La commissione Beca del Parlamento europeo ha lavorato a un Rapporto che esamina come affrontare i quattro pilastri della prevenzione, della diagnosi, del trattamento e della qualità della vita dei malati di cancro. Il Rapporto serve anche come risposta ufficiale del Parlamento al piano di lotta contro il cancro Europe’s Beating Cancer Plan della Commissione. Il prossimo 15 febbraio è prevista la plenaria per l’approvazione finale.
Onorevole Patriciello, Lei fa parte della Commissione, nel rapporto viene sottolineata l’importanza di continuare a valutare i rischi per la salute che potrebbero essere causati delle sigarette elettroniche. Nello specifico, raccomanda di stabilire un elenco delle sostanze contenute ed emesse dai vaporizzatori sul mercato dell’Ue suggerisce il divieto degli aromi (già in vigore per le sigarette, ma non per i vaporizzatori e i prodotti del tabacco riscaldati). Vede delle criticità in questo?
Partiamo da un presupposto. Il provvedimento che voteremo la settimana prossima non ha valore legislativo, ma rappresenta senza dubbio una road map importante che aiuterà la Commissione europea ad orientarsi nel percorso di aggiornamento delle due direttive: la Tobacco Products Directive (Tpd), sui limiti alla vendita e al merchandising dei prodotti legati al tabacco, e la Tobacco Ecxise Directive (Ted), sulla tassazione dei prodotti da fumo che saranno oggetto di revisione nel corso dell’anno. Per tale ragione, io credo sia fondamentale proseguire il dibattito avviato in questi mesi di lavori della Beca per favorire l'adozione di un rigoroso approccio scientifico da parte delle istituzioni europee affinché la riduzione del danno sia riconosciuta quale strumento di contrasto al fumo e affinché la regolamentazione e la fiscalità dei diversi prodotti a potenziale rischio ridotto, come eCig e tabacco riscaldato, si basino sul differente impatto sulla salute umana riconosciuto scientificamente da organizzazioni della salute pubblica per ciascuna categoria.
Dato che il mercato di questi prodotti è in espansione, non si rischia l’ennesima contrazione economica (con relativi tagli di posti di lavoro)?
Gli interessi ovviamente sono di varia natura: certamente intorno a tali prodotti si è sviluppata una filiera che coinvolge migliaia di lavoratori grazie ad investimenti importanti in Europa. Peraltro il nostro Paese, che è stato protagonista negli ultimi anni della produzione di tabacco tanto tradizionale che destinata ai dispositivi senza combustione, rischierebbe di perdere investimenti e posti di lavoro con una probabile delocalizzazione delle aziende che ora stanno investendo da noi negli Usa, in India, oppure in Cina, con una perdita rilevante in termini sia di Pil, sia di occupazione. Senza dimenticare che tali prodotti sono ormai entrati nell'uso comune dei consumatori europei che si troverebbero spiazzati, addirittura incentivati a tornare al tabacco tradizionale. Pertanto il danno sarebbe duplice in termini sia economici che di salute pubblica.
Dal 2009 è vietato fumare sigarette tradizionali (quindi con combustione del tabacco) nei luoghi al chiuso, ora si vorrebbero estendere i divieti anche alle sigarette elettroniche e ai prodotti del tabacco riscaldati. La comparazione di fatto di questi prodotti differenti non rischia di creare delle problematiche?
La mortificazione del consumatore di nuove categorie costretto ad essere trattato alla stregua di un fumatore di sigarette non va nella direzione auspicata dalle Autorità EU di ridurre il numero dei fumatori in breve tempo. È necessario ribadire a tal riguardo che le sigarette tradizionali, contengono tabacco, mentre le sigarette elettroniche no e quindi queste ultime andrebbero regolate diversamente, anche perché in alcuni casi non contengono neppure la nicotina. Vanno abbandonati i preconcetti che vedono le sigarette elettroniche sullo stesso piano di dannosità, adottando invece un approccio basato sulle evidenze scientifiche, oggi rimarcate da autorevoli scienziati, che dimostrano il potenziale, in termini di riduzione del danno da fumo, delle sigarette elettroniche. Per tale ragione imporre analoghi divieti credo rappresenti un messaggio fuorviante. Certo è chiaro che la ricerca scientifica non deve mai arrestarsi su questo tema ma le autorità nazionali ed europee dovrebbero prendere in considerazione i dati disponibili ad oggi per considerare una legislazione che tenga conto delle caratteristiche peculiari di tali prodotti.
