
Sono giorni assai caotici quelli che stiamo vivendo. Giorni in cui il senso di smarrimento, la sensazione di non avere più una rotta e di navigare a vuoto prevalgono sull’ottimismo e sulla speranza per il futuro. Con queste poche parole credo di aver descritto sinteticamente lo stato d’animo della maggior parte degli elettori di centrodestra. Davvero, non si sa cosa ci riserverà il futuro. L’unica certezza, al momento, è la spaccatura all’interno della coalizione che speravamo di veder governare a partire dal prossimo anno. Per rimettere assieme i pezzi servirà molto più di una “rifondazione” o di una fusione dell’ultimo momento: è necessario cambiare mentalità e decidere, una volta per tutte, cosa si vuole essere e cosa si vuole fare. Matteo Salvini ha recentemente dichiarato di volersi impegnare per federare le forze del centrodestra, dando vita a una sigla politica unitaria sul modello del Partito repubblicano negli Stati Uniti. C’è chi dice che sia solo un tentativo di distogliere l’attenzione dalla cattiva gestione della partita quirinalizia. Chi invece sostiene stia cercando di impedire che Forza Italia dia il benservito alla coalizione e si sposti verso il centro. Chi crede che si tratti di un segno di pace rivolto agli alleati e di un invito a riaprire il dialogo. Chi, infine, ritiene sia un tentativo di isolare definitivamente Giorgia Meloni e di dar vita a “due destre” sul modello francese: una istituzionale e l’altra antisistema. Comunque stiano le cose, si tratta di una strada in sé stessa auspicabile, ma impervia e irta di ostacoli. Sono molti i fattori contrari alla potenziale nascita di un partito unico del centrodestra: anzitutto, l’eccessivo protagonismo dei leader e la tendenza (tutta italiana) allo scissione e alla creazione di partiti e partitini come risposta al dissenso e alle rivalità interne.
Per quanto mi dispiaccia ammetterlo, la nostra politica non è quella americana o inglese. I grandi partiti del mondo anglosassone riescono a racchiudere valori, tradizioni politico-culturali e visioni anche molto diverse tra loro: nel Partito repubblicano si trova di tutto, dai moderati fino ai populisti; dai neo-conservatori agli isolazionisti; dai libertari fino alla destra evangelica. In Italia una cosa simile sembra quasi un’utopia. Qual è il segreto degli americani? La consapevolezza che, nonostante ci possano essere contrapposizioni e una vivace dialettica interna tra le varie componenti, alla fine bisogna agire insieme, per uno scopo comune, mettendo da parte le divisioni e concentrandosi invece su ciò che unisce. In altre parole, nei grandi partiti anglosassoni esistono vincoli di lealtà inimmaginabili per la politica italiana. Ci abbiamo già provato col Popolo della libertà ed è finita come sappiamo. Non dubito della buona volontà di Salvini o delle sue capacità da leader, né del suo desiderio di rifarsi dalla sconfitta dopo il Quirinale e ancor meno della sua determinazione nel voler dare a questo Paese un governo capace di difendere gli interessi nazionali e di arginare la distruttività delle sinistre. Quello di cui dubito fortemente è la capacità della politica italiana di unire le forze, mettendo da parte rivalità, protagonismi, furori ideologici e opportunismi del momento, e di restare assieme nel lungo periodo.
Naturalmente, se Matteo Salvini pensa di farcela, allora è giusto che ci provi e che investa tutte le sue energie in questo progetto: personalmente, gli faccio i miei migliori auguri, dal momento che nessuno più di chi scrive sarebbe più felice di vedere la politica italiana cominciare a funzionare come nel resto del mondo e, soprattutto, di veder nascere una “Grande Destra” liberal-patriottica. Attenzione, però, a non imbarcare la qualunque pur di raccattare qualche voto in più: niente trasformisti, vecchi democristiani, bagascioni della politica pronti a vendersi per un piatto di lenticchie, nostalgici della “buonanima” e terrapiattisti, per favore. Altrimenti, l’ipotetico Partito Repubblicano avrebbe durata simile al vecchio Popolo della Libertà (se non inferiore) e ancor meno credibilità presso un elettorato come quello di centrodestra, che non ha mai avuto troppe pretese, ma che vuole solo ordine e libertà e che si contenta di vivere secondo le regole del tradizionale buonsenso. E attenzione, soprattutto, a chiarire fin da subito quali sono i valori fondamentali e gli obbiettivi, senza ambiguità: atlantisti o filo-russi? Cambiare l’Europa o darle il benservito? Liberalismo conservatore o lepenismo? Libero mercato o statalismo? Lavoro o sussidi?
