Come (non) ci si sta preparando al taglio dei parlamentari

L’elezione del presidente della Repubblica appena conclusa è l’ultima a cui hanno potuto partecipare gli oltre mille grandi elettori. La prossima presidenza, infatti, verrà eletta da un numero significativamente inferiore di parlamentari, dal momento che la riforma costituzionale voluta dal M5s e approvata dal referendum nel 2020 prevede il taglio dei componenti di entrambi i rami del Parlamento: da 630 a 400 alla Camera e da 315 a 200 al Senato. Senza dover attendere la fine del settennato, il taglio di deputati e senatori avrà effetti sul funzionamento concreto del sistema parlamentare già dall’inizio della prossima legislatura, anche se il problema sembra che sia stato rimosso dall’agenda. È infatti inspiegabile il silenzio che regna sull’argomento. Oltre alla legge elettorale, che i più vorrebbero modificare, è aperta anche la questione dei collegi elettorali, che dovranno necessariamente essere ridisegnati prima delle elezioni che si terranno al più tardi nella primavera del 2023.

Dovrebbe anche preoccupare che finora non sia stata nemmeno immaginata una revisione dei meccanismi parlamentari che tenga conto della riduzione del numero delle poltrone. Ci si riferisce soprattutto alla mole di lavoro che viene svolto nelle commissioni, 14 permanenti in ciascun ramo del Parlamento, alle quali vanno aggiunte le commissioni d’inchiesta, le commissioni bicamerali e le giunte. Complessivamente, si tratta di oltre 60 organi, che a conti fatti corrisponderanno a una decina di parlamentari ciascuno. Considerando che sono numerosi i parlamentari impegnati anche nell’attività di governo, è ipotizzabile che la loro riduzione si rifletterà anche sulle commissioni, che potrebbero subire un sensibile ridimensionamento di numero.

Qualcuno obietterà che 600 parlamentari sono numericamente in linea con altri parlamenti europei ed è vero, ma un conto è avere due Camere con competenze diverse, come spesso avviene all’estero, e un conto è avere due Camere che duplicano le stesse funzioni, come è in Italia. Intendiamoci, l’Italia ha uno dei parlamenti più numerosi al mondo, e questo nonostante che molte competenze siano state trasferite all’Unione europea e alle Regioni, per cui non si discutono le scelte che sono state compiute e approvate con il referendum. Quello che stupisce è che finora non si sia mossa foglia, come se ogni decisione potesse essere procrastinata a non si sa quando. Ovviamente, appare del tutto malevola la voce secondo cui l’inazione sarebbe il frutto di una regia per portare a mantenere lo status quo e congelare il taglio dei seggi. Se non accadrà qualcosa nei prossimi mesi potrebbe riprodursi uno schema simile a quello a cui abbiamo assistito per l’elezione al quirinale: tutti erano al corrente che il 24 gennaio sarebbero iniziate le votazioni per il capo dello Stato, ma come si è visto si è arrivati a quella data totalmente impreparati.

Aggiornato il 01 febbraio 2022 alle ore 09:28