Ingroia: “I magistrati si assumano le proprie responsabilità”

Ex magistrato, oggi avvocato, Antonio Ingroia alla vigilia del referendum sulla giustizia risponde alle domande de L’Opinione.

Cosa ne pensa del silenzio dei media, anche da parte del servizio pubblico ma un po’ di tutta la stampa, che ha accompagnato il percorso del referendum sulla giustizia e arrivato praticamente alla vigilia?

Io penso che chiaramente la mancanza di informazione a ridosso di una consultazione elettorale referendaria non sia un sintomo positivo di democrazia e di formazione del consenso informato di chi deve andare a votare. Molti fra i non addetti ai lavori che mi incontrano mi chiedono cosa fare ma ciò che traspare è la mancata conoscenza dei quesiti. Purtroppo ci troviamo con un’informazione totalmente monopolizzata dai temi di emergenza che si succedono, prima la pandemia e ora la guerra russo-ucraina, come se non succedesse altro.

Troppi cinque quesiti, forse questo ha creato ancora di più confusione nell’elettorato?

Sì, io dico che però il tema è che ci troviamo su un terreno molto delicato dove ci sono interessi meritevoli di tutela sia da una parte che dall’altra; bisogna realizzare un punto di equilibrio soddisfacente per tutte le parti e gli interessi in gioco e francamente ritengo il referendum abrogativo uno strumento poco adatto. È altrettanto vero però che il nostro Parlamento si è rivelato per anni incapace di fare una riforma della giustizia, ma spettava proprio al Parlamento farlo coinvolgendo anche le parti contrapposte come magistratura e avvocatura. Personalmente ritengo che il referendum abrogativo sia come un’ascia, è come avere una ferita al braccio e il referendum amputa il braccio invece di curare la ferita. Dal punto di vista politico sarebbe stato utile e significativo farne uno sulla responsabilità civile dei magistrati, peraltro cassato dalla Corte costituzionale, e sul quale avrei votato certamente sì. Personalmente non andrò a votare perché ritengo venga fuori un risultato falsato e poi perché ritengo che questo referendum non sia idoneo all’obiettivo.

La giustizia è diventato un tema elitario, perché la gente si è allontanata e rischia di astenersi in blocco?

In parte sì, ci troviamo in un momento in cui le case degli italiani sono invase da altri messaggi e c’è molta distrazione su certi temi. Poi il gran numero di quesiti proposti, molti dei quali molto tecnici e poco comprensibili per il cittadino comune non farà che favorire l’astensionismo. A parte il quesito sulla responsabilità civile dei magistrati che era abbastanza immediato così come quello sulla separazione delle carriere, ma quest’ultimo non è percepito dai cittadini come una questione dirimente. Quindi, ripeto, era meglio affidare il tema al dibattito parlamentare. Sbaglia la magistratura associata a mettersi in trincea contro la responsabilità civile, anzi, sarebbe stata una mossa più intelligente quella di fare un passo in avanti, dichiarando la propria disponibilità come categoria a sottoporsi al giudizio. Soprattutto oggi che la magistratura vive uno dei momenti peggiori a livello di credibilità nei confronti dei cittadini, opporsi alla responsabilità civile diretta dei magistrati viene percepito inevitabilmente dal cittadino come la difesa di un privilegio; vero che il cittadino può rivalersi nei confronti dello Stato ma non è la stessa cosa. Il pubblico funzionario, l’idraulico, il privato professionista rispondono, e il magistrato no. Il timore del magistrato può essere mitigato dal munirsi di una buona assicurazione.

Cosa ne pensa del quesito sulla Legge Severino?

Anche lì ci sono degli aspetti che andrebbero riformati. La “Severino” è stata una legge chiamiamola di emergenza fatta in un momento di grave crisi della politica per la questione morale e quindi la politica voleva dare un segnale, ma per fare un esempio ci sono tanti amministratori che vengono indagati per abuso d’ufficio, per cui con la Severino avviene la sospensione della carica di amministratore prima ancora della sentenza. Il referendum proprio perché non interviene in modo chirurgico arriva come una scure e propone l’abolizione della Severino in toto, e francamente sull’abolizione in toto sono contrario. Avrebbe ragione chi, come Luciano Violante, dice che la questione della responsabilità politica andrebbe affidata alla politica e non a meccanismi automatici di legge. Purtroppo in Italia la responsabilità politica non ha funzionato mai, non si è mai dimesso nessuno se non quando è stato costretto da un intervento legislativo.

A proposito della separazione delle carriere?

Se fossi andato a votare avrei votato no perché ritengo questo referendum un inganno – e non come si dice nel dibattito politico “vendicativo” verso la magistratura – nei confronti degli elettori perché promette più di quello che mai potrebbe mantenere. Non è vero che con la separazione delle carriere si avrebbe una maggiore e riconquistata terzietà del giudice. Quando il giudice è appiattito, dunque non equilibrato ed imparziale, rischia di diventarlo ancora di più con la separazione delle carriere. Quella del pubblico ministero diverrebbe una corporazione di Stato fortissima con alle spalle tutto il governo, il potere esecutivo e la polizia giudiziaria per diventare una specie di ministero pubblico come avviene in certi Paesi dell’America latina con un potere enorme che rischierebbe di schiacciare ancora di più il singolo giudice. Sarebbe paradossalmente controproducente.

Sull’elezione dei componenti del Csm?

L’unico referendum, che poi è passato alla Corte costituzionale, nel quale io avrei eventualmente votato sì è quello sulla partecipazione degli avvocati nella valutazione di professionalità dei magistrati. La questione non è intervenire come fa il referendum sulla raccolta delle firme. Anche qui c’è stata una battaglia di retroguardia della magistratura che non voleva sottoporsi al giudizio degli avvocati e professori di diritto ma solo da parte dei colleghi. Con questo referendum non si risolve il problema delle correnti, nonostante lo si faccia credere. Per risolverlo bisognava intervenire in maniera radicale, cioè che si vada al Csm per sorteggio, non esistono altre alternative. Quando ero magistrato ero diffidente e contrario a questa proposta perché ritenevo che la magistratura si potesse autoriformare rispetto alle correnti. Non è così, la mia è stata un’illusione, il caso Palamara lo ha dimostrato in maniera eclatante ed è sorprendente che le parti politiche, a cominciare da quelli del Movimento 5 Stelle che in campagna elettorale dicevano che avrebbero introdotto il metodo del sorteggio, si sono rimangiati le promesse fatte agli elettori seguendo tutt’altra strada. Quelli della riforma Cartabia sono tutti pannicelli caldi che non risolvono il problema della giustizia.

Avendo lavorato con Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, come pensa si sarebbero espressi in questo referendum?

Non mi sento di farmi interprete del pensiero di Falcone e Borsellino, l’unica cosa che posso dire è che penso che non sarebbero contenti dell’Italia di oggi e neppure della magistratura.

Aggiornato il 10 giugno 2022 alle ore 14:13