
In politica, si sa, un conto sono le dichiarazioni e un altro le intenzioni. Quante volte ascoltiamo i vari leader e dirigenti esprimersi su una determinata situazione, oppure indicare la via da seguire, salvo poi vederli percorrere una direzione assai diversa, se non addirittura opposta? La coerenza, in politica, non sempre è un obbligo morale, per quanto rimanga una virtù lodevole, e non sempre è la strada che porta più lontano. Questo perché la politica è anzitutto una questione pratica: il più delle volte bisogna trovare il modo per portare avanti le proprie istanze (o una parte di esse), tenendo in considerazione le circostanze e cercando di sfruttarle al massimo delle possibilità. Ciò è particolarmente vero in Italia.
Detto questo, l’appena conclusa elezione del Capo dello Stato ha rappresentato, per la politica italiana, un vero terremoto: e, come in tutti i terremoti, stanno seguendo le scosse di assestamento. La politica italiana sta rumorosamente cercando di trovare un nuovo equilibrio per i prossimi anni. Effettivamente, il “terremoto quirinalizio” avrebbe sconvolto i tradizionali assetti politici di questo Paese: non c’è nessun partito che ne sia uscito completamente illeso, come si evince dalle polemiche e dalle zuffe interne alle forze politiche, così come dalle rotture tra i leader al centro delle pagine politiche di questi giorni. Da questo “sconvolgimento” seguirà un riassetto della politica italiana? Il Mattarella bis è destinato a ridisegnare la geografia politico-parlamentare di questo Paese? Sono domande che in molti si pongono. I partiti, certamente, fanno tutto ciò che possono per “tirare a campare” e per non uscire di scena. Come sempre avviene, alla fine prevale lo spirito di adattamento, il quale spinge gli individui e le comunità a reinventarsi e ridefinire i loro obiettivi, anche in palese e aperta rottura col passato. Proviamo a formulare qualche ipotesi e a immaginare qualche potenziale scenario, senza tifoserie, auspici e pretese di infallibilità.
La fazione che ne è uscita più malconcia e che ha riportato più danni è sicuramente il centrodestra. Matteo Salvini dice che il centrodestra è ormai finito e si è assunto l’impegno, di qui a un anno, di ricostruirlo. È indubbio che il Capitano ambisca a essere il “federatore” del centrodestra, ruolo che corrisponde a quello di leader: ma gli altri partiti si lasceranno federare? Le premesse non sono delle migliori. Silvio Berlusconi sostiene di essere al lavoro per la ricostruzione dell’area “moderata”: chi mastica il “politichese” sa bene che questo è un termine assai opaco e che – come quello di “centrista” – sembra fatto apposta per “dire senza dire”, cioè per lasciare spazio a più interpretazioni e, quindi, per lasciare a se stessi un ampio margine di manovra e di scelta. Per il resto, si parla molto di “centro” in Forza Italia e, sarebbero in molti a suggerire che la tentazione di aderire alla nuova iniziativa “Italia al Centro”, targata Matteo Renzi, Giovanni Toti e Clemente Mastella, si stia facendo sempre più forte. Salvini ribatte che nel progetto del nuovo centrodestra non c’è posto per i centristi – inaffidabili e sleali – e che se c’è qualcuno, dice il Capitano, che vuole ricostruire la Democrazia Cristiana, dovrà farlo senza il contributo della Lega.
Anche Giorgia Meloni si dice decisa a rifondare la destra e a restituire dignità a quel popolo che è maggioranza nel Paese. Ciononostante, prosegue lo scambio di accuse tra lei e Salvini, col leader del Carroccio che la definisce ingenerosa nelle critiche, più attaccata all’interesse di partito che a quello dell’Italia e troppo concentrata sul proprio orticello. La leader di Fratelli d’Italia non ci sta e risponde che il suo orticello è il centrodestra e che non ha intenzione di piantarci l’ulivo – alludendo al vecchio nome della coalizione di centrosinistra, come a dire che non si fanno compromessi di nessun tipo con gli avversari quale che sia la ragione – né di fare buon viso e cattivo gioco, cioè di sostenere governi come quello di Mario Draghi.
Ciò che tutti si domandano è se l’idea che ciascuno dei due ha del futuro centrodestra preveda anche la presenza dell’altro. Se l’esperienza della coalizione dovesse concludersi, ciascuno dei tre partiti si svincolerebbe dagli altri due e cercherebbe di siglare nuove alleanze con forze di diversa estrazione, con le quali potrà comunque convergere su alcune tematiche, almeno su quelle fondamentali. Nello specifico, Forza Italia potrebbe diventare la quarta o la quinta “gamba” (quella più conservatrice, magari) di Italia al Centro. Fratelli d’Italia potrebbe, per contro, diventare il principale interlocutore, di tutta quella galassia di movimenti contro-culturali e antisistema, legati alla contro-informazione e caratterizzati da una forte ideologizzazione: penso a movimenti come i “No vax”, a Casapound (è notizia di questi giorni che l’ex vicepresidente, nonché volto pubblico delle “tartarughe nere”, Simone Di Stefano, si sia dimesso dal gruppo neo-fascista e abbia intenzione di entrare in Fratelli d’Italia, come già fatto, nel 2015, dall’ex segretario del Movimento Sociale-Fiamma Tricolore, Luca Romagnoli, candidato al Parlamento europeo nelle liste meloniane nel 2019) e alla stessa Italexit di Gianluigi Paragone.
