L’intestazione che Romano Prodi ha voluto dare al suo libro e che esprime, a mio parere, quasi una sorpresa per la densità degli avvenimenti di cui la sua vita è stata costellata (anche se figli non certo del caso, ma di una enorme capacità di lavoro e soprattutto di una insaziabile curiosità) mi fornisce lo spunto per parlare della strana sensazione che ho provato io nel leggerlo (e nel frequentarlo negli anni) e chiedo scusa se, nel parlare del libro e dell’autore, parlerò anche di me stesso e della mia famiglia, perché la chiave di lettura per me, è proprio in quella contraddizione che ci ha portati su sponde contrapposte, ma senza che venisse mai meno un collegamento, non tanto dovuto al comune ottimismo emiliano, ma da un modo di ragionare molto simile e da un comune punto di partenza. Quando Prodi, nato a Scandiano in una famiglia numerosa, profondamente cattolica e con una forte etica dello studio e del lavoro, muoveva già i primi passi a scuola e in parrocchia, in una diocesi di Reggio Emilia profondamente conservatrice come quella del Vescovo Socche, io nascevo a Reggio e (a dieci giorni di età) ricevevo una tessera democristiana a mio nome – che ancora conservo – inviatami con una lettera di accompagnamento (scritta su carta intestata della Costituente) a mio padre, che pure era della destra Dc, da Giuseppe Dossetti, suo amico, ma guida spirituale della sinistra cattolica.
Io democristiano, a parte gli anni Settanta col pericolo del sorpasso paventato da Montanelli, lo sono stato essenzialmente attraverso mio padre, perché dopo l’apertura a sinistra del congresso di Napoli, che lo rese furibondo, andai per reazione a iscrivermi alla Gioventù liberale, però una certa affiliazione è rimasta. Prodi intanto diventava uno dei più noti e promettenti giovani studiosi della Dc a Reggio e, col tempo, arrivammo a conoscerlo personalmente, perché si era fidanzato con Flavia Franzoni, giovane e brillante studentessa di una famiglia imparentata in seconde nozze coi Basini. Il proseguire degli studi, con i prestigiosi incarichi universitari e gli impegni all’estero, li ho però conosciuti bene soprattutto attraverso il libro, perché noi ci trasferimmo a Roma, e, anche se sapevamo che stava facendo una grande carriera, ne avevamo conoscenza solo per sommi capi. Fu solo quando venne a Roma, come ministro e soprattutto come presidente dell’Iri, che prendemmo a frequentarlo.
Leggendo il libro, al di là della – per me molto meritoria– azione di economista e manager, ho potuto meglio seguire anche tutte le fasi della sua decisa azione politica per creare un centrosinistra, forte e coeso (ma occidentale) anche coi comunisti, proprio mentre noi, prima mio padre, poi io, cercavamo in tutti i modi di fare proprio il contrario, superare gli steccati a destra, per fermarli. Chissà cosa penserà il Padreterno degli sforzi degli umani. Tutto ciò era probabilmente scritto nella storia di una Dc profondamente variegata, che andava da Andreotti, Pella e Segni fino a Moro, La Pira e Martinazzoli, con gli interminabili congressi dei pacchi di tessere e la ricerca estenuante di compromessi, sempre più instabili e, in fondo, con la caduta del muro di Berlino, nemmeno più necessari (la stessa Chiesa, del resto, non è rimasta proprio la stessa da Pacelli a Bergoglio).
Ciò che è avvenuto doveva probabilmente avvenire (e in ogni caso il grosso dei voti democristiani è rimasto a noi), ma il senso di origini comuni, la ricostruzione del paese e il miracolo economico, restano e congiungono e così risulta strano per me vedere le cose completamente (o forse non completamente?) da un altro punto di vista di quello di Prodi. E d’altro canto, a un ben altro livello, Romano ebbe problemi per questo con un suo grande amico ed estimatore: il cardinale Camillo Ruini. Dove le differenze si riducono è in politica estera e in Europa. La concezione dell’Europa comunitaria è stata comune in tutti gli esponenti del centrismo quadripartito, destra come sinistra, in politica come in economia, che poi si voglia ricordare Keynes o il Roepke del liberalismo sociale Renano, poco cambia e Prodi e Delors non erano più diversi tra loro di Schuman e De Gasperi, anche se illustri pensatori cattolici come Don Sturzo o liberali come Malagodi, misero in evidenza una forte tendenza ad esagerare con lacci e lacciuoli.
