Draghi o non Draghi: questo è il conflitto (d’interesse)?

Ogni individuo si dovrebbe giudicare per ciò che ha compiuto e costruito e non per quello che il pensiero unico millanta, nonostante che i fatti storici smentiscano ciò che esso sostiene. Le lusinghe e le referenze forzate e interessate dei poteri che tirano i fili dei burattini ossequiosi e ambiziosi, i quali eseguono solerti i comandi dei loro burattinai nel compiere torbidi “giochi” di “Palazzo” non possono, non devono, né influenzarci e tantomeno interessarci.

Laonde, soprattutto quando viene nominato un tecnico sedicente apolitico per governare una nazione, la considerazione sopra esposta dovrebbe essere il paradigma principale per valutare l’opportunità della sua nomina e quanto essa possa realmente concretizzare gli interessi della cittadinanza e quelli nazionali, anziché affidarsi all’acclamazione dei poteri che hanno consentito che questa nomina diventasse realtà. Il riferimento del sottoscritto non è assolutamente casuale ed è decisamente voluto, ossia riguarda l’attuale presidente del Consiglio, Mario Draghi.

Mario Draghi è stato direttore generale del ministero del Tesoro dal 1991 al 2001 e un anno dopo l’inizio del suo incarico e più precisamente il 2 giugno del 1992, presso il porto di Civitavecchia, sul famoso panfilo reale e privato degli Windsor, iniziò il suo coinvolgimento nel processo di svendita, definita eufemisticamente privatizzazione, delle più rilevanti aziende statali italiane, strategiche per gli interessi nazionali. Questa cooptazione di Draghi da parte di certi poteri venne suggellata con l’ulteriore sua nomina a presidente del “Comitato di consulenza e garanzia delle privatizzazioni”, ossia quell’organismo tecnico che svolgeva le funzioni di sovrintendere e indirizzare l’attività di consulenza di diverse società e grandi banche di affari come le advisor Goldman Sachs, Morgan Stanley, Rothschild Bank. In sostanza, lo Stato italiano (ossia i contribuenti italiani) per queste consulenze spese nel totale 2,2 miliardi di euro, quasi il 2 per cento di quanto guadagnato con le “salvifiche” privatizzazioni, equivalente a circa 120 miliardi.

A proposito, risulta alquanto interessante e significativo quanto riportato dalla Corte dei conti nella sua copiosa relazione di 158 pagine riguardo al ruolo svolto dal Comitato di consulenza e garanzia presieduto da Draghi, durante questo processo di privatizzazioni. Ebbene, l’organo di rilievo costituzionale, con funzioni di controllo e giurisdizionali, costituzionalmente considerato un organo ausiliare del Governo, ossia la Corte dei conti, a pagina 68 della succitata relazione emise il seguente giudizio: “In particolare, in alcuni dei casi esaminati (Telecom, Enel) si è avuta la conferma – già emersa nella relazione approvata dalla Corte con deliberazione numero 3 del 12 febbraio 2010 – di una tendenza del Comitato ad avvalorare il parere già espresso dai consulenti dell’Amministrazione, finendo coll’assumere un ruolo quasi formale, senza svolgere sempre quella funzione incisiva di indirizzo che il quadro normativo gli attribuisce”.

Perciò, il competente e illuminato Draghi nello svolgere le sue funzioni di presidente del Comitato si limitò solamente ad avallare, acriticamente, quanto le società e banche di consulenza decidevano, svilendo e negando le sue funzioni. Da questo consesso, “inspiegabilmente” svolto su un panfilo privato e non in un luogo istituzionale, iniziò la pianificazione della graduale privatizzazione del 40 per cento del patrimonio aziendale dello Stato italiano. Una privatizzazione decantata dallo stesso Draghi, il quale all’epoca sosteneva che sarebbe stata la mossa risolutiva, la panacea per risolvere l’annoso e gravoso problema del debito pubblico italiano. Il risultato di questa “strategica” svendita fu il contrario di quello che egli stesso aveva prospettato. Invero, il debito pubblico aumentò ulteriormente, passando da 1.332.932 miliardi di lire del 1992 ai 1.528.561 miliardi di lire dell’anno successivo, fino a raggiungere nel 1994 i 1.771.108 miliardi di lire, a fronte di un gettito derivante dalle così dette “salvifiche” privatizzazioni di soli 27 miliardi di lire ottenute nello stesso periodo sopra citato.

