Il pensiero liberale e la sussidiarietà

La legge fondamentale della nazione italiana è scritta in modo da favorire l’ingerenza dello Stato nella vita dei singoli, con uno stampo socialista e non liberale, fondata enfaticamente sulle buone intenzioni e non sulla possibilità concreta di realizzare risultati. Scrivere che la Repubblica tutela il diritto alla salute è diverso dallo scrivere “il diritto a perseguire l’ottenimento delle migliori cure”: un malato incurabile, ad esempio, non potrà mai conseguire il diritto alla salute. Lo stesso vale per il diritto al lavoro e non, invece, come dovrebbe essere, “il diritto a poter esercitare la propria attività lavorativa”: Il diritto al lavoro non esiste perché per creare lavoro ci vuole un imprenditore. Quindi se esistesse un diritto al lavoro di qualcuno dovrebbe esistere il corrispondente obbligo di qualcun altro ad essere imprenditore cioè a dare lavoro, cioè obbligo di assumere. Tra l’altro quelli che si riempiono la bocca con la favola retorica del diritto al lavoro sono gli stessi che gli imprenditori li odiano, li ammazzano di tasse, di obblighi burocratici, di autorizzazioni, li vorrebbero vedere in galera alla fame perché hanno violato una delle migliaia di leggi assurde fatte apposta per farli cadere in errore.

Il problema italiano è che e tra i cittadini non è diffusa la cultura liberale, della responsabilità individuale, della competizione e del merito. Nei paesi anglosassoni anche la massaia conosce i rudimenti del funzionamento del libero mercato, i nostri invece sono allevati e istruiti nella convinzione che lo Stato li debba accudire dalla culla alla tomba. Si credono assistiti e garantiti e confondono la solidarietà con l’assistenzialismo e la redistribuzione. Non si rendono conto che in realtà sono resi schiavi dalla loro continua pretesa di diritti sociali, diritto al lavoro, diritto al reddito, diritto alla casa, che alimenta un potere burocratico che li domina. La nascita dei cinquestelle ha consolidato quell’area del dirittismo a spese di altri: “Vogliamo il diritto al lavoro , il diritto al reddito”, una frase in cui c’è tutta l’ideologia che sta alla base del socialismo grillino, il cittadino che chiede alla autorità statuale , che concede, instaurando un rapporto di sottomissione e dipendenza: non contesta perché vuole essere sgravato dal balzello pubblico, per ritrovare la libertà di intraprendere e procurarsi da sé il necessario, ma contesta il tipo di elargizione, non bonus ma diritto al lavoro (che non esiste).

I cinquestelle sono una declinazione amplificata dei piddini: per soddisfare le loro ambizioni redistributive qualcuno deve sempre mettere mano al portafogli, non considerano che se c’è qualcuno che riceve e prende senza lavorare, corrispettivamente c’è qualcun altro che lavora senza essere pagato. Al contrario il pensiero liberale si fonda sul principio di sussidiarietà, ovvero, la riduzione al minimo dell’intervento statale finalizzato e limitato a garantire la libertà e la convivenza degli individui. E ciò sulla base della prevalenza e precedenza della libertà degli individui sulla attività dello Stato, in quanto potenzialmente conflittuale con la libertà stessa. L’intervento statale è legittimo se è ‘sussidiario’, cioè se è funzionale a garantire la libertà dagli abusi altrui e solo laddove fallisce l’iniziativa autonoma degli individui e, conseguentemente, il sostegno statale va dato solo a coloro che non sono nelle condizioni di procurarsi il necessario con le proprie forze, attraverso un Welfare residuale e non universalistico. Questa concezione è sintetizzata nel motto “So wenig Staat wie möglich” (il minor Stato possibile).

Aggiornato il 17 dicembre 2021 alle ore 12:21