Draghi al Parlamento Ue: Italia in prima linea

Il premier Mario Draghi esordisce dinanzi all’Assemblea legislativa di Bruxelles con un ricordo dell’ex presidente David Sassoli. L’Europa che Sassoli aveva in mente – ricorda il premier – era un “progetto di speranza”: un’Europa che innova, protegge e illumina. La guerra in Ucraina – prosegue Draghi – pone l’Unione europea davanti a una delle più gravi crisi della sua storia. Una crisi che è umanitaria, securitaria, energetica ed economica. L’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia ha rimesso in discussione la nostra più grande conquista: la pace del nostro Continente. Una pace basata sul rispetto dei confini territoriali, dello Stato di diritto, della sovranità democratica, sulla diplomazia come mezzo di risoluzione delle controversie tra Stati, sui diritti umani. Questi ultimi oltraggiati in tutti i luoghi, come Mariupol e Bucha, in cui si è scatenata la violenza dell’esercito russo contro i civili inermi.

Dobbiamo sostenere l’Ucraina, il suo Governo e il suo popolo – dichiara il presidente del Consiglio – come ha chiesto e continua a chiedere il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky. In una guerra d’aggressione non può esistere alcuna equivalenza tra chi invade e chi resiste. Vogliamo che l’Ucraina rimanga un Paese libero, democratico e sovrano. Proteggere l’Ucraina vuol dire proteggere noi stessi e il progetto di sicurezza e democrazia che abbiamo costruito assieme negli ultimi settant’anni. Vuol dire lavorare per la pace. L’Italia, come Paese fondatore dell’Unione europea e come Paese che crede profondamente nella pace, è pronta a impegnarsi in prima linea per raggiungere una soluzione diplomatica. La nostra priorità è ottenere un cessate il fuoco per consentire la messa in sicurezza dei civili e per dare nuovo slancio ai negoziati.

A questo punto della nostra storia – va avanti il premier – è necessario impegnarsi per una revisione dei trattati. Le istituzioni europee hanno servito bene i cittadini in passato, ma sono inadeguate alla realtà di oggi. Abbiamo bisogno di un federalismo pragmatico. In particolare, Draghi ha ricordato come la priorità sia quella di superare il principio dell’unanimità, basato su una logica intergovernativa fatta di veti incrociati che sovente paralizzano l’azione delle istituzioni comunitarie e che impediscono di prendere decisioni a maggioranza qualificata. La piena integrazione – prosegue il premier – non rappresenta una minaccia per la tenuta del progetto europeo, ma è parte della sua realizzazione. L’Italia è fortemente favorevole e patrocina l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue.

Quanto al tema energetico, il presidente del Consiglio osserva che la crisi ucraina ha mostrato la profonda vulnerabilità di molti Paesi europei nei confronti della Russia: tra questi, l’Italia è uno dei più esposti. Una simile dipendenza energetica – sottolinea Draghi – è imprudente dal punto di vista economico e pericolosa dal punto di vista geopolitico. Per questo – va avanti – l’Italia intende prendere tutte le decisioni necessarie per garantire la sua sicurezza e quella dell’Europa. Abbiamo appoggiato le sanzioni contro la Russia, anche nel settore energetico e continueremo a farlo con la stessa convinzione. Sin dall’inizio della crisi, l’Italia ha chiesto di mettere un tetto europeo ai prezzi del gas importato dalla Russia. La nostra proposta consentirebbe di ridurre i costi esorbitanti che oggi gravano sulle nostre economie e di diminuire le somme che ogni giorno inviamo a Putin per finanziare la sua campagna militare.

Quello del rincaro dell’elettricità, è un problema sistemico – evidenzia Draghi – che va risolto con soluzioni strutturali, che spezzino il legame tra il prezzo del gas e quello dell’elettricità. Per questo c’è bisogno di decisioni forti e immediate, da prendere già al prossimo Consiglio europeo. L’Italia è anche favorevole all’embargo su tutte le energie fossili, ma bisogna darsi da fare per rendersi indipendenti. Noi lo abbiamo fatto e continueremo a farlo. Ciò rende inevitabile che l’Europa guardi al Mediterraneo per soddisfare le sue esigenze, ma soprattutto all’enorme opportunità offerta dalle rinnovabili. I Paesi dell’Europa meridionale, e in particolar modo l’Italia, sono collocati in modo strategico per questo tipo di produzione e sono pronti a fare da ponte verso i Paesi del Nord. La nostra centralità di domani passa dagli investimenti che sapremo fare oggi.

A questo proposito, Draghi parla anche della necessità di investimenti a sostegno delle economie europee attraverso il meccanismo Sure, al fine di finanziare gli interventi per il calmieramento delle bollette, come il temporaneo sostegno ai salari più bassi per difendere il potere d’acquisto delle famiglie senza generare nuova inflazione e di fornire agli Stati membri un’alternativa meno cara rispetto all’indebitamento sul mercato, limitando così il rischio di una futura instabilità finanziaria. È straordinario come il sogno di Sassoli – quello di un’Europa che innova, protegge e illumina – si stia realizzando proprio adesso. Un’Europa che si rinnova per sopravvivere; che protegge i più deboli dalle angherie dei prepotenti e che illumina il lungo e tortuoso cammino che i popoli percorrono verso la libertà.

