
L’idea della “pace perpetua”, che a suo tempo aveva persuaso Immanuel Kant, è un’aspirazione universale, o quasi. Già, perché, nonostante chiunque affermi di preferire la pace, uomini disposti a progettare guerre esistono da sempre e continueranno a esistere. Quale sia la costante che induce uno Stato ad aggredirne un altro è cosa incerta, ma sicuramente gli interessi nazionali, politici o economici da un lato e l’aggressività intesa come attitudine umana, riconosciuta dallo stesso Kant, dall’altro, sono gli ambiti in cui cercare una soluzione. L’unica cosa certa è che la decisione di scatenare un conflitto armato, quale che ne sia l’obiettivo, trova sempre grandi numeri di esseri umani in divisa disponibili ad agire.
È su questo dato di fatto, del resto, che si concentra la predicazione dei pacifisti i quali hanno un loro obiettivo specifico assai semplice: persuadere chi viene chiamato alle armi a non presentarsi. La soluzione è indiscutibilmente efficace, poiché è evidente che un esercito privo di gente disposta a sparare difficilmente potrà condurre battaglie. Peccato, tuttavia, che si tratti di una soluzione puramente teorica, poiché la sua efficacia sarebbe decisiva se – e solo se – fosse applicata a tutti gli eserciti e dunque a tutti gli uomini, in tutto il mondo. E qui cade l’asino, perché quando parliamo di “tutti” ci riferiamo implicitamente alla natura umana, la quale presenta uno spettro di attitudini, sia sul piano antropologico sia su quello morale, la cui portata è ben più ampia di quanto l’ingenua filosofia pacifista sembra presumere.
D’altra parte, la guerra, come violenza organizzata, non è l’unico esito ricorrente delle attitudini umane meno gradevoli. Si prenda il caso dei furti o delle rapine, nei confronti delle quali, a parte il lavoro delle polizie e l’opera educatrice delle varie agenzie di socializzazione, dalla famiglia alla scuola, non esiste alcun movimento collettivo emancipatorio simile al pacifismo. Eppure, l’esistenza dei malviventi e quindi dei furti è responsabile di guai di enorme portata economica e sociale e non raramente drammatici. Larga parte della nostra esistenza è, infatti, dominata dalle costose precauzioni che dobbiamo osservare per evitare che altri si impossessino delle nostre cose. Nel mondo, anche qui da sempre, si fabbricano e si usano miliardi di chiavi, catenacci, sbarre, chiavistelli, allarmi per difendere miriadi di possibili obiettivi, dalla casa alle biciclette, dall’automobile ai computer, dagli uffici ai depositi più diversi e così via.
Inutile, poi, elencare gli stratagemmi studiati per difendere la proprietà privata di ordine informatico dall’invasione altrui e dalla truffa che spesso ne deriva. Insomma, all’attitudine umana, naturale e universale, verso la proprietà privata e personale, si contrappone l’altrettanto universale attitudine alla sopraffazione e all’appropriazione di cose altrui. Va inoltre considerato che anche nei riguardi dei furti esistono, se non eserciti, quanto meno organizzazioni criminali vere e proprie, talvolta assai efficienti, dedicate all’appropriazione indebita. Ora ci si può chiedere: quale speranza avrebbe un movimento mondiale che si facesse messaggero di onestà? Nei confronti della violenza come nei riguardi delle ruberie tutte le società umane hanno consolidato codici etici, sostanzialmente convergenti, la cui interiorizzazione è affidata all’educazione. Ciò nonostante, i ladri, i rapinatori e i truffatori rimangono una costante, quasi un dato “normale”, per usare l’aggettivo che Émile Durkheim adottava per definire i tassi ricorrenti di criminalità.
Quel che è difficile capire, a questo punto, è perché vi siano persone che proprio non vogliono cedere di fronte all’evidenza e riconoscere che le società più evolute in fatto istituzioni giuridiche e di democrazia hanno il dovere, oltre che il diritto, di difendere se stesse di fronte a possibili, e oggi quanto mai reali, prospettive di aggressione. Avanzare spiegazioni e persino giustificazioni nei riguardi dell’aggressore è esattamente come spiegare o addirittura giustificare il furto, come fa un certo sociologismo, in base alle condizioni culturali o socio-economiche del ladro. Spiegazioni talvolta fondate ma che mai dovrebbero distogliere l’attenzione dal fatto criminale in sé, magari nello stesso momento in cui avviene, che va comunque perseguito.
Dalla fine della Seconda guerra mondiale il “tasso normale” di conflitti bellici, sempre locali, ha abituato i Paesi occidentali, europei in particolare, a ritenere tacitamente l’assenza di grandi scontri armati come un punto di arrivo stabile e definitivo. Ma la complessa organizzazione internazionale dell’Occidente, che ha effettivamente garantito la pace proprio nei termini giuridici proposti da Kant e che ha tradotto in altre forme competitive, speriamo durature, la naturale aggressività umana, non ha interessato altre culture, presso le quali, evidentemente, l’azione bellica in grande stile è ancora considerata la più ovvia condotta normale da seguire per risolvere le contese.
Aggiornato il 13 aprile 2022 alle ore 10:18