chiaro: non ci sarebbe stato alcun Draghi bis, né si sarebbe andati avanti senza Movimento cinque stelle. Quindi perché chiedere a Draghi di fare quello che aveva già detto di non essere disposto a fare? Probabilmente, quello che si voleva era mettere ulteriormente Draghi in difficoltà e sbarrargli anche l’unica strada che avrebbe potuto percorrere in extremis: un conto è mettere un’azionista di maggioranza alla porta; discorso del tutto diverso è prendere atto della sua scelta di abbandonare la partita e, voti permettendo, andare comunque avanti, magari anche con pezzi di quell’azionista passati ad altri partiti o confluiti in sigle scissioniste. Ci si domanda perché Draghi abbia insistito tanto nel voler tenere i pentastellati nel Governo. Certo non per simpatia o per desideri autolesionistici.
Semplicemente perché l’esclusione del Movimento cinque stelle non avrebbe significato un ritrovato equilibrio e serenità nell’azione di governo: avrebbe rafforzato la Lega che avrebbe cominciato a sua volta a dare ultimatum e a minacciare di smarcarsi a giorni alterni. Lega e Forza Italia si sono comportati esattamente come il Movimento cinque stelle, se non peggio: i primi, perlomeno, sono giustificati dalla loro inettitudine congenita che li porta a fare cose del tutto irrazionali e incomprensibili; ma i secondi hanno agito in maniera premeditata, scegliendo di buttare tutto all’aria per inseguire il consenso. L’Italia può anche sprofondare: quello che importa è andare al Governo, anche a costo di dover governare il nulla.
Addirittura, c’è stato chi ha cercato di addossare la colpa di tutto questo proprio a Draghi, che non sarebbe stato abbastanza conciliante. Il problema non sono i toni di Draghi, il cui discorso serio, posato e da vero statista non ha fatto abbastanza concessioni ai populisti e alle esigenze elettoralistiche dei vari partiti della maggioranza. Quello di Draghi è stato il discorso che, in qualunque Paese normale, ci si aspetterebbe dal capo di un governo. Il problema sta nel fatto che in questo Paese non siamo abituati a certi standard: concepiamo la politica come un mercato delle vacche, come una specie di asta in cui si dà al miglior offerente, come un gioco in cui vince chi sforna il miglior compromesso e non la migliore soluzione ai problemi. Siamo accostumati all’affarismo politico, al do ut es, per apprezzare la concretezza, la professionalità e il rigore di chi ha tutt’altra idea della politica, di chi governa in maniera sobria e composta e fa le cose che devono essere fatte in quanto tali. E tale attitudine tutta italica al compromesso si riflette nelle miserie di una classe politica che antepone il proprio tornaconto elettorale agli interessi del Paese.
Si è rimproverato all’ormai ex premier di aver parlato con arroganza, dicendo di essere lì a chiedere la fiducia perché glielo stavano chiedendo gli italiani. Non c’è arroganza nella verità. Mai nella storia repubblicana si è assistito a una simile mobilitazione da parte delle istituzioni, dei territori e della società civile perché un presidente del Consiglio restasse in carica. Se Draghi è stato arrogante perché ha detto una cosa simile, allora come definire quelli che hanno detto di voler fare “il bene dell’Italia” e l’hanno gettata nel baratro votando contro l’uomo più autorevole di cui questo Paese dispone? Di quelli che volevano più attenzione al sociale e sfiduciano Draghi hanno fatto naufragare una moltitudine di provvedimenti che avrebbero aiutato famiglie e imprese? O di quelli che blaterano di “patriottismo” e fanno di tutto per far sprofondare questo Paese in nome dell’ideologia? No, chi cerca l’arroganza non deve certo guardare a Draghi.
