
Da qualche tempo si fa un gran parlare della “scomparsa” dei partiti e, per conseguenza, della perdita di rilevanza del Parlamento in quanto sede delle rappresentanze da loro designate. Se ciò è vero è però altrettanto vero che gli interessi delle varie componenti sociali non solo non sono scomparsi ma si sono persino ampliati poiché i problemi che caratterizzano la società contemporanea, così sviluppata ma, insieme, così fragile, sono di gran lunga superiori in quantità e qualità a quelli delle società passate. In certo qual modo si tratta di una situazione paradossale proprio perché, di fronte ad un incremento delle problematiche – basti pensare alla complessità delle dinamiche finanziarie ed economiche, ai crescenti impegni degli enti pubblici e delle aziende private, alle angustie del settore scolastico e universitario, alle crisi ambientali ed energetiche e così via – i partiti, se non vi fossero già, sarebbe il momento giusto per inventarli.
D’altro canto, uno potrebbe osservare che, in effetti, ogni giorno si assiste alla proliferazione di “soggetti politici” nuovi, però generalmente minuscoli e destinati a rimanerlo, oppure di massa, come i 5 stelle, ma estremamente volatili. Tuttavia, se si considera la loro consistenza culturale, i nuovi partiti, accomunabili in questo a quelli tradizionali non scomparsi, offrono uno stato desolante poiché incapaci di coniugare gli interessi dei cittadini che rappresentano o vorrebbero rappresentare con un insieme di idee di fondo riconoscibili e, soprattutto, argomentate in termini persuasivi vuoi a sinistra vuoi a destra. E qui sta il punto: la velocità che contraddistingue la nascita, il decollo, il tramonto e la scomparsa delle formazioni politiche attuali, va di pari passo con la prospettiva assai limitata, nella sostanza e nel tempo, delle proposte che esse avanzano. Quasi sempre siamo di fronte a gruppi che si distinguono uno dall’altro solo per il volto del leader, cercano di farsi largo pensando unicamente ai rapporti con i partiti più grandi in vista delle elezioni alle quali vorrebbero sopravvivere e si procurano qualche fugace momento di “visibilità” su questo o quel tema per poi scomparire del tutto o quasi. Il fatto è che, sia presso i partiti minori sia presso quelli più grandi, a parte l’aggettivo “liberale”, ormai d’obbligo ma svuotato di ogni riferimento ideale, in giro non si sente più parlare di socialdemocrazia o, appunto, liberalismo, o magari socialismo o dottrina sociale della Chiesa, insomma dei capisaldi della politica che definirei classica.
Intendiamoci: se, al posto dei sistemi ideali del secolo scorso, fossero emerse nuove visioni circa l’uomo e la società, l’economia e la storia, assieme, e soprattutto, a nuove implementazioni concrete, allora dovremmo davvero concludere che l’epoca dei partiti si è definitivamente conclusa. Purtroppo non è così perché, al loro posto, si sono insediati gruppi e gruppuscoli privi di identità forti ma dominati unicamente da una miopia totale e da una perenne agitazione orientata alla polemica spicciola o alla difesa immediata di interessi particolari. Per questo la nota classificazione proposta da Maurice Duverger nella seconda metà del secolo scorso, che indicava nei comitati, nelle cellule, negli attivisti e nelle sezioni i momenti qualificanti dell’organizzazione dei partiti, è oggi ancor più inadeguata di quanto lo fosse allora. I partiti odierni, in certo qual modo, hanno fatto esplodere massicciamente il modello del “partito d’opinione”, ossia un tipo di formazione che, sulla base di principi e valori quasi sempre di tipo liberale, nel secolo scorso faceva conto su una organizzazione molto rarefatta – simile, ma solo per qualche verso, ai “comitati” americani – e si esprimeva attraverso una letteratura e una comunicazione pubblica generalmente di alto livello, sia sul piano culturale generale sia su quello strettamente politico o economico. Ma l’esplosione di cui sto parlando non deve trarre in inganno poiché le opinioni – e i relativi interessi – che circolano oggi sulla stampa e nei circoli telematici, sono il più delle volte mere reazioni epidermiche, provvisorie come foglie al vento e solo raramente discendono da idee generali, sempre in evoluzione ma attorno a principi saldi e radicati in una cultura ben fondata.
Aggiornato il 21 febbraio 2022 alle ore 11:26