Referendum, dalla Repubblica alla giustizia

Domenica gli italiani tornano al voto. Per le Amministrative e per esprimere la loro opinione sui cinque referendum sulla giustizia promossi da Lega e Radicali. Da diversi giorni Matteo Salvini accusa i media e il campo progressista di aver oscurato la consultazione referendaria. “La sinistra – sostiene – sta nascondendo e censurando il referendum sulla giustizia perché ha enorme paura che cambi”. Il leader del Carroccio si augura “che ci sia tanta gente che vada a scegliere. Non è possibile che ci siano 60 milioni di italiani presunti colpevoli che si alzano la mattina e se trovano un giudice sbagliato hanno la vita, la famiglia e la carriera rovinate. Poi dopo un anno li assolvono, una pacca sulla spalla, abbiamo sbagliato persona, e chi s’è visto s’è visto. Troppo facile”. Secondo l’ex ministro dell’Interno, “domenica sarà un’occasione storica per cambiare il sistema della giustizia in Italia. C’è una censura vergognosa per questo referendum”.

Un fatto è certo: si gioca tutto sul quorum. Come sempre. Nei 76 anni di storia repubblicana, dal 1946 ad oggi, si sono svolti 73 referendum nazionali (con i cinque di domenica si raggiungerà quota 78), di cui 67 abrogativi, quattro costituzionali, uno consultivo e uno istituzionale. Quest’ultimo riguarda proprio quello in cui il popolo italiano è chiamato a scegliere tra monarchia e repubblica, il 2 giugno 1946.

È quindi il primo referendum e anche l’unico ad avere al suo interno, oltre alle domande con le caselle da barrare, due simboli sulle rispettive opzioni: a sinistra il volto dell’Italia turrita nell’aspetto di una giovane donna e a destra lo stemma del regno sabaudo. Allora si registra una percentuale di affluenza mai più raggiunta: l’89,1 per cento.

Dei quattro “costituzionali” (tutti svolti negli ultimi 21 anni) solo due ottengono il “Sì”: quello sulla modifica del titolo V della Costituzione (2001) e quello sulla riduzione del numero dei parlamentari (2021). Uno dei quesiti “costituzionali” determina le sorti politiche del governo guidato da Matteo Renzi. È il 2016 e l’allora premier si dimette poco dopo la bocciatura del referendum (59,12 per cento dei “No”) sulla riforma costituzionale Renzi-Boschi. L’unico “referendum consultivo” si svolge nel 1989. Con un esito positivo. Riguarda il conferimento di un mandato costituente al Parlamento europeo.

Sono stati numerosi i referendum abrogativi. L’affluenza media di voto per i quesiti di questa tipologia è del 52 per cento. Il primo “abrogativo” è quello sul divorzio, nel 1974. Vota l’87,7 per cento (la seconda percentuale di affluenza di sempre) dei 37,6 milioni di elettori. I contrari all’abolizione del divorzio vincono con il 59 per cento dei voti, mentre i favorevoli sono il 41 per cento.

Nel 1981 altri importanti referendum. Cinque in tutto.  Con un’affluenza al 79,4 per cento. Ma non passa alcun quesito. La maggioranza dei votanti è contro l’abolizione dell’ergastolo (77,4 per cento), contro nuove norme che concedano il possesso di armi (85,9 per cento) e, sull’aborto, sia contro la proposta del Partito radicale (88,4 per cento) che contro quella del Movimento per la vita (68 per cento). Entrambe chiedono l’abrogazione di alcune norme della legge 194 sull’aborto, ma in senso opposto: la prima per renderne più libero il ricorso, la seconda per restringerne la liceità.

Tra i referendum abrogativi che non raggiungono il quorum, quelli che ottengono la percentuale più bassa si tengono nel 2009, quando l’affluenza si ferma tra il 23 e il 24 per cento. I quesiti sono tre e riguardano l’assegnazione del premio di maggioranza alla lista più votata, anziché alla coalizione, per la Camera; l’assegnazione del premio di maggioranza alla lista più votata, anziché alla coalizione, per il Senato; l’impossibilità per una stessa persona di candidarsi in più circoscrizioni.

Aggiornato il 10 giugno 2022 alle ore 18:47