Con una inverosimile “efficienza” della funzione pubblica, in sorprendenti tempi da record, furono svendute svariate aziende statali come la Sip (ora Telecom), Autostrade (di cui abbiamo visto la gloriosa gestione privata nella tragedia del ponte Morandi di Genova), Eni, Ferrovie dello Stato e la stessa Banca d’Italia (svenduta al suo valore nominale dal grande “statista” Giuliano Amato, ora premiato dal “Palazzo” come presidente della Consulta) alle Fondazioni bancarie.

Da quanto finora esposto risulta interessante approfondire chi erano coloro presenti in quell’illuminato consesso sul panfilo degli Windsor. Ebbene, sul Britannia si era ritrovata tutta l’élite finanziaria e imprenditoriale, nazionale e internazionale. Tra i tanti nomi istituzionali troviamo Romano Prodi, Giuliano Amato, Franco Bernabè, Beniamino Andreatta (mentore di Romano Prodi), Riccardo Galli dell’Iri, Herman van der Wyck (presidente della Banca Warburg, della potente famiglia ebrea Warburg), il direttore generale di Confindustria, Innocenzo Cipolletta, il presidente di Ina Assitalia, Lorenzo Pallesi, il direttore esecutivo della Barclays de Zoete, Jeremy Seddon, il presidente del Banco Antonveneta, Giovanni Bazoli, il presidente dell’Eni, Gabriele Cagliari, il presidente del Comitato scientifico-consultivo sulla Gestione del debito pubblico, Luigi Spaventa, l’affarista Leon Brittan, il presidente di Crediop, Antonio Pedone, l’onnipresente Emma Bonino (guarda caso oggi rifermento politico dello speculatore finanziario George Soros, da cui è finanziata), diversi esponenti della famiglia “reale” Agnelli, nonché l’ideologo della Lega, Gianfranco Miglio e, dulcis in fundo, l’eminenza grigia Mario Monti, all’epoca nel cda della Banca Commerciale italiana (subito dopo aver partecipato al “trasparente” consesso di Bilderberg, in cui viene militarmente secretato ogni argomento trattato dai partecipanti).

Il 1992 fu il così detto “annus horribilis” per l’Italia e il suo prossimo futuro, non solo perché iniziò con “Tangentopoli” una campagna mediatica e un’azione giudiziaria distruttive del sistema politico in generale e di quello partitico governativo (soprattutto il Partito Socialista italiano con Bettino Craxi, la Democrazia Cristiana con Arnaldo Forlani e Giulio Andreotti) in particolare, ma anche perché si concretizzò la prima aggressione agli interessi italiani, compromessi proprio grazie a quei dirigenti connazionali, che invece di tutelare la propria Patria e i propri concittadini, si erano prestati a essere gli “aguzzini speculatori” di poteri sovranazionali.

