
L’ex presidente della Camera, Laura Boldrini, torna a far parlare di sé. Non nel modo in cui siamo abituati, cioè per una delle sue famigerate pedanterie politicamente corrette o per le sue crociate donchisciottesche contro il sessismo o il razzismo (o presunti tali). No, stavolta è qualcosa di molto più serio. Al tempo in cui presiedeva l’assemblea di Montecitorio, infatti, l’ex numero uno di Montecitorio avrebbe invitato due attivisti palestinesi a tenere un’audizione dinanzi al Comitato per i diritti umani. Si tratterebbe del direttore generale di Al-Haq e del rappresentante di Addameer, entrambe organizzazioni non governative inserite da Israele nella lista delle associazioni con finalità di terrorismo, parte della più vasta rete del Fronte popolare per la liberazione della Palestina. Proprio da Israele si leva la protesta: l’ambasciatore si dice scioccato e inorridito dal fatto che due esponenti di organizzazioni terroristiche siano state invitati a parlare in una sede istituzionale italiana e chiede chiarimenti. Aggiunge, poi, che la Corte Suprema israeliana avrebbe già descritto uno dei due soggetti, tale Shawan Jabarin, come un “Dottor Jekyll e Mister Hyde”, che agirebbe a volte per conto delle associazioni in difesa dei diritti umani, e a volte come esponente di organizzazioni terroristiche. Lo stesso è stato, inoltre, accusato di aver orchestrato e compiuto personalmente un attentato in cui è rimasta uccisa una giovane israeliana, Rina Shnerb, che ha perso la vita solo in ragione del suo essere ebrea.
Non si fa attendere la replica da parte di Laura Boldrini, che ben lungi dallo scusarsi o dal volersi in qualche modo discolpare, insiste nel sostenere che Jabarin sia uno “stimato attivista per i diritti umani”, membro anche di organizzazioni come Human Rights e Amnesty International, che vive da uomo libero e viaggia regolarmente per incontri di natura istituzionale in diverse capitali europee. Se si trattasse di un soggetto pericoloso o condannato – aggiunge la Boldrini – non godrebbe certo di queste libertà. L’ex presidente della Camera chiude poi in bellezza ricordando come l’Alto Commissario delle Nazioni Unite, Michelle Bachelet, abbia già definito tale accusa una violazione della libertà d’associazione, di opinione e di espressione. Come al solito, Laura Boldrini si distingue puntualmente per la sua abitudine a spiegare tutto per non spiegare nulla e per il suo trincerarsi dietro quel muro di presunzione e di altezzosità che è tipico dei “trinariciuti”. Lei, come il resto dell’intellighenzia radical-chic, non sono programmati per commettere errori, ed è semplicemente impensabile che ne facciano. Nel caso di specie, l’errore non è stato il suo, che ha invitato dei soggetti legati al terrorismo palestinese in una sede istituzionale italiana, ma di Israele che li accusa di essere tali e li tratta di conseguenza. Come a dire che la colpa non è del coniuge fedifrago, ma di quello che ha scoperto l’adulterio. Sembrerebbe la commedia dell’assurdo, ma è la triste realtà.
Simili iniziative tradiscono e contraddicono quella che dovrebbe essere la solida collocazione filo-israeliana del nostro Paese: ma, del resto, si sa che le sinistre – e, più in generale, le forze antisistema e radicali – abbiano un legame privilegiato coi palestinesi, poiché nella loro immaginazione si tratta di un popolo in rivolta contro uno Stato oppressore, creato ad arte e sostenuto dalle potenze capitaliste dell’Occidente. Non fa nessuna differenza il fatto che si tratti o meno di attivisti per i diritti umani: se anche lo fossero, ciò non li assolverebbe comunque dalle accuse di terrorismo che Israele ha mosso nei loro confronti. Un’attivista per i diritti umani non è necessariamente un soggetto inoffensivo o irreprensibile, se consideriamo che sono esistiti serial killer che facevano i clown nei reparti pediatrici degli ospedali o che erano dei “pilastri” della comunità. A meno che non si voglia accusare Israele di essere preda di una sorta di psicosi, di una specie di “maccartismo” antipalestinese, che induce le sue autorità a identificare chiunque non sia ebreo come un potenziale nemico della nazione, non si può fare a meno di pensare che lo Stato ebraico abbia le sue buone ragioni per sostenere che si tratti di due terroristi.
Israele è un piccolo Stato che lotta per la sua esistenza: è una democrazia – l’unica del Medio Oriente – circondata da Stati autoritari e costantemente minacciata dai regimi islamisti; e come se ciò non bastasse, si trova a dover fare i conti con un gran numero di nemici interni e con le continue incomprensioni da parte della comunità internazionale, che fin troppo spesso esita nel prendere una posizione chiara in suo favore e nel condannare il terrorismo dei palestinesi. Vista la situazione difficile, credo che si possa anche concedere alle autorità di questo Paese il diritto di muoversi con maggior prudenza e circospezione, perché unicamente da queste dipende la sua possibilità di continuare a esistere come nazione.
Quanto all’Alto Commissario delle Nazioni Unite, Michelle Bachelet, che assolve i due soggetti dai capi d’imputazione e le organizzazioni delle quali sono esponenti dalle accuse israeliane, basterebbe pensare ai noti legami dell’ex presidentessa cilena con le dittature comuniste dell’America Latina, come quella cubana, venezuelana e nicaraguense. Ella avrebbe, infatti, manifestato più volte solidarietà ai governi di questi Paesi, e ne avrebbe coperto i misfatti, come denunciano le opposizioni democratiche di quegli Stati, che più volte si sono appellate all’autorità dell’Alto Commissario, non ricevendo mai una risposta che non fosse – come nel caso dei venezuelani in lotta contro Maduro – quella di intraprendere la via del dialogo e della conciliazione col regime. Preso atto di questo, mi si perdoni l’indelicatezza, ma le parole della Bachelet non possono avere alcun valore da questo punto di vista, perché viziate dall’ideologia: chi appoggia la violenza dei regimi comunisti e li definisce “governi legittimi”, difficilmente potrà avere un’opinione più aderente alla realtà circa il terrorismo palestinese. Ergo, non posso fare a meno di ritenere molto più attendibili i pronunciamenti della Corte Suprema israeliana.
Tutta questa storia, oltre a confermare l’esistenza di un forte pregiudizio anti-israeliano (per non dire antisemita) a sinistra, e la vicinanza di questa parte politica alle rivendicazioni illegittime dei gruppi palestinesi, come al mondo arabo-musulmano in generale, ci fa capire come il politicamente corretto sia una gigantesca ipocrisia, dal momento che nel cieco tentativo di combattere le discriminazioni finisce per perpetrarne di peggiori e per giustificare posizioni e metodi assai discutibili, come quelli che i palestinesi impiegano contro gli israeliani. Del resto, il politicamente corretto non è che un modo diverso per riproporre la lotta di classe marxista, in cui le categorie “oppresse” hanno il diritto di riprendersi, con ogni mezzo, quello di cui le categorie “oppressive” li hanno – a loro dire – privati. La perfetta uguaglianza corrisponde, secondo questa logica, alla “fine della storia”. La Boldrini, che del politicamente corretto è la “somma sacerdotessa” italiana, ha ben chiaro tutto ciò: ed è per questo che il suo invito agli attivisti palestinesi è stata una chiara scelta di campo contro Israele e contro i diritti della comunità ebraica. Ma gli intolleranti e gli estremisti sono sempre gli altri, vero presidente Boldrini?
Aggiornato il 23 dicembre 2021 alle ore 10:58