Quel pacifismo di comodo e un po’ pusillanime

Il Parlamento ha votato quasi all’unanimità a favore della risoluzione governativa sulla crisi ucraina, con la quale l’Esecutivo si è impegnato a fornire assistenza e forniture militari a Kiev per respingere l’invasione russa. Notevole il discorso del premier Mario Draghi, che in poche parole ha saputo rispondere a tutti coloro che, in questi giorni, in politica come nel mondo dell’informazione, hanno avanzato delle perplessità sull’opportunità di sposare questa linea di “co-belligeranza”. L’Italia non intende voltarsi dall’altra parte e fingere che vada tutto bene: perché ne va dei nostri valori e, soprattutto, della nostra libertà e dell’ordine internazionale che abbiamo costruito negli ultimi decenni. Quella del dialogo rimane la strada maestra: ma è impossibile dialogare con chi non ha alcun desiderio di farlo e che, per contro, ricorre alla forza come strumento di risoluzione delle controversie e con essa cerca di imporre le sue ragioni. Non si tratta di un problema solo ucraino: sono state colpite tutte le democrazie liberali, ed è per questa ragione che la risposta deve essere unitaria e, soprattutto, concreta. Il che implica che non ci si può limitare alle pacche sulle spalle e alle parole di solidarietà: agli ucraini serve molto di più, hanno bisogno di aiuto nella loro battaglia, che è anche la nostra e quella di chiunque crede nel diritto delle nazioni alla loro integrità, sovranità e libertà. Questa la “summa” del discorso del premier alle Camere.

Concetti tanto semplici, tuttavia, sembrano non essere stati recepiti o compresi da quel variegato mondo che si ostina a seguire la strada di un pacifismo di convenienza e, tutto sommato, infingardo. Mi riferisco a chi, come Matteo Salvini o come alcuni parlamentari grillini, sono stati tiepidi nel loro appoggio alla linea dura del Governo, dell’Unione europea e dell’Occidente intero, sostenendo che bisognasse dialogare con la Russia, impegnarsi per risolvere la questione per vie diplomatiche, fare da “pompieri” insomma, evitando di incentivare l’escalation militare con l’invio di armi e di irritare ulteriormente il Cremlino. Dicono, in maniera abbastanza patetica, di essere per la pace e per il dialogo e che la violenza porta solo altra violenza: ma esiste forse qualcuno a cui piace la guerra e che sguazza nella sofferenza e nella distruzione che essa provoca? Il punto è che, a volte, la guerra e la violenza sono necessarie. A volte non si può fare a meno di ricorrere alla forza, se chi abbiamo davanti non può essere fermato in altra maniera. Parafrasando Aristotele, è inutile parlare con chi non ha la capacità o la voglia di ascoltare e di capire: o lo si lascia perdere o lo si affronta. E siccome che non si può ignorare una così grande minaccia alla stabilità e alla sicurezza mondiale e che non si può passare sopra a un simile atto di brutalità e di spregio alle fondamentali norme del diritto internazionale e della convivenza tra i popoli, non rimane che la strada dello scontro. Violenza chiama violenza? Occorre distinguere tra violenza a scopo offensivo e violenza a scopo difensivo, che è sempre giustificata e, soprattutto, doverosa per tutti coloro che non vogliono lasciarsi sopraffare e annientare.

Certe prese di posizione sono ancora più illogiche se provengono da chi – come il leader della Lega – ha sempre sostenuto la lotta alla criminalità e il diritto alla legittima difesa: se lo Stato deve usare la forza per proteggere i cittadini dai malfattori e se ciascun individuo ha il diritto di armarsi per difendere sé stesso, la sua famiglia e la sua proprietà, per quale ragione le armi non si dovrebbero o potrebbero usare per difendere il proprio Paese dall’invasore? E per quale motivo la comunità internazionale non dovrebbe usarle per sostenere chi è vittima di un’aggressione? A costoro vorrei domandare cosa farebbero al posto degli ucraini e come reagirebbero davanti a una comunità internazionale che non offrisse loro alcun supporto se non quello di cercare di convincere un dittatore squilibrato a ragionare. Cercherebbero di dialogare con chi gli punta contro un kalashnikov? Quello che stanno facendo gli ucraini lo abbiamo fatto noi neanche un secolo fa, con la Resistenza e, prima ancora, col Risorgimento. Come avrei voluto vedere i pacifisti che ora tentennano sull’aiuto all’Ucraina cercare, allora, di dialogare coi nazisti o andare disarmati contro le baionette degli occupanti austriaci, magari pretendendo di inviare i loro rappresentanti da Adolf Hitler o da Francesco Giuseppe I d’Asburgo.

