Domani, martedì 10 maggio, Mario Draghi incontrerà Joe Biden in visita ufficiale. Si vedranno alla Casa Bianca, sarà un confronto transatlantico in cui il premier italiano rappresenterà le necessità dei Paesi europei, mentre il presidente americano cercherà di giustificare politiche ed interessi degli Usa. Inutile dire che gran parte dell’incontro verterà sulla crisi Russia-Ucraina. La questione Ucraina rappresenta per Biden un triplo problema: in primis la guerra serve agli Usa per tutelare interessi ed investimenti di Pentagono e multinazionali in Ucraina. Poi c’è che il conflitto aiuterebbe l’intelligence democratica (Fbi e Cia) a cancellare o diluire le prove del coinvolgimento di Hunter Biden nella corruzione ucraina entro novembre 2022 (quando s’aprirà negli Usa il processo al figlio di Joe). Terzo e non ultimo problema è che dai punti precedenti potrebbe dipendere l’andamento delle elezioni di Midterm che si terranno l’8 novembre 2022, cioè a metà mandato di Old Joe.
Il destino del Pianeta
Necessita comprendere che i destini del mondo sarebbero in mano a un ottuagenario, malandato e con tanti dispiaceri. Infatti, il presidente Usa, dopo la perdita dei figli Beau e Naomi nonché della prima moglie, oggi è particolarmente addolorato dai tanti problemi giudiziarie e fiscali che pesano sul figlio Hunter. Del resto, la storia dell’uomo, seppur con mirabolanti sviluppi tecnologici, evidenzia come la Prima guerra occidentale ed europea all’Oriente (la guerra di Troia) abbia in sé profonde implicazioni familistiche al pari dell’ultima: se la mitologica guerra ebbe come pretesto (anche tanto omerico) il rapimento di Elena di Sparta, oggi è fin troppo evidente che Joe Biden debba salvare il figlio Hunter dalle mani della implacabile giustizia statunitense.
La guerra rimane pur sempre una pulsione umana, in cui trovano modo d’esprimersi sia l’odio che l’amore. E qui non è il caso d’infierire, rammentando le accuse circa il coinvolgimento di Hunter nei festini di Jeffrey Epstein a base di droghe e minori. E nemmeno di tornare a parlare degli incontri del rampollo di casa Biden con boss messicani e centro-sudamericani per affari o promesse d’immunità e difesa negli Usa. Qualcuno obietterà che Hunter Biden partecipava a tutte queste attività per via della sua attività d’avvocato: purtroppo le foto rinvenute dall’Fbi nel portatile, dimenticato da Hunter in un salone di bellezza, dimostrano che il legale era troppo coinvolto e andava ben oltre i suoi incarichi da avvocato. Ma stendiamo un velo pietoso, limitiamoci all’affare Ucraina, in maniera asettica, oltre i vecchi schemi di nazismo e comunismo, e perché i rapporti tra Hunter Biden e i referenti istituzionali del Battaglione Azov sarebbero stati meramente d’affari: la struttura paramilitare ucraina veniva pagata per garantire inviolabilità e sicurezza ai laboratori, alle sedi delle multinazionali e ai rappresentati degli affari statunitensi.
Sappiamo bene che di fronte al danaro non sono certo ostative le immagini rappresentate sui tatuaggi, e che si tratti di svastiche o falci e martello poco cambia: il Battaglione Azov veniva inquadrato nelle strutture militari ucraine su consiglio d’emissari atlantici, e perché quei miliziani garantivano sicurezza (e discrezione) ad industrie e laboratori utili al Pentagono. Ora la notizia è di dominio pubblico, ma in tanti gridarono alla “fake news”, alla menzogna, quando Donald Trump disse a Joe Biden di stare attento a ciò che suo figlio Hunter faceva in Ucraina. Di fatto, il giovane avvocato Biden aveva ricevuto da potentati Usa il compito di provvedere al pagamento di tutta la sicurezza in Ucraina, così partiva alla volta di Kiev con valige di danaro. Quel danaro pareva passasse inosservato, ma ben sappiamo come il danaro non tracciabile e non elettronico venga spiato da uomini in carne ed ossa: infatti Hunter Biden era atteso in aeroporto da referenti locali, ma i suoi movimenti certo non sfuggivano agli uomini del Foregin Office (un misto di MI6, MI5, Fbi e Cia e Mossad) come del Kgb (oggi Fsb) che presidiavano arrivi e partenze nella instabile Ucraina.