Da ultimo, è bene che un ipotetico Grand Old Party in versione tricolore, conservi una certa disposizione al populismo. In barba all’attitudine sinistroide di guardare con orrore e con disprezzo a quest’atteggiamento politico teso a interpretare e a dare voce al comune sentire, il populismo è la vera carta vincente del centrodestra. Combinato con una buona dose di liberalismo potrebbe fare la differenza. Taglio delle tasse; lotta al parassitismo sociale e all’assistenzialismo selvaggio; semplificazione normativa e burocratica; blocco dell’immigrazione clandestina e fine del business dell’accoglienza; politiche di contrasto alla criminalità e all’insicurezza; riduzione e riqualificazione della spesa pubblica; liberalizzazione del sistema previdenziale; Italia protagonista in Europa e nel mondo; contrasto alla “Cancel culture” e al politicamente corretto. Sono questi i punti dai quali dovrebbe ripartire la destra e che riscuoterebbero successo tra gli italiani: a patto che vengano portati avanti con serietà e determinazione, senza cedimenti.
Nel frattempo, sarebbe più utile cercare di riconquistare la fiducia dell’elettorato, cercando di spiegare bene la scelta del Mattarella bis, che stando ai sondaggi ha fatto registrare un significativo calo di consensi per la Lega. Si tratta di un passo che in molti non hanno compreso. Non basta dire che non c’era altra scelta perché la sinistra ha bloccato tutto e bocciato sistematicamente tutti i candidati dello schieramento avverso. Gli elettori esigono una spiegazione. Lanciare un nuovo soggetto politico unitario potrebbe essere il modo giusto per ricominciare ad attrarre consensi e per riaccendere l’entusiasmo dell’elettorato. Sempre a condizione che sia fatta chiarezza dall’inizio e che si proceda secondo un certo schema, non in ordine sparso o casuale come si è fatto finora. Nel mentre che Salvini elabora una strategia per il futuro del centrodestra, i suoi alleati sembrano intenzionati a fare tutto meno che contribuire in tal senso. Silvio Berlusconi ha accolto con freddezza la proposta salviniana – che pure fu avanzata ancora prima proprio da Berlusconi – e come lui i “colonnelli” di Forza Italia. La “tentazione centrista” è forte come non mai e nei prossimi mesi gli azzurri saranno chiamati a una scelta di campo: restare nel centrodestra o abbandonare la destra per dar vita a un polo di centro assieme ai vari Maurizio Lupi, Giovanni Toti, Lorenzo Cesa e Matteo Renzi. Sono molti i dirigenti forzisti che si schierano apertamente in favore di quest’ultima ipotesi. Sarebbe una fine ingloriosa per il partito che avrebbe dovuto fare la rivoluzione liberale: scegliere di suicidarsi spartendosi qualche poltrona con qualche democristiano nostalgico. Si, perché nonostante il binomio Draghi-Mattarella abbia galvanizzato i centristi e li abbia fatti sentire indispensabili, al punto da dirsi pronti a tornare protagonisti della vita politica – magari con una legge elettorale proporzionale che permetta loro di essere l’ago della bilancia – è improbabile che nel Paese ci sia “voglia di centro”, come che gli elettori possano apprezzare un consesso di trasformisti che cercano in ogni modo di tirare a campare: il partito del “tengo famiglia”.
C’è poi Giorgia Meloni, alla quale va dato il grande merito di essersi dimostrata, ancora una volta, coerente con sé stessa e coi suoi ideali. Tuttavia, il rischio, per lei e il suo partito, è davvero quello di rimanere all’angolo, di restare isolati. La leader di Fratelli d’Italia ha già risposto picche all’ipotesi di federarsi: meglio soli che male accompagnati, tuona la Meloni, che crede di poter comunque incidere sulla vita politica italiana, forte dei sondaggi che la danno in rapidissima ascesa. Non si fida più di Salvini e ancor meno di Berlusconi. Quand’anche Fratelli d’Italia riuscisse ad affermarsi come primo partito, i suoi consensi non saranno mai così ampi da poter dar vita a un monocolore: ergo, per fare la differenza, bisognerà comunque venire a patti con qualcuno, come dimostra l’esperienza del Movimento cinque stelle, i quali hanno cominciato a fare politica seriamente (si fa per dire, ovviamente) nel momento in cui hanno capito che per governare era necessario allearsi con qualcuno. Tanto vale, allora, calmarsi e riaprire un dialogo con la Lega e con Forza Italia (se ancora sarà della partita). Al contrario, Giorgia Meloni è destinata a diventare la Marine Le Pen italiana: e non credo che sia questa la sua massima aspirazione. L’impressione, dunque, è che si debba ripartire dalle basi, archiviando una parentesi non proprio rosea nella storia della destra di questo Paese e andando avanti, verso nuovi orizzonti. L’ipotesi “Partito repubblicano” potrebbe andare nella giusta direzione, ma serve compattezza, buona volontà, duro lavoro e disponibilità a rinnovarsi, anzitutto nella mentalità, nel costume e nel modo di intendere la politica in questo Paese. Non possiamo, non dobbiamo e non vogliamo morire democristiani...e nemmeno comunisti.
Aggiornato il 03 febbraio 2022 alle ore 10:23