Sì, l’aggressione russa ai danni dell’Ucraina e di tutto il mondo libero – che invero è in corso da anni, sia pure secondo linee direttrici più subdole, come la propaganda e l’alleanza con le forze antisistema – ha rimesso in discussione l’ordine fondato sulla pace, che è data anzitutto dal rispetto dell’altrui libertà, si tratti di individui o di nazioni. Questo significa che tutti i popoli europei sono oggi chiamati a scendere in campo per difendere quella libertà minacciata, consapevoli che la libertà non è, né può essere, patrimonio di un singolo o di pochi eletti o prerogativa di una sola civiltà. La libertà è un patrimonio comune, perché nessun individuo e nessun Paese possono essere autenticamente liberi, né la loro libertà può essere al sicuro, se non lo sono anche tutti gli altri e se alla loro libertà non vengono offerte le medesime garanzie.

La difesa dell’Ucraina non è solo difesa di uno Stato ingiustamente aggredito, ma difesa di tutti rispetto a un’autocrazia che sta facendo sfoggio di potenza militare e che è intenzionata a distruggere il nostro mondo. Non bisogna pensare che l’Occidente voglia la guerra per il fatto che sta aiutando gli ucraini a respingere l’invasione russa, né le dichiarazioni di Draghi sull’impegno italiano al raggiungimento della pace contraddicono le scelte dei governi europei e di quello americano: perché l’unico modo per giungere alla pace è sconfiggere Vladimir Putin, costringerlo alla resa e depotenziare, economicamente e militarmente, la Russia. Se Putin vincesse, si aprirebbero molti altri fronti in tutta Europa, perché andrebbe avanti nei suoi propositi imperialisti. Se omettessimo di agire contro la Russia, lasceremmo acceso un focolaio di guerra che sempre minaccerebbe di divampare. Del resto, stiamo vedendo in questi giorni i rischi connessi al lasciare che una potenza autocratica cresca e si rafforzi. Ergo, vi saranno vera pace e sicurezza solo quando le democrazie liberali avranno “imbrigliato” le autocrazie e le avranno rese inoffensive.

Questa guerra è una prova e, al tempo stesso, un’occasione per l’Europa, che può e deve evolvere verso una forma più compiuta: quella federale, in cui gli Stati nazionali cedano parte delle loro competenze (a partire dalla difesa e dalla politica estera) all’Unione. In questo modo l’Europa diventerebbe una vera potenza globale, capace di difendersi autonomamente – sia pure nel contesto dell’alleanza e del coordinamento con gli Stati Uniti – dalle minacce provenienti da Est, così come di dirimere questioni annose, come quella sull’immigrazione proveniente dall’Africa e dal Medio-Oriente. Meccanismi vetusti come quello dell’unanimità devono essere superati: oltre che antistorici, sono oggettivamente un ostacolo per l’azione delle istituzioni europee, per la loro efficienza e per il loro funzionamento.

Giusto anche percorrere la strada della diversificazione energetica, ma solo nel breve periodo. Nel lungo periodo non c’è alternativa all’autosufficienza europea, da raggiungere combinando rinnovabili e nucleare per giungere a un rapido superamento delle energie fossili, magari anche attraverso incentivi per l’adeguamento da parte di imprese e famiglie. Il decreto approvato due giorni fa, contenente anche la liberalizzazione per le autorizzazioni per le installazioni delle rinnovabili e il conferimento di poteri speciali al sindaco di Roma Capitale per la costruzione di un termovalorizzatore, va nella giusta direzione: ma bisogna fare di più e approntare un piano sull’attivazione delle centrali nucleari non più rinviabile.

Contrariamente alla narrazione disfattista e lagnosa per la quale l’Italia è sempre sull’orlo del baratro, non funzione niente, fa tutto schifo e il Governo se ne frega e pensa solo ai fatti suoi, l’intervento del premier Draghi al Parlamento Ue dimostra che l’Italia non solo non è più la “Cenerentola d’Europa”, ma che ha riacquistato la centralità nei processi decisionali che le compete. Abbiamo la straordinaria occasione di “dare le carte” sulla transizione energetica, come sul processo di integrazione e sull’assistenza alla causa ucraina. Speriamo solo che il senso di responsabilità prevalga e che l’esperienza del “Governo dei migliori” non sia solo una parentesi dettata dall’emergenza, ma diventi un fatto strutturale. La demagogia e l’incompetenza elevata a formula politica hanno già fatto troppi danni a questo Paese, ed è giunto il momento di voltare pagina.

Aggiornato il 04 maggio 2022 alle ore 09:56