Ancora su Ue, Ungheria e “Stato di diritto”

Si intensifica lo scontro fra la Commissione europea e l’Ungheria: il veto del governo magiaro all’introduzione della Global minimum tax induce Bruxelles a portare la procedura di infrazione per violazione dello stato di diritto alla Corte di giustizia, e a mantenere il blocco alla erogazione dei fondi del Pnrr di Budapest, dopo averlo appena tolto alla Polonia, per contrastare la legge ungherese che vieta l’ideologia gender nelle scuole.

In occasione della seduta a Strasburgo del 6 luglio 2022, il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza una risoluzione con cui invita il Governo ungherese a ritirare il parere contrario al sistema di tassazione delle multinazionali – Big Tech comprese – elaborato dall’Ocse e approvato dal G20 con un accordo al vertice di Roma di ottobre 2021, denominato Global minimum tax. Secondo Budapest, il maggior onere fiscale, nel generale contesto della guerra russo-ucraina, potrebbe essere “fatale” per le aziende manifatturiere e andrebbe a danno della competitività Ue.

Il Parlamento invece ritiene che il veto ungherese sia stato opposto, come già accaduto con la Polonia (che lo ha ritirato, appena prima che lo ponesse l’Ungheria, solo lo scorso 18 giugno, una volta ottenuta l’ammissione da parte della Commissione Ue al Pnrr-Piano nazionale di ripresa e resilienza), in modo strumentale per superare, per l’appunto, la sospensione nell’erogazione dei fondi del Next Generation Ue, pari a circa 7 miliardi di euro, vincolata alla verifica del rispetto da parte del Paese magiaro dei princìpi dello stato di diritto.

I deputati europei sollecitano la Commissione e il Consiglio “a non entrare in contrattazioni politiche”, e ad “astenersi dall’approvare il piano nazionale ungherese per la ripresa e la resilienza fintanto che l’Ungheria non avrà pienamente rispettato tutti i criteri stabiliti nel regolamento”.

Da un lato, quindi, ci si lamenta che il veto ungherese sia lesivo dell’esigenza di rendere efficace la nuova tassazione sui profitti delle multinazionali operanti all’interno dell’Unione; dall’altro, si mantiene la pretesa di bloccare l’erogazione dei fondi europei di aiuto ai singoli Stati membri finché questi non dimostrino che i propri ordinamenti domestici siano rispettosi delle regole dello stato di diritto.

Mettiamo un momento da parte i problemi che il nuovo sistema di tassazione comunque pone: il che rende non peregrina la preoccupazione della sua introduzione in un contesto geopolitico profondamente aggravatosi dalla sua approvazione. Veniamo al dato politico: censurare la strumentalità dell’opzione ungherese dopo avere imposto tale condizionalità agli aiuti economico-finanziari somiglia tanto al detto popolare del “bue che chiama cornuto l’asino”; resta di fondo che il contrasto tra gli organi dell’Unione, principalmente il Parlamento europeo, e con minore veemenza la Commissione europea, contro alcuni degli Stati membri, segnatamente Polonia e Ungheria, continua a mostrarsi più ideologico che politico-giuridico.

Va infatti ribadito che le materie controverse con i Paesi dell’Est, per le quali questi sono richiesti da anni dal Parlamento europeo di procedura di infrazione davanti alla Corte di Bruxelles, e oggi sono inflitti della condizionalità economica applicata al Next Generation Eu, non sono, in base ai Trattati istitutivi, di competenza della Ue, ma rimangono di pertinenza dei singoli Stati membri. Se così è, riesce difficile non leggere nella pretesa del Parlamento e della Commissione Ue il tentativo di imporre una visione dei princìpi dello stato di diritto ispirata al Politicamente corretto del pensiero unico globalizzante; per esso, vietare la propaganda di contenuti omossessuali ai minori è condotta qualificata come “vergognosa”, come conferma la presidente della Commissione, Ursula von del Leyen: “I capi di stato e di governo hanno condotto una discussione molto personale ed emotiva sulla legge ungherese, praticamente l’omosessualità viene posta a livello della pornografia, e questa legge non serve alla protezione dei bambini, è un pretesto per discriminare. Questa legge è vergognosa”.

Se l’Ungheria non “aggiusterà il tiro”, ha aggiunto la presidente, la Commissione “userà i poteri ad essa conferiti in qualità di garante dei trattati, dobbiamo dirlo chiaramente noi ricorriamo a questi poteri a prescindere dallo stato membro”. “Dall’inizio del mio mandato abbiamo aperto circa quaranta procedure di infrazione legate alla protezione dello stato diritto e altri valori Ue e se necessario apriremo altre procedure”, ha specificato Ursula von der Leyen.

La Commissione ha infatti appena deferito lo Stato ungherese alla Corte di Giustizia per l’asserito contrasto della propria legge sul divieto di promozione dell’omosessualità ai minori, che vieta di mostrare ai minori qualsiasi contenuto, nei media e nelle scuole, che ritragga o promuova l’omosessualità o il cambio di sesso: secondo la Commissione, la legge viola le regole del mercato interno, i valori europei e i diritti fondamentali degli individui, in particolare delle persone Lgbtiq. Bruxelles, che ribadisce come la protezione dei bambini sia una priorità assoluta per l’Ue e gli Stati membri, ritiene che il provvedimento ungherese contenga disposizioni che “non sono giustificate sulla base della promozione di questo interesse fondamentale o sono sproporzionate a raggiungere l’obiettivo dichiarato”!

