La scomparsa della propensione al rischio in Italia

C’è un sinistro filo conduttore nel declino di questo Paese, inarrestabile ormai, in ogni settore, da mezzo secolo: la progressiva diminuzione della voglia di correre qualche rischio per raggiungere l’obiettivo (qualunque esso sia).

Ne è scaturita una società parassitaria e fobica, come dimostrato, in modo icastico, dalle vicende sanitarie dell’ultimo biennio. L’imperativo è proteggersi, non solo dal virus, ma da qualsiasi minima avversità della vita; la paura regna sovrana.

Ma per salvaguardare cosa? Una misera esistenza, inevitabilmente marchiata dalla diffidenza verso gli altri e dal pessimismo cosmico?

I nostri vecchi, usciti dalle distruzioni materiali e morali della Seconda guerra mondiale, si rimboccarono le maniche e, pieni di fiducia nel futuro, fecero la loro scommessa, vincendola alla grande col miracolo economico degli anni Cinquanta-Sessanta.

Certo, non avevano molto da perdere, come oggi i loro grassi figli o nipoti, seduti ancora sulle piccole o grandi fortune create all’epoca. Ma bisogna recuperare la loro propensione al rischio e, con essa, la fiducia nel futuro, abbandonando la paura che paralizza.

E la prima forma di coraggio è l’uscita dal conformismo. Seguire il mainstream ci ha portato alla desolazione attuale: un Paese quasi morto economicamente e colonizzato nelle sue residue eccellenze.

Il coraggio di pensare in modo diverso non deve essere uno slogan consumistico (think different), ma uno stile di vita. Il pensiero alternativo non potrà risparmiare alcun aspetto dello status quo fallimentare di questa generazione, a partire dagli assetti politici, non solo in Italia, ma anche dell’Italia nel mondo, liberando il nostro Paese dallo status di colonia di secondo livello (=colonia dell’Unione europea, che è in sostanza colonia Usa).

Il mantra “l’Italia da sola non può farcela, per essere un player mondiale bisogna essere un continente” è uno specchietto per le allodole. Andava bene per un mondo globalizzato. Ma il modello di sviluppo della globalizzazione è in crisi, e se muore non ne sentiremo la mancanza.

L’omologazione conformista e il politicamente corretto, che ne sono il prodotto, sono il veleno che ha ucciso la propensione al rischio.

Rischiamo, allora. Andiamo tranquilli verso l’ignoto, anzitutto cambiando la politica.

Per squarciare questo triste velo d’ipocrisia rifondiamo dunque l’Europa in senso federale, ripensiamo il sistema monetario e riscriviamo la Costituzione italiana, fissando i limiti invalicabili dell’azione dello Stato e le regole che consentano il libero accesso alla competizione elettorale di nuovi movimenti.

La prossima dev’essere una legislatura costituente, che rimuova i vincoli alla libertà di espressione e d’impresa, e gli ostacoli legali o fiscali alla proprietà privata.

È l’unico modo per ridare fiducia e avviare un circolo virtuoso.

Aggiornato il 18 marzo 2022 alle ore 13:18