L’Anpi colpisce ancora. Per l’ennesima volta, l’associazione che riunisce i “pasionari” della Resistenza (ovviamente pensata e raccontata dalla prospettiva trinariciuta) si mette in luce per la sua ipocrisia. A ridosso della Festa della Liberazione, in cui l’Italia tutta commemora la sconfitta del nazi-fascismo, il presidente dei partigiani (neanche l’avessero veramente fatta loro la guerra), Gianfranco Pagliarulo, si schiera con decisione contro la possibilità di portare bandiere della Nato al consueto corteo: sarebbe inappropriato, poiché la Nato è una organizzazione militare e, come tale, è fuori luogo in un contesto in cui si manifesta per la pace.
Il vessillo blu dell’Alleanza Atlantica va così ad aggiungersi alla “black list” delle bandiere bandite arbitrariamente dalle manifestazioni dagli autoproclamati ex partigiani: assieme a quella della Brigata Ebraica, tanto per intendersi, e diversamente da ciò che avviene con le bandiere palestinesi, che invece saranno benvenute e potranno liberamente sventolare insieme al tricolore, che sul manifesto di quest’anno della stessa associazione viene posto in maniera tale da poter essere facilmente confuso con la bandiera ungherese. Accostamento raccapricciante, considerato quello che l’Ungheria è diventata sotto la premiership di Viktor Orbán – una “democrazia illiberale” – sebbene gli ex partigiani insistano nel dire che si è trattato di una pura casualità.
Tutto ciò va ad aggiungersi alle polemiche degli scorsi giorni, suscitate dalla contrarietà dell’Anpi all’invio di armi alla resistenza ucraina: quest’ultima, a dire degli ex partigiani, sarebbe diversa da quella italiana. Del resto, Pagliarulo non è nuovo a questo genere di uscite, se consideriamo che pochi giorni prima aveva apertamente accusato il Governo ucraino di “nazismo”. Ciononostante, il nostro ci tiene a mettere le cose in chiaro e a sgomberare il campo da possibili equivoci: respinge le accuse di equidistanza e di filo-putinismo. Semplicemente – dice il presidente Anpi – l’invio di armi a Kiev rischia di innescare una escalation dai risvolti catastrofici e allontana la prospettiva di giungere a una soluzione diplomatica del conflitto. Proprio come fa l’allargamento della Nato a Svezia e Finlandia. Nemmeno la decenza di avere il coraggio delle proprie opinioni, di ammettere la propria russo-filia, insomma.
Ora, non prendiamoci in giro: come ha ammesso l’ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano, una parte della sinistra italiana – quella militante e oltranzista, perlopiù – continua a nutrire forti simpatie per la Russia, alla quale guarda ancora come l’unica alternativa all’Occidente americanocentrico. Non importa che la Russia abbia smesso da un pezzo di essere comunista e che, al posto del vecchio regime, ne sia subentrato uno nuovo, apertamente “fascista” e oligarchico, come quello di Vladimir Putin: Mosca scalda ancora i cuori di coloro per i quali “il sol dell’avvenire sorge a Est”. Insomma, l’odio per gli Stati Uniti spinge gli ex partigiani ad amare persino quei fascisti che professano di odiare e di aver combattuto.
Non si sa se costoro si rendano conto che, se non fosse stato per gli americani, la Resistenza italiana non sarebbe mai riuscita a spuntarla sui nazisti; che se non fosse stato per le armi e gli equipaggiamenti americani, i partigiani italiani non avrebbero potuto che soccombere dinanzi alla ferocia delle truppe di Adolf Hitler; che se non fosse stato per gli americani qualunque resistenza non sarebbe valsa a nulla, perché i nazisti avrebbero vinto. Sì, anche i sovietici diedero il loro contributo, ma non furono i sovietici a sbarcare in Sicilia o ad Anzio. Tuttavia, la loro americanofobia è viscerale e incontenibile. Qual è il problema? Forse che, subito dopo la caduta del fascismo e la fine della guerra, gli americani e la Nato hanno impedito agli ammiratori di Iosif Stalin di instaurare un nuovo regime in questo Paese e di farlo diventare una sorta di “Bulgaria del Mediterraneo”? Probabilmente, è proprio per questo che gli ex partigiani e l’ultra-sinistra disprezzano gli Stati Uniti. Altro che Paese del capitalismo e della disuguaglianza, dove chi non ha soldi non può nemmeno curarsi e altri luoghi comuni del genere: il motivo per cui odiano così tanto i nostri fratelli d’Oltreoceano è che, facendo dell’Italia un Paese Nato, hanno impedito loro di prendere il potere.