L’ipotesi di aumentare le tasse per alcol e tabacco non potrebbe essere controproducente? Non si rischia di alimentare comportamenti illeciti o pericolosi, soprattutto tra i più giovani?
Quello delle tasse sui vizi è un terreno sul quale procedere con cautela, visto che accanto ai vantaggi queste imposte comportano anche dei rischi come da Lei correttamente evidenziato. Est modus in rebus, è dimostrato ormai in tutti i settori che il proibizionismo o l'aumento repentino delle tasse porta i consumatori ad approvvigionarsi presso canali paralleli, quindi illeciti, foraggiando la criminalità organizzata. Senza parlare dei rischi per la salute legati a questo tipo di pratiche. Il quadro fiscale dovrebbe essere sviluppato pertanto in modo armonico, senza creare squilibri di mercato e disuguaglianze competitive.
Nel rapporto si sostiene che “non esiste una quantità sicura di consumo di alcol”: si sta equiparando a tutti gli effetti una bottiglia di vino ad un pacchetto di sigarette?
Dal punto di vista sanitario purtroppo si. Anche se tale orientamento nasce da evidenze scientifiche presentate sulla rivista The Lancet senza dubbio autorevoli, ma confutate da altrettanto autorevoli pubblicazioni scientifiche riportate dalla stessa rivista o da Addiction, una rivista che dal titolo stesso non è tenera con l’alcool. È pertanto paradossale che in assenza di convergenza dei dati scientifici sulla tolleranza zero si abbia la pretesa di condizionare in maniera così netta i comportamenti dei cittadini europei. In tali studi si evidenzia come la moderazione faccia certamente bene nel cardiovascolare, che è ancora la prima causa di morbilità e mortalità. Nell’ambito delle malattie oncologiche, in alcuni tipi di cancro un uso moderato di alcool può essere addirittura benefico, in altri tipi non arreca né vantaggi né danni, in rari cari (ad esempio tumore alla mammella) può costituire un potenziale fattore di rischio. Ponendo tutti questi elementi insieme sembra evidente che la bilancia pesi a favore della necessità di educare ad un uso moderato piuttosto che allo stigmatizzare in termini assoluti tali prodotti. Un riferimento a nessun livello sicuro di consumo di alcol è in definitiva privo di significato, fuorviante e non perseguibile per i consumatori, contraddicendo invece le linee guida del bere responsabile. Le politiche sull'alcol devono essere concepite in modo olistico e prendere in considerazione il legame tra i diversi modelli di consumo, tutte le condizioni e gli esiti di salute e la mortalità complessiva per tutte le cause. Volendo essere ancora più chiari l’approccio di salute pubblica più corretto sarebbe quello di una medicina di prevenzione personalizzata dove si spieghi in maniera inequivocabile che la moderazione fa senz'altro bene in alcune categorie di persone e di pazienti, è neutra in altre ed è da evitare in altre ancora, specificando le singole categorie per consentire al singolo consumatore una scelta consapevole.
In Italia c’è molta preoccupazione soprattutto per le direttive sui prodotti agricoli come il vino: se il testo fosse approvato integralmente senza modifica alcuna, rischiamo davvero di perdere un pezzo portante della produzione “made in Italy”?
Le bevande alcoliche, soprattutto il vino e la birra, sono prodotti largamente utilizzati nel nostro Paese e nel nostro continente e il loro consumo è parte integrante della cultura e della tradizione europea. Per tale ragione insieme ad altri colleghi abbiamo presentato degli emendamenti al Testo che voteremo in Plenaria per bilanciare un “wording” troppo penalizzante specie per i Paesi dell’Europa “meridionale” dove la cultura della dieta mediterranea consente un consumo moderato durante i pasti di bevande alcoliche. Appare al contempo necessario combattere i fenomeni giovanili di “binge drinking” che rappresentano un modello di consumo di bevande alcoliche completamente diverso da quello tradizionale, mediterraneo, ispirato ai consumi ai pasti e in quantità moderate consumate nel controllo formale ed informale della famiglia o della collettività. Tale nuova abitudine, particolarmente diffusa tra le fasce giovanili, si caratterizza per un consumo rischioso e dannoso, episodico e ricorrente di quantità consumate a digiuno, che, progressivamente, porta all’intossicazione alcolica e può spingersi sino al coma etilico.
Aggiornato il 11 febbraio 2022 alle ore 11:38