Per non parlare poi di chi è arrivato addirittura a sostenere che l’invio di armi rischia di galvanizzare ancora di più gli ucraini, di incoraggiare la resistenza e di risolversi, alla fine, in un bagno di sangue: neanche se i russi fossero destinati a vincere. Non dovrebbe essere difficile capire che gli ucraini resisterebbero e si farebbero massacrare comunque, anche senza le nostre armi: come abbiamo visto nei giorni scorsi, c’è anche chi ha tentato di fermare i carri armati russi a mani nude. Per loro, l’arruolamento nella resistenza non è una scelta, ma un dovere. Già, perché, al contrario di noi occidentali, che ci siamo rammolliti e inflacciditi crogiolandoci in quella che lo stesso premier Draghi ha definito “illusione della pace perpetua”, gli ucraini hanno scelto di difendere la loro patria e la loro libertà, anche a costo della vita. Noi non possiamo far altro che prendere atto di questa scelta e agire di conseguenza, aiutandoli o restando indifferenti. No, inviando armi alle truppe e alle milizie ucraine non stiamo promuovendo il bagno di sangue: stiamo semplicemente dando loro una possibilità in più. Stiamo dando loro una possibilità di sopravvivere e di respingere la prepotenza russa. Non mandare armi agli ucraini non significa essere pacifisti: significa restare indifferenti davanti alla violenza e alla prepotenza degli aggressori e fornire loro un vantaggio che potrebbe portarli alla vittoria. Probabilmente, è proprio di questo che si tratta: questo pacifismo di facciata che tanti ostentano, vuole nascondere una presa di posizione in favore della Russia e del regime putiniano. È complicità grossolanamente dissimulata, non pacifismo.

La cosa non dovrebbe suonare così strana, se consideriamo che tutti coloro che hanno sposato la tesi del non intervento e della sostanziale neutralità hanno delle valide ragioni per simpatizzare col Cremlino. Non si contano le volte in cui Salvini ha espresso apprezzamento per Vladimir Putin e per il suo governo; è stato ricevuto alla Duma; tra la Lega e Russia Unita esiste un patto di cooperazione dal 2017; faccendieri vicini alla Lega hanno cercato di ottenere finanziamenti dalla Russia, sebbene la dirigenza del partito si sia sempre detta estranea a vicende come quella di Savoini, sulle quali ci sono comunque delle inchieste giudiziarie. Il Movimento Cinque Stelle ha sempre avuto una posizione essenzialmente anti-americana e anti-occidentale e, sebbene questa si sia palesata spesso nelle manifestazioni di vicinanza alla Cina più che alla Russia, la sostanza autocratica e “fascio-comunista” non cambia. Il mondo del fondamentalismo religioso ha sempre visto nella Russia un modello da imitare, con l’enfasi posta dallo Stato sulla sacralità della famiglia con a capo un padre padrone e con moglie e figli sottomessi e remissivi; con la retorica da Ventennio sulle madri prolifiche; con la Chiesa Ortodossa coinvolta nelle scelte politiche; con chi vorrebbe vivere in un Paese libero, che viene spedito in qualche carcere in Siberia; con la persecuzione sociale e giuridica contro gli omosessuali che non si nascondono, e non solo a causa delle leggi contro la cosiddetta “propaganda gay”, ma anche di veri e propri eccidi come quello perpetrato in Cecenia da uno dei generali di Putin, Magomed Tushayev, capo del battaglione ceceno “Kadyrovites”, che pare sia caduto in combattimento pochi giorni fa. Poco importa che la Russia sia tra i primi esportatori mondiali di pornografia hardcore estrema e di filmati snuff o che tossicodipendenza, alcolismo e devianza giovanile siano tra i principali problemi sociali: ai vari Mario Adinolfi basta la propaganda del regime putiniano per sostenere l’inopportunità dell’invio di armi in Russia, per credere che la vera vittima sia Putin e per invocare la “pace”, ovviamente in favore di quest’ultimo.

Che dire di Sinistra italiana, che in Parlamento ha votato contro la risoluzione a favore dell’Ucraina? Nel loro caso non vale quanto detto sopra: il loro è semplicemente pacifismo ideologico e ingenuo, quello che si farebbe passare sopra dai soldati e dai blindati senza reagire, tipico di certa sinistra. A costoro do una notizia: Gandhi non avrebbe ottenuto niente con la sua non violenza, se gli inglesi non avessero voluto riconoscere l’indipendenza all’India: è stato solo grazie al governo di Clement Attlee se quel Paese ha smesso di essere una colonia britannica. Adottare la strategia della non violenza vuol dire rimettersi alla buona coscienza dell’aggressore: il che di rado porta a qualcosa di positivo per l’aggredito. La guerra, purtroppo, ha sempre fatto parte di questo mondo, anche se ci eravamo disabituati a viverla. La guerra, proprio come il crimine, esisterà sempre e sempre bisognerà confrontarsi con essa o con il rischio di incorrervi. E proprio come armiamo le nostre forze dell’ordine per proteggere la nostra incolumità, così dobbiamo – come comunità internazionale – armare i nostri eserciti per difendere la nostra e l’altrui libertà. Come diceva Luigi Einaudi, il germe della tirannia si diffonde e non rimane mai circoscritto a una sola realtà o area geografica. Bisogna quindi impedire che faccia troppo danno e deve sempre esserci un fronte internazionale pronto ad arginarlo e a respingerlo. In guerra, proprio come nella lotta alla criminalità, non c’è posto per i buoni sentimenti e per i pacifismi: sono insopportabili i buonisti per i quali bisogna comprendere le ragioni dei delinquenti ed evitare di comminare loro pene troppo severe; altrettanto insopportabili sono le anime belle che ritengono sia giusto capire le ragioni degli autocrati e non essere troppo intransigenti nei loro riguardi. L’unica scelta, in circostanze come questa, consiste nel decidere da che parte stare. C’è chi sta coi delinquenti e chi con i poliziotti. C’è chi sta coi tiranni e chi col mondo libero. A ciascuno la sua scelta e che sia la storia a giudicare e a stabilire colpe e meriti.

Aggiornato il 03 marzo 2022 alle ore 12:02