
Sono 304 i parlamentari che in questa legislatura sono passati da un gruppo parlamentare a un altro, cioè quasi uno su tre. Alcuni partiti hanno perso pezzi e sono stati fortemente penalizzati, mentre altri ne sono usciti rafforzati. La geografia politica del Parlamento, oggi, è molto diversa da quella che uscì dalle elezioni politiche del 4 marzo 2018.
Spesso i transfughi vengono tacciati di opportunismo e qualcosa di vero c’è se si guarda al fatto che le migrazioni avvengono nella maggioranza dei casi in direzione dei partiti di governo, quelli cioè che più sono in grado di assicurare vantaggi. Talvolta, invece, si lascia il partito che non assicura la rielezione, un po’ per vendetta e un po’ per cercare lidi più sicuri.
La Costituzione consente tutto questo in quanto l’articolo 67 stabilisce che ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato. In altre parole, la Costituzione del 1948 fu scritta e concepita per garantire la libertà di espressione dei parlamentari svincolandoli dal mandato verso il partito di appartenenza. La scelta conserva certamente il suo fondamento quando sono in gioco valori di alto profilo, quali potrebbero essere quelli che toccano i temi della vita o della libertà. Ma qui non si parla di voto difforme dal partito di appartenenza su una legge in discussione, quanto di cambio di casacca, quello cioè che molti vorrebbero impedire o sanzionare, anche attraverso la riforma dei regolamenti parlamentari.
Ma è davvero sempre così, cioè veramente è sempre e solo il parlamentare il voltagabbana? Verrebbe da dire di no, se si pensa a quanto siano spesso i partiti a cambiare diametralmente la loro linea politica. Se un parlamentare è stato eletto in un partito che si era dato una linea politica e poi quella linea politica cambia radicalmente, è da condannare l’adesione a un diverso gruppo parlamentare?
È naturale che talvolta il pragmatismo politico possa avere la meglio sulla coerenza e, in alcuni casi, è anche auspicabile che un partito riveda le posizioni assunte. Ma il comportamento di un parlamentare che abbandona il partito non riconoscendosi più in esso dopo una repentina inversione di rotta, forse, non è da biasimare del tutto.
Aggiornato il 01 marzo 2022 alle ore 10:20