
In Italia contano il presidente Sergio Mattarella e Amadeus. Non è solo una battuta, perché il consenso popolare ha un ruolo per una Repubblica democratica. E Mattarella e Amadeus con gli applausi a scena aperta e i picchi di audience sono il baluardo di una logica essenziale a qualunque marketing. La caratteristica di questa legislatura è invece una classe dirigente “senza consenso”. Primo perché non si vota da un tempo gravemente lungo e secondo perché in questa autarchia (autosufficienza della popolarità) è andato polverizzato il rapporto tra partiti, leadership e gradimento. Con la nomina di Mario Draghi in qualità di super tecnico d’emergenza si è innescato un rapporto anomalo: l’illusione che si possa fare a meno di votare perché comunque c’è chi dirige il Paese, come ha fatto notare di recente il giornalista Giovanni Minoli. Conseguenza anche della pandemia e delle misure speciali, che hanno reso il voto anziché lo strumento primario della democrazia “un rischio” per il bene comune. Il tracollo dei partecipanti al voto delle ultime Amministrative è stato indicativo in questo senso. Abituarsi è la peggiore soluzione e lo ha riconosciuto proprio Sergio Mattarella, sua è la frase secondo la quale “nelle democrazie, tutte le istituzioni, senza eccezioni, possono affermarsi e prosperare solo se sorrette dal consenso dei cittadini”.
Va data ragione a Giorgia Meloni: se non si va al voto in breve la politica deperirà ancora di più, poiché nel succedersi di governi non legittimati si logora il rapporto tra amministrazione e fiducia. E non si può certo consolidare l’idea che da quando governa la sinistra la legittimità popolare sia ininfluente. Un conto è l’emergenza Covid che le istituzioni, primo fra tutti il capo dello Stato e poi il premier Draghi, hanno affrontato con responsabilità, ma il perdurare rischia di travolgere la Costituzione e la validità democratica. Per questo diventano sterili gli esercizi a tavolino sulla ricomposizione degli schieramenti e la rivitalizzazione dei partiti. Solo quando la politica tornerà nel vivo e nel vero elettorale potranno rigenerarsi i contenitori e torneranno a funzionare le macchine del consenso, che stanno agendo in modo teorico e astratto. Mi riferisco in particolare ai sondaggi.
Detto ciò, non si può pensare che tutti i leader siano salvi. Molto è andato bruciato in questi anni di pandemia e di rapporti virtuali. Il semplice ricandidarsi o formalizzare la propria ambizione può non essere sufficiente. Volente o nolente molto è cambiato. Non era solo uno slogan, “nulla sarà più come prima”. Siamo cambiati noi ed è cambiato il sociale tra isolamenti, rivoluzioni di genere e questioni globali. Un salto paradigmatico che costringe l’umanità a nuove declinazioni. La famiglia, le relazioni, le donne, i giovani e di conseguenza le dottrine e le regole ad esse collegate sono al centro di una riforma sostanziale. Il limite dei partiti è ragionare con la testa nel vecchio secolo e non formulare proposte al passo coi tempi. Non si vince con la tattica e non si vince con il solo protagonismo come non è sufficiente la contrapposizione muro contro muro. Occorrono movimenti di idee, proposte culturali e declinazioni diverse piuttosto che pensare di rifare il centro e o i successi del passato. Quello che va interpretato è il salto culturale, la mutazione antropologica, segnata anche dalle immigrazioni e dalla miscellanea di saperi. Per il momento reggono Mattarella e Amadeus affidabili beniamini della transizione.
Aggiornato il 10 febbraio 2022 alle ore 15:45