La Lega, invece, se vedesse fallire il progetto “repubblicano” e se la coalizione dovesse definitivamente sciogliersi, sarebbe quella più in difficoltà. Sono in molti ad aver ipotizzato che, in un simile frangente, il Carroccio potrebbe – anche in virtù del suo naturale pragmatismo – tentare una riedizione dell’alleanza “giallo-verde”, ma non con tutto lo schieramento grillino, come in passato, ma solo con una sua parte.
All’interno del Movimento Cinque Stelle, infatti, il clima è ancor più teso che nel centrodestra. Tra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio è ufficialmente guerra: i due si contendono la presidenza del movimento e sono fautori di due strategie politiche decisamente opposte. Il primo accusa il secondo di insubordinazione e di protagonismo; mentre il secondo accusa il primo di debolezza e di avere una visione fallimentare, oltre che autocratica, in cui al dissenso interno non viene data la possibilità di esprimersi. Questo significa che se i due contendenti non dovessero trovare un modo di coesistere, il Movimento Cinque Stelle potrebbe spaccarsi. Una parte potrebbe restare nell’ambito del “fronte progressista”, assieme a Enrico Letta e alle varie sigle dell’ultra-sinistra, oppure spostarsi su posizioni più centriste; l’altra – secondo i sostenitori dell’ipotesi “giallo-verde bis” – potrebbe diventare il nuovo alleato della Lega e dare vita a una sorta di “fronte populista”, fondamentalmente privo di una precisa collocazione nello schieramento, ma capace di attrarre consenso puntando su istanze trasversali e con una certa presa sulla popolazione. A supporto di questa possibilità vi sarebbero dei “segni” emersi nel corso delle votazioni per il Colle: la convergenza di Conte e Salvini sul nome di Elisabetta Belloni e, prima ancora, su quello di Maria Elisabetta Alberti Casellati (almeno a dire di Salvini, per il quale la presidente del Senato avrebbe incassato anche cinquantina di voti pentastellati) e addirittura su quello di Franco Frattini (stando ad alcune indiscrezioni di Repubblica); l’aver blindato assieme Mario Draghi a Palazzo Chigi, suscitando l’ira dei rispettivi alleati, che caldeggiavano la sua elezione al Quirinale. Al netto delle speculazioni giornalistiche, è assai improbabile che una cosa simile si verifichi: salvo clamorosi colpi di scena, ovviamente.
Quanto alla sinistra, ancora una volta la proverbiale compattezza di questo schieramento e la sua capacità di trovare sempre un accordo, riesce a preservare questa fazione da colpi troppo duri. Vero è, tuttavia, che alcuni degli obiettivi indicati da Sergio Mattarella durante il suo discorso d’insediamento stanno già mettendo in crisi le correnti più radicali del Partito Democratico: primo fra tutti la necessità di riformare la giustizia e la magistratura, questione da sempre invisa alla parte più giacobina e giustizialista del centrosinistra, ma divenuta ormai improrogabile, a maggior ragione che in primavera gli italiani potrebbero essere chiamati a esprimersi, attraverso il referendum promosso da Lega e Radicali, proprio sul tema della giustizia.
Si tratta solo di fantapolitica? Può darsi. Anzi, è probabile che si tratti solo di mere speculazioni. Ma la politica italiana sa essere imprevedibile, come sappiamo. Uno scenario diverso – e probabilmente più realistico – potrebbe essere la nascita, a destra, di un Partito Repubblicano in salsa tricolore (o qualcosa di simile) composto da Lega e Forza Italia e con Fratelli d’Italia isolato ed estromesso da quello che, in altri tempi, si sarebbe chiamato “arco costituzionale” dal quale era fuori proprio quel Movimento Sociale italiano antenato di Fratelli d’Italia. Al contrario, Forza Italia potrebbe spostarsi al centro e potrebbero ricompattarsi Lega e Fratelli d’Italia su temi comuni, come il ruolo dell’Italia in Europa, il contrasto all’immigrazione e l’atteggiamento, nel complesso più conservatore, sulle questioni bioetiche e culturali. In ogni caso, è difficile che si possa dar vita a un centrodestra rinnovato e che preveda la partecipazione di tutti e tre i partiti e i leader. Certamente, né Salvini né la Meloni vogliono avere i centristi tra i piedi: e questo gioca a favore della seconda possibilità. Ma sia Salvini che la Meloni sono estremamente competitivi e decisi a “guidare la squadra”: il che potrebbe indurre Salvini a scegliere come partner una Forza Italia indebolita e ormai priva di una leadership forte e la Meloni ad andare da sola.
Analogamente, la rottura all’interno del Movimento Cinque Stelle potrebbe anche non consumarsi e i grillini potrebbero restare alleati del centrosinistra. Ma se tale spaccatura definitiva tra Conte e Di Maio dovesse esserci, il primo potrebbe scegliere anche di restare col Partito Democratico e il secondo di convergere su posizioni più centriste, anche per marcare la differenza rispetto all’altro.
Comunque vadano le cose, l’inaspettata rielezione di Sergio Mattarella, estrema soluzione di compromesso da parte di una politica assolutamente incapace di dialogare e di mettere da parte i personalismi anche quando si tratta di questioni che hanno a che vedere con l’interesse nazionale, ha messo i partiti nella scomoda situazione di dover rivedere la loro strategia, di reinventarsi anche in vista delle imminenti elezioni.
Aggiornato il 09 febbraio 2022 alle ore 09:31