
È passato quasi sotto tono uno scoop televisivo. A “Zona Bianca”, su Rete 4, Giuseppe Brindisi ha intervistato in esclusiva Roberto Jonghi Lavarini, il Barone Nero protagonista dell’inchiesta di Fanpage, che durante le recenti Amministrative è stato l’apice dello scandalo mandando in tilt le elezioni per il centrodestra.
L’occasione è stata fornita dall’evento organizzato proprio da Jonghi Lavarini il 13 novembre in piazza Duomo a Milano contro il Green pass, al quale ha partecipato Robert Kennedy junior. La trasmissione, infatti, era incentrata sui legami tra destra radicale, No vax e anti-vaccino. E Jonghi Lavarini, imprenditore, ex amministratore locale, presidente della formazione di destra sociale “Fare fronte”, al di là del rispetto che si deve alle indagini della magistratura, è risultato una persona ragionevole e realista. Non un manipolatore e soprattutto non quel “fascista” pericoloso a capo di una cordata da liquefare.
Il “Barone Nero” ha spiegato che questa definizione è semplicemente “un soprannome”, il quale una volta dato rimane, così come girano tanti altri soprannomi, ma che non sta a identificare l’ideologia. E a dir il vero i contenuti delle sue affermazioni non dimostravano il contrario. Il suo modo di argomentare non è stato da fanatico, stralunato e violento. Anzi, è stato piano, logico, in grado di valutare ove minimizzare e ove precisare anche insistentemente. Soprattutto un uomo educato, che di questi tempi fa la differenza. Ma educato non solo formalmente, nel lessico, nei concetti, nei toni. Dunque, il presunto leader di un movimento nostalgico di seguaci del fascismo con rimpianti nazisti, che inquinerebbe le fila della Destra di Giorgia Meloni, ha spiegato di essere tranquillissimo sull’inchiesta di Fanpage, anche nella parte delle accuse più inquietanti.
“Quello che si è visto a “Piazza pulita” – ha affermato – “è stato un taglia e cuci di cento ore, montato ad arte, ripreso violando le leggi sulla privacy e costruendo un falso impianto investigativo non autorizzato”. Cioè con un solo fine: costruire una narrazione a senso unico e cioè senza che vi fosse la possibilità di riscontri e prove certe. Inoltre, ha chiarito la sua posizione sulle manifestazioni di piazza, premettendo che egli è regolarmente vaccinato e in regola con il Covid, ma che contesta – insieme a tanti – la confusione delle errate comunicazioni ufficiali e le manipolazioni mediatiche sia sul virus e sia sul vaccino. Secondo lui questi errori sono costati la vita a molte persone, morti che potevano essere evitate, attribuite al Covid, ma di fatto causate dalla malagestione.
Quanto al vaccino in sé, Jonghi Lavarini, pur essendo egli vaccinato, contesta che non vi siano spiegazioni sufficienti sulla composizione e sulle modalità di azione del farmaco a discapito di altri vaccini, che offrirebbero coperture superiori, ma soprattutto agiscono secondo modalità sperimentate da anni. E questo, francamente, lo confermo anche io avendo parlato con vari medici di famiglia, che scuotono la testa, facendo capire che i moderni vaccini alla fine “imposti”, poiché oggi in Italia se ne trovano solo due possibili da eseguire, sono una sperimentazione sul campo. E se comunque a noi adulti vale sempre farli, considerando le aspettative di vita, per i giovani dai 13 anni in su “è un genocidio”. Cioè a lungo non sappiamo gli effetti sulla sterilità, sui tumori, su tanto altro. Detto ciò, tuttavia, io resto dell’idea che la valutazione sia sempre tra ciò che si perde e ciò che si rischia anche per i giovanissimi.
Qui mi fermo, perché materia troppo scientifica anche per il più documentato degli informatori. Il Barone Nero, però, ha fatto capire dove sta il business: l’acquisto di 350 milioni di dosi solo in Italia di due soli vaccini e contro questo anche Robert Kennedy junior protesta. Contro il pensiero unico, l’omologazione, una sola scelta. Non è difficile capire la verità in questo caso, per come sono andate le elezioni in America e per come va qualunque cosa con i partiti progressisti fluidi, che cercano di imporre al mondo un sovvertimento naturale, di leggi biologiche, umane, spirituali.
E di fatti a “Zona Bianca” è emerso mostruosamente una sorta di golpe, a cui neppure facciamo più caso. A cosa mi riferisco? Lasciando da parte per un attimo la ragione o il torto su queste tematiche, dallo studio sono partite accuse dirette ed esplicite a Roberto Jonghi Lavarini, e a tanti altri come lui, di violazione penalmente rilevante della Costituzione nel divieto di ricostituzione del Partito Fascista. Una giornalista in studio urlava, minacciando e accusando come si stesse compiendo un olocausto intellettuale e fossero ribaditi i cardini della deportazione. In realtà, il Barone Nero stava spiegando l’uso suo e di altri di gesti come il fatidico “saluto romano”, o certi altri vezzi e vezzeggiativi provenienti dal passato. “Ognuno ha la sua storia – ha reagito Jonghi Lavarini – ognuno viene da qualche parte, i gesti sono espressioni riferite alla memoria da cui provengo, la mia vicenda personale. Così come lei e come tanti ripetutamente usate le stesse espressioni e gesti politici, ma nel caso della sinistra con l’aggiunta vigorosa dell’ideologia mai abbandonata, anzi rinnovata ed esaltata, del male assoluto impunito”.
Ha ragione Lavarini. La Costituzione vieta unicamente la ricostituzione del Partito Fascista, non come voleva accreditare la giornalista che persone come il Barone Nero circolino liberamente o che non si possa avere memoria, come dimostra il caso Durigon costretto alle dimissioni dal governo. Ma ci rendiamo conto della gravità?
Nessuno pone la questione della Costituzione violata e insultata per propaganda come fossimo ai tempi delle Foibe? Per questo Sergio Mattarella vuole terminare quanto prima il mandato? E chi sarà il nuovo capo dello Stato? Temiamo, visti i patti che girano. Allora c’è una strada sola: Mario Draghi subito anche al Quirinale. Oppure Riccardo Muti, cioè davvero una personalità garante. Un intellettuale, un uomo di cultura, uno storico anche di sinistra ma almeno come Paolo Mieli, che sappia cioè giudicare la storia e di fronte ad essa abbia un onore e una reputazione da difendere. Non sto facendo a nomi a caso, Paolo Mieli ne ha parlato pubblicamente alla presentazione del suo ultimo libro “Il tribunale della storia. Processo alle falsificazioni” (Rizzoli). Ha detto che accetterebbe di fare il presidente della Repubblica e ne sarebbe felicissimo. Da prendere sul serio, anche perché alla stessa platea ha ravvisato che sul piano teologico lui non entra, ma sul piano storico Gesù Cristo è esistito veramente: infatti alla vicenda del processo ha dedicato un paragrafo della sua rivisitazione dei fatti. Ecco, di fronte a simili personalità, Muti, Mieli, altri di questo livello, vorrei vedere cosa accadrebbe se al Colle giungesse l’intimazione di sostenere che tagliarsi i capelli in un certo modo è da nazisti, mentre gli uomini che mettono lo smalto, le gonne, i gender che si vestono in modo tale che non si sa più a chi stai dando dei lei o del lui, e dunque Lgbtq+ per forza e tutto l’armamentario sconvolgente della sinistra ovunque, è anticostituzionale.
Aggiornato il 19 novembre 2021 alle ore 16:42