
Non solo obbligo di quarantena per chi arriva dall’estero (Paesi europei inclusi): il premier Mario Draghi bacchetta l’Unione europea anche sull’annosa problematica dei flussi migratori. Nel suo discorso pronunciato alla Camera, alla vigilia del Consiglio europeo, il capo del Governo – oltre a controbattere alle rimostranze di chi, in Europa, aveva ritenuto il provvedimento adottato dall’Italia eccessivo, sostenendo che ci si sta solo difendendo dal contagio – ha ritenuto opportuno richiamare l’Unione a una maggiore solidarietà nei confronti dell’Italia, che nella gestione dell’emergenza migranti è stata lasciata sola, senza nient’altro che le famose “pacche sulle spalle” e la vicinanza solo a parole. Bisogna fare di più e bisogna farlo presto. Quello che Draghi ha inteso fare è stato richiamare l’Europa alle sue responsabilità, a dimostrarsi veramente all’altezza della situazione: nella consapevolezza che si tratta di un vero e proprio banco di prova per l’Unione, di un test per sincerarsi se veramente questa ha le carte in regola per essere un’autentica comunità politica, un soggetto federale o confederale, oppure se il sogno dei padri fondatori è destinato a infrangersi contro quello che gli europeisti definiscono “egoismo degli Stati” ma che, molto più spesso, è semplicemente volontà di tutelarsi laddove chi dovrebbe provvedere in questo senso (l’Europa) si guarda bene dal farlo. Sull’immigrazione si gioca il futuro dell’Europa: questa è una delle tante tematiche dalle quali capiremo se siamo pronti per diventare una vera Unione, o se siamo destinati a restare un mero consesso di Stati che cooperano occasionalmente tra loro, che hanno delle regole comuni, ma che procedono in ordine sparso quando si tratta di cose di grande importanza: e non mi riferisco alla sola regolamentazione dei flussi migratori, ma anche a questioni come la politica estera e la difesa.
L’Italia pone di nuovo il tema dell’immigrazione con assoluta determinazione – ha dichiarato il premier Draghi – anche a seguito del numero elevato di arrivi di questi mesi. In effetti, i dati del Viminale sono chiari: da luglio gli sbarchi mensili non sono mai scesi sotto quota settemila, raggiungendo picchi di diecimila nel mese di agosto; mentre con l’introduzione delle misure di contrasto alla pandemia le già sporadiche redistribuzioni si sono ulteriormente ridotte. L’Unione europea – ha proseguito Draghi – deve dimostrarsi all’altezza dei propri valori. Per difendere le vite e i diritti di chi parte per scappare è essenziale promuovere i corridoi umanitari dai Paesi terzi verso gli Stati membri dell’Unione. Non è sufficiente che sia solo l’Italia ad attuarli, ma è necessario un impegno europeo – conclude il premier. Oltre a questo, l’Italia – sostiene Draghi – invita l’Unione a procedere più speditamente per la stipula di accordi coi Paesi di provenienza dei migranti, al fine di accelerare e rendere più semplici i rimpatri dei non aventi diritto.
Le parole del capo dell’Esecutivo, oltre a rimarcare l’esistenza di un oggettivo problema coi flussi migratori sempre più difficili da controllare, sottendono anche il biasimo del comportamento tenuto finora dall’Unione europea, che ha lasciato Roma (come pure Atene o Malta) a gestire la situazione da sola. La strada, tuttavia, è tutt’altro che in discesa. Bruxelles sembra preoccuparsi solo dei movimenti secondari dei migranti, trascurando il problema degli arrivi: lo dimostra anche la recente proposta di introdurre delle modifiche al Trattato di Schengen per permettere agli Stati membri di attuare controlli anche alle frontiere interne dell’area comunitaria: il che sarebbe un vantaggio per i Paesi che hanno a che fare solo coi movimenti secondari, ma non certo per quelli di arrivo, entro i cui confini i migranti rimarrebbero verosimilmente bloccati. Inoltre, l’Unione europea sembra molto più intimorita da quanto sta avvenendo al confine con la Bielorussia, che non nel Mediterraneo. Certo, nel primo caso ci sono delle evidenti ragioni di natura geopolitica: ma solo uno sprovveduto non capirebbe che la stessa cosa vale anche per la rotta Mediterranea, se pensiamo che il blocco arabo e la Cina (che nel frattempo sta, di fatto, colonizzando l’Africa, usandola per farci pressioni) non sono meno antagonisti dell’Europa rispetto alla Russia.
Per quanto condivisibili siano le prese di posizione di Mario Draghi, c’è tuttavia un elemento centrale che non è stato considerato. Non si tratta solo di corridoi umanitari, redistribuzioni e rimpatri. Naturalmente, l’apertura di canali da cui far passare i veri rifugiati, che poi andrebbero spartiti tra i vari Stati membri, sarebbe una buona soluzione per ordinare il fenomeno: ma servirebbe a poco senza un meccanismo capace di tenere fuori e di respingere i clandestini. I corridoi umanitari non servirebbero a fermare i barconi o a chiudere le rotte come quella Balcanica: continuerebbero comunque ad arrivare decine di migliaia di migranti economici (se così vogliamo chiamarli, poiché la stragrande maggioranza di loro non apporta alcun beneficio all’economia del Paese nel quale si trasferisce e, anzi, ne vampirizza le risorse e si trasforma presto in un “mantenuto pubblico”). Per cui, disporre di un sistema di respingimento europeo è il logico e necessario corollario dell’esistenza di un meccanismo di accoglienza a livello comunitario.
Un buon punto d’inizio potrebbe essere il finanziamento europeo dei cosiddetti “muri”, cioè per la costruzione di barriere fisiche ai confini non dei singoli Stati, ma dell’Europa tutta, per impedire ingressi non autorizzati da sud e da est. Piaccia o no, la difesa dei confini è fondamentale per poter accogliere chi veramente ha diritto e sta scappando da guerre e persecuzioni: del resto, è anche a causa delle schiere di clandestini e di parassiti che, molto spesso, non rimane granché per i veri bisognosi. A Bruxelles, forse, dovrebbero riflettere anche su questo: l’umanità senza rigore è lesta a diventare buonismo, che è la rovina di ogni società e della civiltà stessa. Si, l’Europa deve dimostrarsi all’altezza dei suoi valori, tra i quali non ci sono solo l’accoglienza e la solidarietà, ma anche il diritto e il dovere di far valere il diritto dei cittadini europei alla vita, inteso sia come diritto alla sicurezza che come diritto alla conservazione della civiltà che hanno contribuito a edificare; e alla libertà, intesa come esercizio concreto della stessa sotto la guida delle nostre tradizioni democratiche e liberali. L’Europa deve dimostrarsi all’altezza di questa sfida, sulla quale si gioca il suo futuro e la sua credibilità.
Aggiornato il 18 dicembre 2021 alle ore 10:10