
Si torna a parlare di utero in affitto. È di questi giorni la notizia circa la proposta di legge dei deputati della Lega per inasprire le pene già previste dalla legge 40 sulla procreazione assistita per chi ricorre a tale pratica. Chiunque – si legge nel testo – in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni è punito con la reclusione da tre a cinque anni e con la multa da seicentomila a un milione di euro. Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da uno a due milioni di euro. La surrogazione di maternità è vietata anche se commessa all’estero da cittadino italiano. L’obbiettivo di questo provvedimento è dare una stretta su questa controversa pratica, alla quale sempre più cittadini italiani ricorrono in Paesi dove ciò è consentito: il tutto con la complicità dei giudici, che trovano ogni genere di escamotage giuridico per aggirare le norme vigenti in materia e per sdoganare una pratica illegale, oltre che assai problematica dal punto di vista etico, nonostante le alte magistrature – Corte di Cassazione e Corte Costituzionale – abbiano più volte ribadito l’illiceità di tale prassi e la sua incompatibilità con l’ordinamento italiano.
Già il mese scorso il Carroccio aveva presentato una mozione per chiedere al Governo – come aveva spiegato Matteo Salvini – di impegnarsi per contrastare questa pratica. La prima firmataria della proposta di legge, la deputata Anna Rita Tateo, chiarisce come il fine sia quello di arginare una deriva assai preoccupante, quantomeno per la dignità e i diritti di donne e bambini, che la pratica dell’utero in affitto riduce a oggetti di sfruttamento e mercificazione. Basta googlare “maternità surrogata Italia” perché, tra i risultati di ricerca, compaiano siti di agenzie specializzate nel settore che operano all’estero alle quali i clienti italiani possono rivolgersi. O potremmo citare il fatto che si terrà a Milano, il 15 e il 16 maggio, la fiera dedicata proprio alla “surrogacy”, con tanto di conferenze e stand di cliniche che offrono diversi trattamenti a diversi prezzi. Come a dire che la legge c’è, ma è come se non ci fosse. L’intervento più singolare sulla questione è quello di Vladimir Luxuria, paladina del fronte Lgbtqi (più varie ed eventuali), la quale introduce la distinzione tra “utero in affitto” e “gestazione per altri”.
Le due cose sono diverse, sostiene l’ex parlamentare di Rifondazione comunista: l’utero in affitto prevede la commercializzazione di donne e bambini, facendo leva sulla povertà e sul bisogno di soldi; mentre la gestazione per altri è un dono volontario e perfettamente gratuito, un atto di generosità, che per questo andrebbe legalizzato. Effettivamente, ci sono Paesi – come il Canada – dove è consentito portare avanti una gravidanza per conto di terze persone, purché non sia previsto alcun pagamento. Questo è probabilmente ciò di cui parla Vladimir Luxuria, portando qualche esempio: se una donna che non può avere figli ha una sorella disposta a soddisfare questo suo desiderio, dovrebbe esserle permesso di portare avanti una gravidanza al posto suo. Sarebbe un gesto d’amore che la legge dovrebbe legittimare.
Ecco il punto sul quale si deve intervenire: bisogna impedire che passi il messaggio per il quale l’utero in affitto – che non è che una delle tante forme di tratta di esseri umani – potrebbe addirittura essere concepito come un atto di generosità, come un dono, come un gesto d’amore e di benevolenza. Niente di tutto questo.
Quand’anche sia impossibile parlare di commercializzazione della donna o del bambino, non essendoci una transazione economica, rimane il fatto che alla base di tale pratica c’è il profondo e viscerale egoismo di tre adulti (la coppia di aspiranti genitori e la madre che si offre volontaria per soddisfare il loro desiderio, che è dubbio sia mossa da qualche altra cosa che non sia l’autocompiacimento) le cui conseguenze finiscono per ricadere sul bambino, il quale verrà privato della madre poche ore dopo la sua nascita e verrà condannato da quelli che pretendono di essere i suoi genitori a vivere una vita di menzogna e di falsità, oppure alla consapevolezza, ancor più orribile, di essere stato oggetto di una sorta di compravendita o di regalia. Incredibile come viviamo in un’epoca in cui si fanno leggi contro la separazione dei cuccioli di cane dalla madre prima di un certo tempo e ci si scandalizza se ciò avviene, ma siamo disposti ad accogliere con felicità o con indifferenza il fatto che la stessa cosa avvenga coi piccoli di essere umano. Viviamo in una società che, a quanto pare, antepone i capricci degli adulti ai diritti e alla dignità dei più piccoli e che attribuisce maggior valore alla sfera emotiva e alla sensibilità dei cani che non a quelle degli esseri umani.