Certamente, almeno fino a Craxi e Rocard, i socialisti tentarono di evitare una chiara Bad Godesberg come i Tedeschi, ma alla fine fu la socialdemocrazia a prevalere e l’Europa, dopo la lunga parentesi Gollista (che ci lasciò un Europa meno coesa, però più forte) riprese, faticosamente, il suo cammino. Furono gli avvenimenti dell’est e dell’ovest a cambiare completamente lo scenario, con il crollo verticale del comunismo in Russia e il sorgere, per la prima volta in cent’anni in America, di una reale e radicale divisione nella società e tra i due grandi partiti. Di questa fase Prodi, anche al di là di quello che rivendica nel libro, è stato, da presidente della Commissione europea, un grande protagonista. La rapida adesione dei paesi dell’est liberatisi dal comunismo, nazioni di antica cultura europea, fu favorita in tutti i modi da Prodi, per la stessa ragione che, presidente del consiglio Italiano, si spinse più di chiunque altro a battersi per l’entrata dell’Italia nell’euro, per una profonda convinzione europeista, che la sua formazione politica e la sua conoscenza dei meccanismi macroeconomici, portavano a reputare una necessità storica.
La divaricazione americana tra una sinistra democratica che cominciava ad elaborare un Politically correct, che da filosofia della liberazione tendeva sempre più a connotarsi come prassi dell’intolleranza (fino alla barbarie della “cancel culture”) e una destra repubblicana, che dal liberismo libertarian di Milton Friedman al conservatorismo individualista di Goldwater e Reagan si sarebbe poi spinta fino al populismo isolazionista di Trump, ha provocato contemporaneamente però, per l’enorme (tuttora) influenza statunitense nel mondo, una divisione che si è riprodotta in Europa, radicalizzando in Italia le differenze nel centro fino al sorgere stabile di due blocchi aperti alle estreme, forse un male per la comprensione reciproca, ma in fondo un bene per una vera democrazia dell’alternanza. E Prodi ha fatto la sua scelta, con coerenza, a sinistra.
In questo scenario di trasformazioni profonde, la vicenda personale di Romano Prodi si snoda, sempre in posizioni decisive, talvolta addirittura determinanti, ma mantenendo sempre un forte legame con la provincia, con gli amici, con la famiglia, con il buon vivere. Gira come una trottola per mezzo mondo, combinando orari e impegni impossibili, con un vitalismo incredibile, ma trova sempre il tempo di farsi decine di chilometri in bicicletta e, appena può, si riunisce con tutta la famiglia allargata nell’eremo di Bebbio, nel Reggiano, dove legioni di Prodi si riuniscono come in una comunità un po’ fuori dal tempo. “Insieme”, è uno dei suoi motti preferiti, nonché titolo di un fortunato libro scritto con la moglie, “Insieme”, che a mio giudizio, non è solo uno stile di vita di una certa sinistra cattolica (i “professorini” li chiamavamo) ma ha anche in sé qualcosa di conservatore, perché un certo conservatorismo di rispetto e direi quasi affetto per le tradizioni in Prodi c’è, come c’è – e non mi sento di dirlo per molti a sinistra – una componente di liberalismo che fa sì che io non abbia mai sentito una minaccia per la libertà nei governi da lui presieduti (cosa che non mi è capitata con gli altri governi delle sinistre).
Un liberalismo nascosto, quasi carsico, ma che ne fa un politico molto indipendente, di un’indipendenza difesa tenacemente che, io credo, sia stata la causa prima della diffidenza che a sinistra lo ha talvolta accompagnato, come nell’episodio della presidenza della Repubblica. Il grande spazio che, nel libro, viene dedicato ai ricordi famigliari è il segno di ciò che per “il Professore” è davvero importante: le radici, che sempre hanno tenuto solidamente ancorato questo Globetrotter al suo mondo. Strana la sua vita ? Direi piuttosto realizzata, bella, piena di stimoli, di affetti, di battaglie (anche se dall’altra parte), di sicuro non si potrà dire di lui che non ha vissuto. Caro professore, convintamente da destra (dove faziosamente e fortunatamente sto) complimenti per il libro, sempre avvincente, ricco e storicamente interessante. Auguri Romano.
Aggiornato il 16 novembre 2021 alle ore 10:44