Si dice che non bisogna aver paura di misurarsi con gli elettori, che la democrazia è una cosa bellissima, che finalmente si torna alle urne. Certo, ma non sembra che il quadro della situazione che si va profilando all’orizzonte sia abbastanza chiaro: corriamo il rischio di vedere i prezzi dei generi alimentari, della benzina e dell’energia toccare livelli record; di dover dire addio ai fondi del Pnrr e alla famosa “boccata d’ossigeno” che molti aspettavano; di vedere i tassi d’interesse sui mutui ricominciare a galoppare e le banche stringere i lacci sul credito; di assistere a una nuova esplosione di debito pubblico che potrebbe rendere necessaria l’adozione di misure di austerità; di doverci ritrovare isolati dal punto di vista internazionale, con i russi che cercheranno di ghermire coi loro artigli rapaci questo Paese per farne una loro colonia. Potevamo stare al sicuro, ma la pazzia dei populisti ha ritenuto fosse una buona idea metterci in mezzo a un mare in tempesta senza nemmeno un salvagente. Ovviamente, il loro ragionamento non fa un grinza: loro prosperano nel caos e nel malcontento, quindi hanno tutto l’interesse a mettere nei guai il Paese. Stavolta, però, potrebbe non andare secondo i loro piani: perché stavolta è palese a tutti che da parte loro non c’è alcuna volontà di risolvere i problemi, perché questo li priverebbe degli argomenti che danno loro la forza di prosperare. Se così non fosse, se fossero stati davvero interessati alle sorti dell’Italia, avrebbero messo da parte l’ideologia e i calcoli elettorali e avrebbero fatto quello che serviva al Paese, anche a costo di vedere i loro consensi ridotti al lumicino. Questo è vero patriottismo. Questo significa fare il “bene dell’Italia”.
La sintesi di quest’ultima settimana politica, insomma, è che l’Italia si è vista per l’ennesima volta affossare da una banda di incapaci e di incoscienti che hanno anteposto gli interessi di partito a quelli del Paese e le loro carriere alla vita degli italiani; da quattro avventurieri senza scrupoli e senza morale; dal solito gruppetto di politicanti da strapazzo; da un branco di fascio-maoisti, magari anche telecomandati da Mosca.
Probabilmente hanno ragione i giornali tedeschi quando dicono che, per un attimo, in Germania, si era pensato che l’Italia guidata da Draghi potesse arrivare a un livello di serietà, affidabilità e sviluppo pari, se non addirittura superiore, a quello di Berlino. Per un attimo ci avevamo creduto anche noi: poi sono arrivati i “black-block” della politica a sfasciare tutto quello che si era costruito. Purtroppo funziona così in questo Paese: quando sembra sia la volta giusta arriva sempre qualcuno che manda tutto in malora e costringe a ricominciare da capo. Sarà sempre così fin quando non ci sarà un deciso cambio di passo, una vera e propria rivoluzione – culturale, prima ancora che politica – del buonsenso, della concretezza, della competenza al potere, della serietà e del pragmatismo che metterà al margine e condannerà all’estinzione gli “sfascisti”. La prima e più impellente necessità dell’Italia è liberarsi di costoro: solo dopo si potrà cominciare a ragionare seriamente e a fare quello che serve al Paese.
Ora la palla è nelle mani degli italiani, che saranno chiamati a scegliere tra due tipi di Italia: quella laboriosa e intraprendente, quella che crede nella società aperta e nella libertà, quella che vuole riforme e modernizzazione, che si aspetta concretezza e serietà dalla politica, quella che crede in sé stessa e che pensa che la sua collocazione naturale sia a Occidente; oppure quella fancazzista che vuole il reddito di cittadinanza, quella reazionaria e bigotta che vorrebbe riportarci indietro di sessant’anni, quella demagogica che pensa di governare a suon di slogan e di retorica da Ventennio, quella putiniana che ci vorrebbe asserviti a una dittatura straniera e quella che crede sia possibile andare avanti con una politica circense come quella cui abbiamo assistito nell’ultima settimana.
Aggiornato il 23 luglio 2022 alle ore 10:11