Sui temi etico-sociali, purtroppo, non sono sufficienti le leggi ad arginare derive decisamente distruttive per la nostra civiltà: si tratta di battaglie che vanno combattute anzitutto dal punto di vista culturale. Le leggi possono aiutare, ma è la mentalità, il senso comune a fare davvero la differenza. Il vero sdoganamento dell’utero in affitto non è tanto quello operato dai tribunali, ma dai ragionamenti come quello di Vladimir Luxuria che cercano di spacciare come “atto d’amore” un atto di puro egoismo, un abuso, una violazione della dignità, dell’integrità e dei diritti fondamentali della persona, come quello alla conoscenza delle proprie origini e al rapporto coi propri familiari, riconosciuti e tutelati dal nostro ordinamento e da quello internazionale. In questo senso, si è addirittura arrivati a parlare di “gravidanza solidale”, secondo la proposta di legge a firma di Nicola Fratoianni e Riccardo Magi. Un po’ come le femministe degli anni Settanta, le quali predicavano l’abolizione della maternità e la “collettivizzazione” dei figli: è chissà che l’obbiettivo dell’asse politico-economico che sponsorizza, promuove e si sforza di legalizzare l’utero in affitto non sia proprio questo.
Al netto di speculazioni, tale visione è il prodotto di un atteggiamento mentale ancor più radicato e, purtroppo, sempre più diffuso: l’idea che il desiderio faccia diritto o, per meglio dire, che basti desiderare qualcosa perché sorga il diritto di avere la cosa stessa e perché si possa essere legittimati a fare la qualunque per ottenerla. Alcuni la chiamano “dittatura del desiderio”. Ma, si faccia ben attenzione, perché i desideri privi di controllo, vale a dire lasciati a sé stessi, senza direttive e principi di carattere etico, prima o poi finiscono per entrare in conflitto gli uni con gli altri. Ciò che ne risulta è la distruzione della società e della stessa civiltà. Quante volte, da bambini, i genitori o gli educatori ci hanno detto che se tutti facessero quel che vogliono il mondo finirebbe? Ecco, il principio è lo stesso. Per evitare questo esistono le leggi, le regole cui tutti siamo vincolati e il senso morale. Il vero dramma della nostra epoca non è tanto l’assenza di norme, ma la mancanza di autorità, legali e sociali, capaci di farle rispettare.
C’è chi dice “no” all’utero in affitto, sotto qualunque forma e sotto qualsivoglia nome. C’è chi sostiene che un bambino abbia diritto a nascere e crescere coi suoi genitori naturali. C’è chi pensa che un bambino non sia un oggetto, suscettibile di essere comperato o regalato a proprio piacimento. C’è chi, in questa pazza epoca, ritiene che si debba riscoprire il senso del limite, cioè che si debba ritrovare la capacità di discernere tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, eticamente prima ancora che legalmente. C’è chi non vuole vivere in una società dove un bambino possa essere partorito dalla zia o dalla nonna o dall’amica di famiglia per poi ritrovarsi a chiamare “mamma” quella che dovrebbe essere sua zia o sua sorella, come avviene in quei “fari di civiltà” che consentono la gestazione per altri così come concepita da Luxuria. C’è chi augura a tutti i bambini di chiamare “mamma” solo la donna che li ha tenuti in grembo per nove mesi, che li ha messi al mondo e che si è amorevolmente occupata di loro per tutta la vita.
Impegnarsi per contrastare e porre fine a questa barbarie ai danni dei più piccoli è il minimo che si possa fare: ne va del futuro della nostra civiltà. Ma per farlo, prima ancora delle proposte di legge, bisogna lavorare sulla cultura e secondo un approccio trasversale e laico, senza fanatismi e ideologia, non in nome di una fede religiosa o di un’appartenenza politica, ma dimostrando, con argomenti razionali, perché l’utero in affitto è profondamente lesivo della dignità e dei diritti fondamentali della persona.
Aggiornato il 10 febbraio 2022 alle ore 12:32