
I cent’anni del Partito Comunista italiano, anche se vorremmo che questo genetliaco non fosse in calendario, non possono passare inosservati, soprattutto perché questo partito, volente o nolente, è stato il perno attorno al quale sono ruotati cento anni della sinistra, di tutta la sinistra, e, seppur sempre in bilico tra massimalismo e riformismo, in questi cento anni è stato il reticolo a periodi invisibile ma comunque portante dell’impalcatura di tutta la storia politica del secolo scorso. E a ben guardare anche di questo.
Ci è capitato tra le mani “Sinistre. Un secolo di divisioni”, di Paolo Pombeni, edizioni Il Mulino, uno di quei libri che vanno letti dalla fine per poter capire quale sia il vero intento dell’autore, che mantiene sempre celato il suo personale punto di vista salvo lanciare qualche frecciatina o qualche spunto per una riflessione interna alla sinistra. In un certo senso, il professore emerito dell’Alma Mater Studiorum di Bologna rimane accademico e se ne tira un po’ fuori, collazionando però un testo oltremodo utile a chi voglia ricontestualizzare una serie di avvenimenti e personaggi con l’occhio lucido dello storico.
I nomi e i fatti sono tanti, tantissimi, ma è perché in questo srotolarsi di sforzi interpretativi che comincia con l’apertura alle forze borghesi e la formazione delle coscienze socialiste del primo decennio del Novecento, racconta i comunisti puri di Bordiga, Bombacci, Gramsci e Terracini finendo con Berlinguer, Craxi e Renzi sino ai giorni nostri, che si spiegano e si dispiegano i meccanismi di pensiero “che avrebbero voluto vedere i Soviet organizzati in Italia”. Parlano i retroscena, che oggi diremmo congressuali, di partiti che si sono evoluti in partiti rivoluzionari della classe operaia, come i primi Socialisti da una parte, e in partiti a vocazione egemonica quale fu costantemente il Partito Comunista dall’altra.
Colpiscono la fase Togliatti e il “problema dell’insurrezione”, spina nel fianco permanente della sinistra dalle due anime antitetiche, di cui una sempre contraria alla violenza e alla dittatura di qualsiasi colore, e l’altra più rivoluzionaria dove nascono i modi espressivi poi divenuti gergo delle Brigate Rosse. Colpisce altresì, per l’onestà divulgativa, l’intermezzo sulla nascita dell’uso comune del termine “intellettuale”, o meglio dell’intellettuale che deve necessariamente essere “engagé”, schierato politicamente, e dichiararsi antifascista, costume ancora oggi in voga a riprova che esiste un circolo vizioso di supremazia culturale dal quale la sinistra, definita “folcloristica”, non riesce o non vuole ancora uscire e che da decenni va a braccetto con “il partito ghetto”.
Nero su bianco poi una grande verità: la Costituzione del ’48 “scritta metà in russo e metà in latino” come fonte di quel dialogo innaturale tra sinistra e cattolici che ancora avviluppa il progressismo riformista non solo della sinistra ma dell’Italia tutta e che, nemmeno quello, ha ancora trovato pace. C’è tanta carne al fuoco nel libro di Pombeni che, tuttavia, è un po’ spersonalizzato ma non noioso.
In questo lungo su e giù tra riformismo e massimalismo, non poteva mancare un capitolo sul massimalismo giudiziario che conquistò le piazze con Mani Pulite e il moralismo di cartapesta dell’Italia dei Valori, la vittoria di Silvio Berlusconi che segna il transito di lessico da “capitalisti” a “ricchi”, la fondazione del Partito Democratico veltroniano. Ed è nel rimestìo di questa crisi dell’eterno ritorno al punto di partenza che si fa strada il neo-giacobinismo grillino e apre la via, anzi la spalanca, a una ancor più profonda crisi della sinistra che a quel punto, matta e disperatissima, si schiera in difesa di ogni “diritto di nicchia trasformandolo in pilastro della civiltà”.
È qui che, solletica l’autore, accade l’irreparabile: in questa vacatio di sostanza e di contenuti è la sinistra che involontariamente apre la strada alla “società del rancore” partita dal Vaffa Day, della quale vediamo quotidianamente gli effetti nefasti nelle istituzioni e fuori. La conclusione, a cui ormai in molti sono già giunti, è che non ci siano più distinzioni tra destra e sinistra come le immaginavamo ed è questo il percorso di cui il libro è testimone, nonché il vero problema di riforma della sinistra che va avanti da un secolo ma che, tra partiti sciolti, chiusi e rifondati, diaspore, rottamati e rottamatori, ancora non riesce a trovare la quadra.
(*) Paolo Pombeni, “Sinistre. Un secolo di divisioni”, Il Mulino, pagine 200, 14,25 euro
Aggiornato il 10 dicembre 2021 alle ore 10:11