La rielezione al Quirinale di Sergio Mattarella, ha messo in tutta evidenza la scadente qualità dei leader politici, senza alcuna distinzione, forse anche più di quella dei loro stessi parlamentari che, in qualche modo, nel segreto dell’urna hanno indicato la strada da percorrere. I partiti infatti si sono impantanati per giorni nell’affermazione spasmodica dell’ego dei propri leader. Soltanto con l’intervento risolutivo del presidente del Consiglio Mario Draghi che, pur legittimamente aspirando di traslocare al Quirinale, ha chiamato il capo dello Stato per chiedergli di ripensare alla sua decisione. Il premier ha visto lo spettacolo indecoroso di cui si sono resi protagonisti i partiti ed aveva temuto seriamente per la sopravvivenza del suo governo o comunque per la continuità amministrativa su tutti i provvedimenti messi in cantiere in questi mesi, in particolare modo su quelli del Recovery Plan.
Mario Draghi, cosciente che l’elezione del nuovo presidente della Repubblica potesse mettere in crisi il delicato equilibrio attorno al quale aveva costruito la sua maggioranza di governo, nella conferenza di fine anno aveva lanciato ai partiti un avvertimento: il suo governo avrebbe potuto proseguire soltanto con l’attuale maggioranza e non era possibile pensare di eleggere il capo dello Stato rompendo tali equilibri. Purtroppo è rimasto inascoltato ed i leader dei partiti invece di affrontare con la necessaria razionalità questo importante appuntamento, sono partiti lancia in resta ma senza sapere effettivamente dove andare. Fino a quando i partiti penseranno alle loro utilità non si potrà mai pretendere dai loro leader di saper scegliere e comprendere quale sia il bene del Paese. Per creare determinate condizioni occorre molta pazienza, lungimiranza ma soprattutto grande visione politica e purtroppo oggi il personale politico non offre personalità in possesso di queste qualità. Si è avuta invece la presunzione di essere bravi e determinati senza esserlo.
Tutti i partiti, nessuno escluso, dalla vicenda del Quirinale escono malconci e qualcuno anche diviso al proprio interno. La situazione nel cosiddetto fronte progressista non è certamente brillante considerato che Enrico Letta era caduto nella trappola di Giuseppe Conte ed ha salvato la sua segreteria grazie all’attivismo di Matteo Renzi che, ancora una volta, si è dimostrato l’unico animale politico in grado di fare un ragionamento intelligente, anche opponendosi con fermezza all’ascesa al Colle del capo dei servizi segreti. Nei 5Stelle si apre la resa dei conti che potrebbe portare ad una scissione o addirittura alla defenestrazione di qualche leader. L’errore più macroscopico è stato compiuto dal centrodestra che, pur non avendo i numeri necessari, ha lanciato prima la candidatura di Silvio Berlusconi e poi quella di altri autorevoli personaggi. Dopo essersi divisi, è stata proposta anche la candidatura istituzionale della presidente del Senato, seconda carica dello Stato, bocciata senza vergogna ed esitazione dagli stessi franchi tiratori del centrodestra. Si è preteso di imporre un candidato di parte senza avere i numeri per farlo, sbagliando completamente approccio e metodo. Bastava partire con congruo anticipo per cercare di costruire attorno ad un nome la necessaria condivisione, invece si è aspettato l’ultimo minuto sperando di raggiungere l’obiettivo. Il centrodestra registra così l’ennesima cocente sconfitta, che si aggiunge alla lunga collezione messa insieme in questa legislatura.
Il centrodestra è diviso ormai da tempo, nonostante sorrisi ed abbracci di facciata. Sin da quando è in atto nei fatti la competizione tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni per la leadership della coalizione. Ognuno marcia per proprio conto ed è inutile pensare che non sia così per i prossimi mesi e forse anni. Perché quando riescono a sedersi attorno ad un tavolo non lo fanno quasi mai da alleati. Così è successo quando nel 2020 hanno scelto candidati alla presidenza delle regioni nelle quali si votava. In quell’occasione il centrodestra ha confermato i governatori uscenti ma non è riuscito a trovare candidati in grado di competere con gli avversari di centrosinistra e conquistare nuove regioni. Così è successo l’anno scorso a settembre quando si è trattato di trovare i candidati a sindaco di grandi città, come Roma, Milano e Napoli.
Dopo ogni elezione hanno ripetuto ossessivamente di dover fare una riflessione sul futuro della coalizione. Non lo hanno fatto nemmeno quando hanno perso con fragore le elezioni comunali.
Nessuna analisi della sconfitta! Soltanto mea culpa generalizzati, ma nessuna seria assunzione di responsabilità. Lo stanno ripetendo di nuovo in questi giorni, dopo la pessima figura conseguita, ma ognuno sembra volere le mani libere. Matteo Salvini vuole fare il Partito repubblicano, come quello americano. Questo del Partito repubblicano è ormai un ritornello che torna utile quando si vuole lanciare una novità. Lo ha fatto Silvio Berlusconi, lo ha fatto Giovanni Toti, lo ha fatto Carlo Calenda, adesso arriva anche Matteo Salvini. Resta il fatto che ad oggi questa novità non si è ancora realizzata, e Giovanni Toti vuole allargare il centro a Forza Italia e Italia viva, mentre Giorgia Meloni vuole prendere in mano le redini per ricostruire il centrodestra. Ovviamente tutti vogliono la primogenitura. Fino a quando nella loro testa c’è la voglia di affermare la propria supremazia sugli alleati, il centrodestra non andrà da nessuna parte. Non ci sarà futuro soprattutto finché non emergerà una nuova figura rassicurante e capace di aggregare le tante anime moderate del Paese.
Un leader che al momento non si vede all’orizzonte. Non si tratta più di allargare l’area del consenso, ma di costruire un’area moderata nel nostro Paese rimescolando le carte dell’intera politica, annullando sia la coalizione di centrodestra sia quella cosiddetta dei riformisti. Una politica che guardi alla maggioranza silenziosa degli italiani, ai tanti cittadini che non vanno a votare perché non si riconoscono nei partiti che attualmente sono presenti in Parlamento. E bisogna necessariamente passare dalle elezioni politiche. Purtroppo penso che quelle del 2023 non saranno dirimenti in tal senso e gli italiani dovranno attendere ancora qualche anno.
Aggiornato il 01 febbraio 2022 alle ore 13:18