Quelle notizie sui traffici “finanziari” di Hunter Biden furono alla base della “teoria cospirazionista” promossa da Trump nelle ultime settimane di mandato: non dimentichiamo che l’avvio della “procedura di impeachment” avvenne solo perché Trump aveva rivelato gli altarini di Hunter. Donald Trump è persona abbastanza diretta, aveva personalmente telefonato a Volodymyr Zelensky per chiedere lumi su un presunto abuso di potere fatto da Joe Biden per proteggere Hunter. Quest’ultimo è un po’ il monello della famiglia Biden, fin da piccino si sentiva ripetere che non era all’altezza del padre e del fratello, che doveva ringraziare il cognome se faceva una modesta carriera da consulente legale. Hunter nel 2014 veniva congedato dalla riserva dei Marines perché trovato positivo al test della cocaina, poi beccato con le mani in un fondo investimenti non proprio onesto. E così intraprendeva una vita spregiudicata e internazionale, ma senza avere un gran controllo della macchina: nell’aprile 2014 entrava, con un compenso di 50mila dollari al mese, nel Consiglio d’amministrazione di Burisma Holdings, il colosso ucraino del gas.
L’intermediario ingombrante
Burisma aveva individuato in Hunter il volto istituzionale per fare affari con l’Occidente: l’Ucraina si stava spostando dall’orbita russa a quella europea. Combinazione perfetta per il giovane Hunter che sognava di fare politica: Burisma è dell’oligarca ucraino Mykola Zlochevsky (già ministro dell’Energia di Viktor Yanukovych) a cui le autorità britanniche avevano sequestrato 23 milioni di dollari su un conto londinese (sospetto riciclaggio) una settimana prima che Hunter venisse ingaggiato nella società del gas. Hunter si strofinava le mani e sorrideva. Infatti, suo padre Joe era in quel periodo impegnato come membro dell’Amministrazione di Barack Obama nelle trattative per irretire nell’orbita Nato l’Ucraina. E pensare che presupposto degli accordi Usa-Ucraina era proprio la lotta alla corruzione nel paese nell’Europa orientale.
Come uomo chiave della lotta alla corruzione in Ucraina, per favorire la partnership occidentale, c’era il procuratore generale Viktor Shokin: il magistrato aveva il compito d’indagare sulla natura dei fondi sequestrati a Burisma dalle autorità britanniche. Ma l’indagine si dimostrava all’acqua di rose, Shokin e l’entourage di Hunter Biden venivano visti sorridenti a varie feste esclusive e di legazioni diplomatiche: alla fine i britannici sbloccavano i 23 milioni sequestrati a Burisma per favorire l’occidentalizzazione. E Mykola Zlochevsky trasferiva subito il malloppo nelle banche cipriote.
Nonostante le conferenze sulla corruzione endemica in Ucraina, nessuno s’azzardava a rompere le uova nel paniere ai tanti amici di Hunter. Di fatto la colpa non era di Shokin, bensì del sistema di corruzione ucraino utile alla speculazione internazionale: Rudolph Giuliani (avvocato di Trump) raccontava al New Yorker del suo confronto con Shokin, il magistrato sarebbe stato messo a riposo perché non terminasse l’indagine su Burisma. Donald Trump ha così deciso di accusare Biden d’aver fatto rimuovere Shokin per salvare Hunter dalle indagini internazionali sulla corruzione, soprattutto sulle valige di dollari che il giovane avvocato trasportava in Ucraina. Ma i soldi nelle valigette è ben noto non abbiano paternità, ed Hunter Biden sarebbe accusato dalla Russia d’aver finanziato anche i laboratori d’armi biologiche in Ucraina: il ministero della Difesa russo sarebbe in possesso della corrispondenza tra il giovane Biden e i funzionari del “Defense Threat Reduction Agency” e le multinazionali che lavorano per il Pentagono.
È bene ricordare come, lo scorso 23 aprile 2021, la stessa ambasciata degli Stati Uniti abbia riconosciuto che su suolo ucraino insistono laboratori biologici, costruiti dalle multinazionali americane, che operano sotto il controllo del Pentagono: la dichiarazione dei diplomatici Usa era arrivata dopo una lettera di alcuni parlamentari ucraini circa la minaccia per la salute della popolazione costituita dai centri di ricerca farmaceutica. Gli americani negavano la pericolosità, affermando che il lavoro scientifico sarebbe svolto a scopi esclusivamente pacifici. Subito gli Usa accusavano i parlamentari di dare ascolto alla “disinformazione russa”. Ecco che Joe Biden ora avrebbe il tempo contato, perché il tribunale del Delaware processerà Hunter, e la vicenda sembra possa spalancare altri filoni d’indagine sulla corruzione internazionale. Quello che gli italiani si domandano è se Mario Draghi avrebbe mai il coraggio di dire a Biden “la Vecchia Europa non può andare in guerra e caricarsi i costi delle sanzioni per salvare il figlio del presidente degli Stati Uniti”.
Aggiornato il 10 maggio 2022 alle ore 16:15