In secondo luogo, c’è da chiedersi in cosa differiscano la resistenza italiana e quella ucraina. L’Anpi non ha ritenuto opportuno spiegarlo. In entrambi i casi, abbiamo due popoli che lottano per la loro libertà, per respingere un invasore. Sicuramente sono due contesti storici diversi, ma il principio rimane lo stesso: dinanzi a un ingiusto aggressore si deve reagire e si deve lottare per difendere la propria terra. In verità, l’unica differenza è geografica e nominale: geografica per ovvie ragioni, trattandosi di due Paesi diversi; nominale, perché allora il tiranno si chiamava Adolf Hitler (col suo burattino, Benito Mussolini) e oggi si chiama Vladimir Putin (col suo burattino, Aleksandr Lukashenko). Per il resto è tutto uguale: e se è tutto uguale, non può essere diversa la risposta e la considerazione. Anche se al doppiopesismo di certa sinistra siamo abituati.
Abbiamo il dovere di armare l’Ucraina: è il minimo che possiamo fare. Se il timore è quello di una escalation che trascinerà in guerra anche noi, allora bisogna chiedere quale è l’alternativa: magari lasciare che Putin prenda l’Ucraina, vi instauri un Governo fantoccio dopo aver ucciso il suo legittimo presidente, Volodymyr Zelensky, e renda un Paese che aspira a essere libero e democratico uno Stato cuscinetto da usare come scudo “anti-Nato”? Questo sarebbe il sogno di molti: qualunque cosa pur di rafforzare la Russia e di metterla nelle condizioni di contendere il primato geopolitico agli odiati americani. Ma per le persone normali e dotate di un minimo di razionalità, questo è impensabile e assurdo.
A chi, invece, accusa l’Occidente che sta armando gli ucraini di non volere i negoziati, bisognerebbe ricordare che tale prospettiva era irrealistica sin dal principio: non ci si può sedere a un tavolo con dei “criminali”. Men che meno potevano farlo quegli ucraini che hanno visto la loro terra invasa, le loro città bombardate e i loro cittadini massacrati e sotterrati (se non bruciati nei forni crematori mobili che i russi portano al seguito). A mettere una croce sopra la possibilità di una intesa diplomatica sono stati i massacri di Bucha, Borodyanka, Irpin, Sumy, Chernihiv; nonché la pretesa del Cremlino di ottenere pacificamente quello che, altrimenti, avrebbe preso con la violenza. Questo potrebbe indurre qualche malizioso a pensare che l’ungherisizzazione del tricolore non sia casuale, dal momento che l’Ungheria di Orbán è l’unico Stato europeo a non inviare armi all’Ucraina e a disinteressarsi apertamente delle sorti del Paese.
Ultimo punto è quello sulle bandiere. La Nato è una organizzazione militare della quale fa parte anche l’Italia. Chi ama l’Italia non può non amare anche quella Nato che è una vera e propria “polizza sulla vita”, oltre che sulla libertà. Perché proprio il fatto di essere uniti e di essere vicini alla prima potenza mondiale, quella statunitense, ci ha permesso di non diventare come l’Ucraina e ci tutelerà da ogni aggressione. Questo l’hanno capito la Svezia e la Finlandia: gli ex partigiani no, a quanto pare. C’è poi la questione della Brigata Ebraica. Quanto accaduto conferma che antiamericanismo e antisemitis… pardon, antisionismo, vanno sempre a braccetto. E chi odia gli Stati Uniti e Israele non può non amare il “terrorismo” palestinese, al punto da volerne le bandiere alle proprie manifestazioni. Non posso fare a meno di esprimere plauso per le parole della presidente della Comunità Ebraica di Roma, Ruth Dureghello, che ha parlato di prese di posizioni strumentali – aggiungo io, probabilmente volte a camuffare un sentimento di ostilità contro gli ebrei mai sopito in determinati ambienti, dove si disprezzano i fascisti ma se ne condividono gli argomenti e i pregiudizi – e del direttore del Museo della Brigata Ebraica, Davide Romano, che non solo ha stigmatizzato le prese di posizione dell’Anpi come ipocrite, ma ha anche lanciato il suo guanto di sfida a Pagliarulo, invitando a presentarsi alla manifestazione con le bandiere dell’Ucraina e della Nato.
Una sola cosa è certa: questa gente non rappresenta che se stessa. Di sicuro non rappresenta né la Liberazione, né l’antifascismo: chi non ama la democrazia liberale e le sue istituzioni si vanta di aver combattuto il fascismo, omettendo di dire che lo fece solo per sostituire a esso un altro regime, anche peggiore, come quello comunista e usa la Resistenza come vessillo per legittimare i suoi deliri ideologici, non è degno nemmeno di menzionare determinati fatti storici. Per quello che può valere, invito a boicottare questa manifestazione e a festeggiare il 25 aprile secondo l’autentico spirito partigiano: quello di chi lotta e si sacrifica in nome e per amore della libertà e che per essa è disposto a tutto. Libertà anche e soprattutto da ogni ideologia illiberale, di qualunque colore e indirizzo politico. E se proprio ci tenete a partecipare, allora seguite il consiglio di Davide Romano: tricolore italiano, bandiera ucraina e bandiera Nato o statunitense. La bandiera di chi la Resistenza la fece, di chi la sta facendo e di chi ha reso possibile entrambe e, ancor oggi, garantisce che le conquiste di libertà non vadano perdute.
Aggiornato il 21 aprile 2022 alle ore 10:02