C’era una volta in Lombardia

Once upon a time in Lombardia”. Ovvero un meraviglioso e commovente amarcord attraverso il documentario “Roberto F.” dove “F” sta per Roberto Formigoni, ripercorrendo i quattro mandati da governatore della Regione Lombardia. Quando la sanità – soprattutto – ma anche la scuola dei lombardi cambiarono verso. E diventarono eccellenze nazionali dei rispettivi settori, con buona pace dei detrattori ex post, dei magistrati e delle loro discutibilissime sentenze di condanna per corruzione di un uomo integerrimo, uno dei pochi che con la politica non si è arricchito, avendola vissuta come missione, sulle orme di don Luigi Giussani, mentore di Formigoni stesso e capo spirituale di “Comunione e Liberazione”.

Nell’ora di documentario scritto e raccontato da Pino Farinotti (regia di Nicola Tonani), che si può vedere sulla piattaforma e-Cinema in streaming o in full download, non mancano i momenti di malinconia per quel che è stato e oggi non esiste più. Ma anche per quello che sarebbe potuto essere questo Paese, e non solo la Lombardia, se le prefiche dell’odio, dell’invidia sociale e della burocrazia giudiziaria non avessero – almeno sinora – prevalso sulla pelle di tutti i cittadini. Quel “fiat iustitia et pereat mundus” che ha precipitato l’Italia nel mondo delle democrature invece che consolidarla nelle democrazie delle libertà tipiche dei Paesi occidentali.

Per l’ex governatore della Lombardia parlano i risultati, giustamente vantati, e tratti dal regista dall’ex sito di Formigoni: una sanità a pezzi, in cui le liste di attesa anche per interventi urgenti superavano i sei mesi, portata a eccellenza europea in un paio di anni, tra il 1995 e il 1997 mediante l’utilizzo delle convenzioni con alcuni privati. Quelli che poi vennero presi di mira come presunti corruttori del Formigoni stesso, equiparando qualche vacanza (forse pagata) a vere e proprie tangenti con pene spropositate: cinque anni e dieci mesi, cioè quella che Formigoni sta attualmente scontando agli arresti domiciliari a Milano. Con la speranza che sia la Corte europea dei diritti dell’uomo a censurare questa assurdità.

Se l’appunto che si può fare al docu-film è forse inerente a un indulgere eccessivo nella auto-glorificazione (peraltro senza che nei fatti possa essere smentita), va detto che in fondo si può considerare una forma ingenua di legittima autodifesa. Di Formigoni l’unico male che si potrebbe dire è che conoscendolo personalmente – come afferma a un certo punto del documentario una dipendente della Regione – possa risultare un po’ freddo. Punto. In compenso, le carrellate su lui che passeggia al Duomo di Milano – in mascherina durante l’ora d’aria che si presume concessa ogni giorno dagli arresti domiciliari – fanno tenerezza.

Al netto della simpatia che può o meno ispirare un politico bersagliato, come si diceva, dall’odio delle sinistre e dall’invidia sociale nonché dalle maldicenze che caratterizzano la nostra triste realtà, si intravede in realtà un “povero Cristo”, che beve per intero l’amaro calice porto dal destino o da chi per lui e che sopporta come un Cireneo la croce che gli è toccata: quella di un giudizio politico da parte della giustizia all’italiana.

Aggiornato il 28 marzo 2022 alle ore 10:32