Salvate il soldato Salvini!

Un cavaliere senza cavallo

Dove cade il cavaliere? In battaglia, ovviamente. Soprattutto in quelle perse in partenza. La caduta, anche stilistica, di Matteo Salvini è avvenuta per aver declinato malissimo il sostantivo di Rosa, rosae, facendola appassire nottetempo. Non contento, in assenza di una maggioranza solida per eleggere in solitario il nuovo presidente della Repubblica, il segretario della Lega ha calato l’asso del centrodestra privo però della blindatura di un accordo bipartisan, andando così senza paracadute alla conta dei Grandi Elettori, con il risultato disastroso ben noto a tutti. Per di più, in questa singolare autodafè veniva incautamente mandata al rogo proprio la seconda carica dello Stato, nella persona di Maria Elisabetta Casellati, la quale non è esente da colpe, per non essersi accertata o non avendo preteso, così com’è accaduto anche nel caso di Elisabetta Belloni per Giuseppe Conte, che vi fosse un solido accordo politico tra centrodestra e centrosinistra per garantire la sua elezione. Così, a fasi alterne, continuava a tornare a galla, come un sughero inaffondabile, la figura prestigiosa di Mario Draghi. Chi lo spingeva? Certamente, l’inconsistenza di partiti da molto, troppo tempo senza popolo (che, nella persona collettiva dell’elettorato, va a votare in netta minoranza), ma con milioni di follower (che seguono i suoi leader) la cui opinione, però, non conta nulla nelle urne parlamentari.

Qualcuno, forse, ha osato fare un referendum online sulle preferenze delle decine di milioni di iscritti ai social network? No, nessuno: nemmeno gli ex populisti sovranisti come i portavoce (in disarmo) dei Cinque stelle e della Lega Nord. Eppure, se loro stessi, o qualcun altro, lo avessero fatto, per la legge de grandi numeri (per cui si cancellano automaticamente i fakes) avrebbero avuto il nome blindatissimo del candidato da esibire alle votazioni del Parlamento riunito. Mancando sulla scena Silvio Berlusconi, il grande mediatore (inventore e creatore) del centrodestra, è accaduto che, in base a una disciplina teutonica malriposta, ha preso le redini e l’iniziativa di proporre uno o più nomi il leader del Partito più votato della coalizione. Matteo Salvini si è così mosso alla sua maniera, che il buon e intramontabile Clemente Mastella ha definito pudicamente a zig-zag. Ora, questo tipo di scelta è da attribuire, da un lato, alla giovane età del prescelto, mentre dall’altro giocano altri caratteri poco simpatici che gli derivano dalla mancanza di collegialità e della capacità di ascolto.

Se il “Comandante” leghista fosse stato un po’ più moderato, avrebbe formato un Comitato di Saggi sufficientemente autorevole, a partire dalla sua area politica, dandogli mandato di formulare all’unanimità un candidato rappresentativo di tutto lo schieramento, per poi convocare attorno a quello stesso nome (o rosa di nomi, più opportunamente, per consentire maggiori margini di trattativa!) un tavolo di confronto con lo schieramento avverso, senza il cui consenso ci sarebbe stato uno stallo permanente evidente. Per di più, è venuto a mancare l’approccio sistemico che lega a filo doppio in questo momento storico, unico e drammatico, i due Palazzi romani del potere, Chigi e Quirinale. Si trattava infatti di una partita doppia e non di una monade in libertà da catturare come una preda ambita. Tant’è vero che chiunque abbia assunto in precedenza la titolarità del Quirinale ha sempre tenuto a precisare (Partito, o non Partito di appartenenza) che sarebbe stato il presidente di tutti gli italiani. Mentre, al contrario, il presidente del Consiglio, essendo una soluzione di mediazione e il punto di caduta dell’accordo tra partiti rappresentati in Parlamento, può benissimo restare un leader di parte, senza che questo ne leda la caratura istituzionale che la Costituzione e le leggi gli assegnano.

Ora, in questo caso dell’elezione del XIII presidente della Repubblica italiana, le cose si sono fatte ben più complicate, perché per la prima volta nella storia non erano intercambiabili nella persona di Mario Draghi le due poltrone e i due incarichi Chigi/Quirinale. In tale ottica, gli analisti più esperti hanno individuato due gravi errori di sistema, attribuibili all’inconsistenza dell’attuale quadro politico. Il primo, è di pubblicizzare e persino di credere e di far credere all’Opinione Pubblica che esistano “Governi tecnici”. Infatti, quando un “Tecnico” assume l’incarico e va a esercitare, formalmente e di fatto (così come accade per i suoi Ministri, qualunque sia la loro estrazione partitica, tecnica, indipendente), le funzioni di presidente del Consiglio dei ministri, che rappresenta la prima carica politica italiana, allora tutti i suoi interlocutori internazionali e istituzionali si rapporteranno con lui esattamente come farebbero con un politico “puro”.

Il secondo errore, ancora più enigmatico, è di non aver tenuto conto che, comunque lo si voglia vedere, il Governo Draghi è, a tutti gli effetti, un Governo del presidente (costituendo così un ticket inscindibile tra Chigi e Quirinale, che obbliga per di più all’invarianza della maggioranza di governo!) che però, a norma della Costituzione, resta un governo come tutti gli altri, pur avendo Sergio Mattarella scelto fuori dal sistema dei partiti (entrato in un fase di stallo-paralisi che avrebbe automaticamente condotto a elezioni anticipate) l’ex presidente della Bce. E lo ha fatto ben sapendo che Draghi sarebbe stato il personaggio della caratura internazionale necessaria per la gestione dei rilevanti fondi a noi riservati del Next Generation Eu, in modo da garantire la nostra solidità di fronte agli investitori internazionali. C’è, però, un aspetto che sfugge all’attenzione generale: vista la perfetta coincidenza tra politico e tecnico quando il soggetto titolare assume la carica di capo del Governo, accade che (si veda il caso Mario Monti!) la sua sola presenza crei un nuovo campo di forze prima inesistente, in grado di raccogliere milioni di consensi in un’elezione legislativa. Pertanto, se Mario Draghi dovesse un domani incamminarsi sulla stessa strada di Mario Monti con la sua Scelta civica (che, all’epoca, raccolse poco meno del 10per cento dei consensi!), allora tutti si accorgerebbero di quanto sia stata velleitaria la distinzione tra “tecnico” e “politico”!

Quindi, già da ora sarebbe il caso di chiedersi come verrebbe rivoluzionato il panorama politico attuale nel caso entrasse formalmente in campo il partito di Draghi, e quali sarebbero il suo potere e la capacità di attrazione nel coagulare una grande forza neoconservatrice di centro. Il rieletto presidente Sergio Mattarella (Auguri meritatissimi, presidente!) dovrebbe prendere in seria considerazione lo spunto del presidente Giorgio Napolitano che, nel 2011, prima di dare l’incarico di formare un Governo tecnico di emergenza a Mario Monti, lo nominò senatore a vita. Nomina che sarebbe quanto mai opportuno riservare anche a Mario Draghi, in modo da sottolinearne la sua qualità di “risorsa della Repubblica”, rendendolo contestualmente un solido riferimento parlamentare, da qui in futuro, per tutte le questioni che coinvolgano le decisioni del Parlamento in materia di finanza pubblica e di politica europea e internazionale. Nessuno ha vinto la partita del Quirinale, ma tutti debbono darsi da fare per vincere quella di dare un futuro all’Italia e alle nuove generazioni!

Aggiornato il 01 febbraio 2022 alle ore 11:31