M5s, Conte tra il “no” alle spese militari e il caso Petrocelli

No” alle spese militari e caso Petrocelli. Sono i dossier caldi che tengono in ansia il Movimento cinque stelle del riconfermato presidente Giuseppe Conte. L’ex premier avverte la “morsa mediatica” e prova a ritagliarsi una “nuova identità pacifista”. Così, nonostante l’annuncio del ministro della Difesa Lorenzo Guerini sul dilazionamento del budget per la difesa, Conte non si ferma e seguita a parlare del tema degli armamenti. Un accanimento che sta mettendo in imbarazzo il Pd e la futura alleanza giallorossa per le prossime Politiche. Eppure, “l’ex avvocato del popolo” ha provato a dire la sua verità.

“Non siamo la succursale del Pd”. Una frase di appena sette giorni fa che ha scavato un solco profondo tra dem e pentastellati. Così, ieri l’ex premier ha rilanciato sui social la propria rivendicazione politica: “Come avevamo chiesto, il governo, nel Documento di economia e finanza non fa riferimento a incrementi delle spese militari: non sono la priorità del Paese in questo momento. Lo abbiamo sostenuto con forza. È un bene per il Paese che la nostra indicazione sia stata accolta”.

Quel che Conte non ha messo considerato è il disorientamento dei dirigenti e dell’elettorato grillino. “Andremo da soli alle elezioni? Siamo ancora alleati del Pd? Perché strizziamo gli occhi a i filo-putiniani della Lega?”. Quesiti, al momento, senza risposta. “Le voci di dentro” sostengono che il suo “no” agli armamenti sia una strategia precisa. Studiata con i “comunicatori del partito”. L’obiettivo è tirare la corda fino all’autunno, quando ci sarà il dibattito sulla manovra di bilancio e la questione sarà di nuovo in agenda.

Il vero rischio, secondo i fedelissimi del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, è che Conte possa staccare “la spina a Mario Draghi, in autunno”. La dichiarazione rilasciata oggi va intesa in quest’ottica. Il leader M5s, lasciando Montecitorio dopo un incontro al gruppo pentastellato, ha fatto riferimento alle parole del premier Draghi di ieri. “Pace o condizionatori? Non porrei questo interrogativo in modo così manicheo, perché poi il rischio è che la popolazione creda che se rinuncia ai condizionatori poi ottiene sul piatto la pace. Non credo che sia proprio così”. Conte aveva convocato per oggi, dalle 9 alle 11, un’assemblea congiunta in presenza alla Camera dei deputati con i capigruppo del M5s nelle varie commissioni parlamentari. In agenda, un solo punto: “La questione delle spese militari”.

Ovviamente se Conte aprisse una crisi di governo sarebbe uno strappo inaccettabile per Enrico Letta. Non a caso, negli ultimi giorni, è tornato in voga tra i dem il “lodo Zingaretti”. L’ex segretario, governatore del Lazio, propone un proporzionale puro con sbarramento alto, al 5 per cento. Questo atteggiamento del Pd appare chiaro: “mani libere” e campagna elettorale identitaria senza pre-accordi. E magari un nuovo “governissimo”.

Ma c’è un’altra questione che il M5s è costretto ad affrontare. La vicenda che riguarda il presidente della Commissione Esteri del Senato Vito Petrocelli. Il senatore, tacciato di essere filo-russo e filo-cinese, dovrebbe essere espulso dal partito per la mancata fiducia al governo sul decreto Ucraina. Ma andrà davvero così, o si tratterà dell’ennesima rottura del vaso di Pandora. Con nuove “carte bollette” e ricorsi? Non a caso, la dichiarazione del vicecapogruppo a Palazzo Madama Vincenzo Garruti all’Adnkronos insinua non pochi dubbi sul finale di partita: “Petrocelli ha dimostrato grande valore e impegno. Sbaglia di grosso chi parla di espulsione scontata”. Per Garruti, la “situazione è in fieri e sono in campo tutte le ipotesi”. Su questo fronte, Conte ha parlato chiaramente: “Petrocelli si è messo fuori da solo”. Ma c’è da credergli? Il dubbio è inevitabile.

Aggiornato il 08 aprile 2022 alle ore 11:14