Salvini e il futuro della Lega: di lotta o di Governo?

Ultima Spiaggia? No, anche perché fa tanto turista radical chic. Ultimatum a Mario Draghi? No. O forse sì. Dipende dagli scenari futuri. Matteo Salvini, ospite di Radio anch’io su Rai Radio 1, mette le cose in chiaro: ci sono cittadini che temono l’arrivo dell’autunno. Così l’Esecutivo deve seguire, a detta del Capitano, una strada chiara. Quale? “Rinnovare lo sconto benzina, adeguare stipendi e pensioni, senza tornare alla scala mobile, capire come tutelare il salario, temi immediati”. Senza dimenticare “la pace fiscale. Noi siamo al Governo per aiutare gli italiani, fino a oggi su pace fiscale e stipendi e pensioni non è stato fatto nulla”.

Il dopo Pontida

Dopo aver precisato sul tema della riforma Cartabia (oggi in Senato) “se ci sono i numeri verrà approvata. Ci sono i nostri emendamenti, chi vuole cambiare la giustizia li voterà”, il leader leghista – in una intervista al Corriere della Sera – tuona: “Ci sono tre mesi per sminare il terreno. Torneremo sul pratone di Pontida il 18 settembre. Per quella data vogliamo risposte”.

Riflessioni nel Carroccio

“Abbiamo deciso di appoggiare il Governo perché era necessario non lasciare il Paese nelle mani di Partito Democratico e Cinque Stelle che lo stavano sfasciando. Ora tutti quei dirigenti e militanti, compresi Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, che credevano in Draghi e in questo Governo col perseverare degli errori di Roberto Speranza e Luciana Lamorgese, di Patrizio Bianchi ed Enrico Giovannini, mi chiedono di rifletterci bene. Draghi sa che ci sono temi su cui non siamo disposti a transigere”. E ancora: “I nostri elettori preferiscono stare a casa, sindaci e militanti mi segnalano una crescente insofferenza verso un Governo che appare sbilanciato a sinistra su troppi temi. Su pace fiscale, pensioni, immigrazione, giustizia. Serve un cambio di passo”.

Insomma, un modo elegante per dire che la permanenza nell’Esecutivo non potrebbe essere più così scontata. Anche perché i risultati delle ultime Amministrative vedono la mole di consensi portati a casa da Fratelli d’Italia, “forza-traino del centrodestra” come definita da Giorgia Meloni. FdI, c’è poco da girarci intorno, guadagna terreno per la scelta di coerenza di restare all’opposizione. La Lega, visti i chiari di luna, potrebbe seguire lo stesso filone: le elezioni del 2023 sono dietro l’angolo e un anno passa in fretta. Così, la reunion di Pontida potrebbe rappresentare lo spartiacque con il nuovo corso di Salvini: di lotta o di Governo? Guai però, per Salvini, a creare zizzania (ulteriore, verrebbe da aggiungere): “Per la prima volta nella storia la Lega entra in maggioranza a Palermo e Messina – commenta a Radio Anch’io – al Nord tra Lombardia e Veneto abbiamo preso 16 sindaci nuovi. Sicuramente abbiamo perso a Lodi, Padova e in altre città, ma in altri posti siamo cresciuti. Meno voti di FdI? Il mio competitor è la sinistra. Se dentro al centrodestra c’è qualcuno che cresce di più evviva, l’importante è che la matematica non venga offesa. Il numero dei nostri sindaci è inoppugnabile”.

Fuoco “amico”

Riposti microfoni, penne e taccuini, la riflessione in seno alla Lega resta aperta. E ad alimentare il fuoco nel braciere ci pensa Roberto Castelli, ex ministro della Giustizia e storico esponente leghista, che in un colloquio con Repubblica va dritto alla questione: “Anche con Umberto Bossi abbiamo cercato di guardare al Sud: magari da quelle parti arrivavamo al 3 per cento, ma non tradendo le origini. Oggi abbiamo snaturato un partito per conquistare un non esaltante 6 sei per cento. Mentre al Nord siamo crollati”. Non solo: Castelli è colpito dall’attuale classe dirigente che canta vittoria, “perché la Lega ha conquistato qualche Comune in più. Per carità, in coalizione siamo andati bene, ci sono stati diversi successi, ma dietro Fratelli d’Italia. Ora, a me Giorgia Meloni sta simpatica, ma pensare che la leader romana di un partito centralista venga a prendere voti a casa mia, mi fa venire un po’ l’orticaria”. E su un possibile addio di Salvini dalla guida del partito, chiosa: “Non credo che lo farà prima delle Politiche. Ma se continua, così rischia di fare la fine di Matteo Renzi. Che, per inciso, fu travolto da un referendum”. Con la conclusione: nel partito “esiste un mugugno critico, mettiamola così. Io vivo la pancia della vecchia Lega: il malcontento, che era forte prima, ora è fortissimo… Se la Lega vuole continuare a essere partito nazionale, prospettiva che non mi interessa, difficilmente può restare nel cono d’ombra del Governo Draghi. Quindi, o si esce dal Governo o vi si resta per portare avanti la mai risolta questione settentrionale”. Più indizi danno una prova. Chissà se saranno colti.

Aggiornato il 15 giugno 2022 alle ore 15:22