La legge magiara, che il premier ungherese Viktor Orbán qualifica come “non omofoba” e tesa unicamente alla protezione dei minori, nella prospettazione della Commissione viola invece “in modo sistematico diversi diritti fondamentali” sanciti dalla Carta dei diritti Ue, tra cui l’inviolabilità della dignità umana, il diritto alla libertà di espressione e di informazione, il diritto alla vita privata e familiare, nonché il diritto alla non discriminazione. “Per la gravità di tali violazioni – scrive Bruxelles – le disposizioni impugnate violano anche i valori comuni di cui all’articolo 2 Tue”. Il deferimento alla Corte è la fase successiva della procedura d’infrazione avviata dalla Commissione il 15 luglio 2021 con l’invio a Budapest di una lettera di messa in mora; a essa ha dato riscontro il Governo magiaro con l’invio di un parere motivato, ma le autorità ungheresi – rileva l’Esecutivo Ue – non hanno risposto in misura sufficiente alle preoccupazioni sollevate in merito all’uguaglianza e alla protezione dei diritti fondamentali, e non hanno mostrato alcun impegno a porre rimedio all’incompatibilità.

Nella medesima occasione della discussione all’Assemblea plenaria di Strasburgo, Von der Leyen ha stigmatizzato l’istituzione in Polonia delle cosiddette zone “Lgbt free”, ovvero le amministrazioni del Paese che si autoqualificano come libere dalla “ideologia Lgbt”. “Non possiamo – ha detto von der Leyen – restare a guardare quando ci sono regioni che si dichiarano libere dagli Lgbt. Non lasceremo mai che parte della nostra società sia stigmatizzata a causa di quello che si pensa, dell’etnia, delle opinioni politiche o credi religiosi”.

Tale dura presa di posizione, fortemente criticata dalla presidente della coalizione parlamentare europea Conservatori e riformisti, Giorgia Meloni, come “l’ennesimo inaccettabile ricatto politico contro il legittimo governo di una nazione sovrana”, è del 6 luglio; il giorno dopo, l’Ansa ha dato notizia che “Dopo il via libera di Bruxelles al piano di ripresa e resilienza polacco, si sono registrati significativi passi in avanti nei negoziati tra Ue e Ungheria". Budapest ha accettato le condizioni della Commissione europea per l’approvazione del piano di ripresa e resilienza ungherese. Ad annunciarlo Gergely Gulyas, capo di gabinetto del premier: la posizione dell’Esecutivo europeo è stata accolta su quattro punti che riguardano, tra gli altri, la lotta alla corruzione, gli appalti pubblici e l’uso di parte significativa dei fondi europei per il raggiungimento del livello più alto possibile di indipendenza energetica, ma non è dato sapere, al momento, quale sarà la conclusione di possibile accordo sullo stato di diritto.

Il 13 luglio è stato approvato il progetto di relazione della Libe la commissione per le libertà civili del Parlamento europeo con 47 voti favorevoli, 10 contrari e 2 astensioni, che verrà discusso e messo al voto nella prossima sessione plenaria in programma dal 12 al 15 settembre a Strasburgo: in base a esso la mancanza di un’azione decisiva dell’Ue ha contribuito all’emergere in Ungheria di un “regime ibrido di autocrazia elettorale”, e un ulteriore ritardo nella procedura di cui all’articolo 7 equivarrebbe a una violazione dello stato di diritto da parte dello stesso Consiglio dell’Ue.

Gli eurodeputati esortano, pertanto, la Commissione europea a ricorrere a tutti gli strumenti a disposizione e, alla luce della guerra russa contro l’Ucraina e delle azioni anti-Ue di Budapest, chiedono all’Esecutivo di non approvare il Pnrr magiaro fino a quando l’Ungheria non avrà rispettato le raccomandazioni contenute nel semestre europeo e applicato le sentenze della Corte di giustizia dell’Ue e della Corte europea dei diritti dell’uomo. Tra le aree che destano preoccupazione: l’indipendenza della magistratura, la corruzione e i conflitti di interesse, la libertà di espressione, tra cui il pluralismo dei media, il diritto alla parità di trattamento, compresi i diritti Lgbtiq, i diritti delle minoranze, migranti, richiedenti asilo e rifugiati.

È un caso che tutto ciò sia avvenuto appena qualche giorno dopo che l’Ungheria ponesse il veto all’introduzione della Global minimum tax in Europa, per la quale occorre l’unanimità dei consensi da parte dei 27 Stati membri, o è pensar male che si tratti della ennesima strumentalizzazione nell’ambito dello scontro, appunto, ideologico sopra descritto?

Ed è pensar male anche che chi vuole – come il presidente del Consiglio, non si sa ancora per quanto in carica, Mario Draghi, ovvero l’appena rieletto presidente della Francia, Emmanuel Macron – introdurre meccanismi di superamento del criterio della unanimità (nonostante i casi di suo utilizzo siano già, a Trattati vigenti, ben limitati), non lo faccia solo per rendere la Ue più capace di adottare misure adeguate contro le emergenze belliche o economiche, bensì per più agevolmente perseguire il disegno di una Europa ispirata non al rispetto della sua identità plurale, bensì alla omologazione del pensiero unico progressista?

(*) Tratto dal Centro studi Rosario Livatino

Aggiornato il 20 luglio 2022 alle ore 17:07