Pertanto, il 13 agosto del 1992 l’agenzia di rating Moody’s (collegata alla famiglia Rothschild) declassò il debito pubblico italiano ad “Aa3”, con tutte le conseguenze finanziare e politiche relative per il sistema Italia. Ciò accadde dopo che nel gennaio del 1990, il “lungimirante” Governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi (“esperto economista” laureato in Lettere, non considerando la laurea a honoris causa in Economia e Commercio ricevuta dall’Università degli Studi di Pavia nel 1991) decise, senza alcun giustificato e valido motivo economico, di far transitare la lira dalla banda larga (sicura e protetta) alla banda stretta (esposta agli speculatori finanziari) del Sistema monetario europeo (Sme). Il risultato di questa scelta sconsiderata e scellerata del tanto esaltato e glorificato ex presidente della Repubblica italiana Ciampi fu l’innesco di un cinico sciacallaggio finanziario, che si concretizzò il 16 settembre del 1992 con l’attacco speculativo del finanziere ungherese George Soros, che vendendo la lira allo scoperto e acquistando dollari, guadagnò 1,1 miliardi di dollari e indusse la Banca d’Italia a vendere 48 miliardi di valuta statunitense. La scriteriata operazione monetaria di Ciampi fece distruggere in poche settimane 15mila miliardi di lire, determinando la svalutazione della lira del 30 per cento, arricchendo Soros e chi stava dietro di lui, che trasferirono in valuta estera 30 mila miliardi di lire, i quali incassarono una plusvalenza del 30 per cento, ossia 9 mila miliardi in più, esentasse e di conseguenza la lira in 15 giorni perse appunto il 30 per cento del suo valore. Dopo questo scempio ben pianificato e cinicamente attuato, il “filantropo” Soros fu premiato dall’Università di Bologna con una laurea honoris causa, proprio a riprova che i peggiori nemici e traditori dell’Italia e dei suoi interessi sono gli stessi italiani (non tutti per fortuna).

Un altro fatto che mette in discussione l’affidabilità di Draghi come risolutore dei gravosi problemi economici italiani è rappresentato dal vergognoso scandalo della banca dei Monte dei Paschi di Siena. Nel 2008 il Mps acquistò la Banca Antonveneta, che con i suoi titoli derivati tossici impoverì svariati risparmiatori e investitori da una lato e, dall’altro, i contribuenti italiani, in quanto con i loro soldi il Presidente del Consiglio di allora Mario Monti intervenne per salvare il Mps. All’epoca, Mario Draghi era il Governatore della Banca d’Italia e nelle sue funzioni di esercizio c’era anche quella di controllare e autorizzare operazioni di acquisto da parte di banche di altri istituti di credito, a garanzia e tutela dei risparmiatori e degli investitori. Il 17 marzo del 2008, il Governatore Mario Draghi sottoscrisse la delibera della Banca d’Italia numero 154, con la quale si autorizzò l’acquisizione sopra citata, dichiarando testualmente: “Visto quanto disposto dalle vigenti istruzioni di vigilanza, tenuto conto degli esiti dell’istruttoria, considerate le finalità di sostenere l’onere sotto il profitto patrimoniale, finanziario ed economico, si rilascia a Banca Monte dei Paschi di Siena l’autorizzazione all’acquisizione di Banca Antonveneta. L’operazione non risulta in contrasto con il principio della sana e prudente gestione”.

Dopo questa cronistoria dell’attività di tecnocrate di Mario Draghi, nonché ex Governatore della Banca centrale europea, è sempre più valido il dubbio riassunto nel titolo di questo articolo, è sempre più preoccupante l’incognita riguardo al suo operato, perché quanto si evince dal suo curriculum è sconcertante, soprattutto perché il suo modus agendi non è attribuibile a incompetenza, idiozia o superficialità, in quanto il suo operato è stato sempre in funzione e a vantaggio di interessi che assolutamente non riguardano quelli italiani, per cui invece è stato nominato a svolgere la funzione di presidente del Consiglio italiano. Inoltre, l’aspetto più sconcertante è rappresentato dalla diegesi compiuta dalla sedicente libera stampa italiana sul personaggio Draghi e dall’unanime acclamazione della classe politica nostrana sul suo spessore. Difatti entrambe, oltre a non riportare e denunciare quanto sopra esposto, chiedendo al diretto interessato Draghi spiegazioni al riguardo, si prestano in modo supino e cortigiano a incensarlo come il “salvatore” della Patria e il lungimirante tecnocrate statista.

Adtendite a falsis prophetis, qui veniunt ad vos in vestimentis ovium, intrinsecus autem sunt lupi rapaces” (San Matteo).

Aggiornato il 31 marzo 2022 alle ore 10:47